
Tra le varie tecniche di meditazione, c’è una minima base comune sul bagaglio di preparazione che occorre al meditatore. I sistemi qui passati in rassegna rappresentano d’intero spettro degli atteggiamenti possibili per come prepararsi attraverso un qualche tipo di purificazione: essi spaziano dall’insistenza enfatica sulla purificazione Come preludio alla meditazione, espressa nelle tradizioni bhakti, cabalistica, cristiana e sufi, alle visioni di Gurdjieff e Krishnamurti secondo cui tali sforzi sono inutili se implicano l’eliminazione di situazioni di vita formale. Infine, a titolo d’esempio, c’è la nozione, presente nelle scuole della meditazione trascendentale (MT) e zen, che la purezza genuina sorge spontaneamente come effetto collaterale della meditazione stessa. I tantrici del Bon Marg segnano un atteggiamento estremo verso la purezza, nel propugnare la violazione di tabù sessuali e di altro genere come parte della pratica spirituale.
Il miglior contesto per la meditazione
Le idee sul miglior contesto per la meditazione coprono similmente un ampio spettro di possibilità. I Padri dei deserto sì ritirarono nel deserto egiziano per evitare la piazza e la compagnia del mondo; la solitudine ermetica era essenziale al loro programma di severa autodisciplina. I moderni yogin indiani scovano montagne isolate e rifugi nella giungla per le stesse ragioni. Le versioni occidentalizzate dello yoga indiano come la MT, tuttavia, si oppongono a ogni cambiamento forzato nelle abitudini dì vita del meditatore; al contrario, la meditazione è semplicemente inserita in un’agenda quotidiana altrimenti normale. La pratica intensiva zen è fatta idealmente in un monastero, ma, come la MT, può essere parte della normale routine quotidiana. Sia Gurdjieff che Krishnamurti insistono con particolare calore nel dire che l’ambito della famiglia, del lavoro, e della società è il migliore contesto per la disciplina interiore, poiché fornisce il materiale grezzo per la meditazione.
Nella maggior parte dei sistemi di meditazione classici, tuttavia, un monastero o ashram è l’ambiente ottimale per la meditazione, i monaci o gli yogin i compagni ideali, la rinuncia la più alta vocazione, e i testi sacri la migliore lettura. I sistemi moderni come la MT indirizzano l’allievo a legami e attività organizzate mentre vive nel suo normale stile di vita, senza imporgli un cambiamento più profondo. Krishnamurti resta isolato, tra i predicatori spirituali, per la mancata esortazione all’aspirante a scovarsi la compagnia di altri che sono sul medesimo cammino, proprio come obietta alla ricerca della guida di un insegnante o maestro – elementi essenziali in ogni altro sistema.
Per il fatto di non propagandare alcuna dottrina esplicita, Krishnamurti è di nuovo unico. Benché altre scuole come lo zen riducano l’importanza dello studio intellettuale, tutte hanno insegnamenti sia formali sia informali che gli studenti assimilano. In alcune tradizioni, lo studio formale ha una maggiore importanza: il monaco benedettino, per esempio, deve passare un terzo della sua giornata nello studio, gli altri due terzi nella preghiera (o meditazione) e nel lavoro manuale.
L’importanza di mantenere l’attenzione
Il più forte accordo tra le scuole di meditazione è sull’importanza di mantenere l’attenzione. Tutti questi sistemi possono essere classificati in senso ampio sulla base delle strategie principali per mantenere l’attenzione descritte nel Visuddhimagga: concentrazione o consapevolezza. Usando la mappa del Visuddhimagga come modello, possiamo vedere somiglianze nelle tecniche oscurate dal velo del gergo e dell’ideologia.
Non si contano i nomi differenti usati nei sistemi di meditazione per descrivere la stessa e unica via e destinazione. Talvolta il medesimo termine è usato con significati tecnici speciali, molto differenti tra loro in varie scuole. Ciò che traduciamo con il termine «vuoto», per esempio, è usato dagli yogin indiani per riferirsi a stati jhana e dai buddhisti mahayana per significare la presa di coscienza della vuotezza essenziale di ogni oggetto fenomenico.
Il primo impiego denota uno stato mentale vuoto di contenuti (vale a dire, gli jhana senza forma); il secondo si riferisce alla vuotezza dell’oggetto fenomenico. Un altro esempio: Phillip Kapleau (1967) distingue tra zazen e meditazione, dicendo che i due «non devono essere confusi»; Krishnamurti (1962) dice che solo la «consapevolezza senza scelta» è veramente meditazione. Se si riconosce che sia lo zazen sia la consapevolezza senza scelta sono tecniche di penetrazione, si può vedere che queste osservazioni apparentemente non correlate stanno in realtà mettendo in luce la stessa distinzione: quella tra concentrazione e penetrazione. Con «meditazione», Kapleau intende la concentrazione, mentre Krishnamurti nega che le pratiche di concentrazione appartengano al territorio della meditazione.
Confronto tra le tecniche di meditazione
La tabella che segue classifica le tecniche di ogni sistema di meditazione secondo la tipologia del Visuddhimagga. Il criterio per la classificazione è la meccanica della tecnica: (a) concentrazione, in cui la mente si focalizza su un determinato oggetto mentale; (b) consapevolezza, in cui la mente osserva se stessa; o (c) entrambe le operazioni presenti in una combinazione integrata.
Un secondo prerequisito per la classificazione è la coerenza interna nelle descrizioni. Nel caso di una tecnica di concentrazione, vengono menzionate altre caratteristiche del cammino jhana – per esempio, una beatitudine crescente che accompagna una concentrazione approfondita o la perdita della coscienza di sé. Nel caso di una tecnica di penetrazione, devono essere presenti altre caratteristiche, come la presa di coscienza dell’impersonalità dei processi mentali. Se è una tecnica combinata, sia le tecniche di concentrazione che quelle di penetrazione devono essere miscelate e integrate, come nel vipassana theravada.
Sistema | Tecnica | Tipo |
Bhakti | Japa | Concentrazione |
Cabala | Kavvanah | Concentrazione |
Esicasmo | Preghiera del cuore | Concentrazione |
Sufi | Zikr | Concentrazione |
Yoga raja | Samadhi | Concentrazione |
Meditazione Trascendentale | Meditazione Trascendentale | Concentrazione |
Yoga kundalini | Yoga siddha | Concentrazione |
Buddhismo tibetano | Vipassana | Integrata |
zen | Zazen | Integrata |
Gurdjieff | Ricordo-di-sé | Consapevolezza |
Krishnamurti | Conoscenza di sé | Consapevolezza |
Theravada | Vipassana | Integrata |
Modalità di concentrazione
Nella concentrazione, la strategia di attenzione del meditatore si fissa su un singolo oggetto di percezione, riportando costantemente la mente divagante su questo oggetto. Alcune istruzioni indicano come particolarmente importante che la volontà del meditatore si attivi attaccandosi all’oggetto di percezione scelto come bersaglio e resista a ogni divagazione; altre suggeriscono una modalità, passiva per cui l’oggetto di percezione viene semplicemente rigenerato, quando si è perduto nel flusso di coscienza. Perciò un antico testo theravada esorta il meditatore a digrignare i denti, stringere i pugni, e a farsi una bella sudata, sforzandosi di mantenere la propria mente fissa sui movimenti della respirazione; a un meditatore MT, dall’altra parte, viene detto «comincia comodamente il mantra» ogni volta che nota che la sua mente ha vagato. Benché questi approcci siano agli estremi opposti della scala attività/passività, sono strumenti equivalenti per riorientarsi costantemente su un singolo oggetto, e così sviluppare la concentrazione. Con le tecniche di consapevolezza – sia il «ricordo-di-sé» di Gurdjieff, sia la «conoscenza di sé» di Krishnamurti, sia infine io «shikan-taza» dello zazen – i fondamenti teorici dell’attenzione sono identici: osservazione continua, piena, in ogni istante successivo, vigilanza totale alla catena di coscienza del meditatore.
Tra purezza ed eclettismo
Ci sono forse pochi generi puri tra le scuole di meditazione, salvo quei sistemi centrati su una singola tecnica, per esempio MT e Krishnamurti. La maggior parte delle scuole sono eclettiche, poiché usano una varietà di tecniche di entrambi gli approcci. Fanno concessioni per bisogni individuali, adattando le tecniche ai progressi dell’allievo. I sufi, per esempio, fanno principalmente uso dello zikr, una pratica di concentrazione, ma ogni tanto impiegano anche tecniche di penetrazione come il muragaba, che è attenzione al flusso della propria coscienza. Per semplicità, nelle sezioni precedenti è stata enfatizzata una specifica tecnica, generalmente la più importante.
Differenti sistemi di meditazione possono, all’occorrenza, sposare visioni completamente contraddittorie tra di loro per ogni atto preparatorio, sia esso un contesto specifico, o il bisogno di un maestro, o una conoscenza precedente su quanto ci si aspetta dalla meditazione. Ma il bisogno del meditatore di mantenere la sua attenzione, o attraverso la concentrazione o attraverso la consapevolezza, è l’unico ingrediente invariabile nella ricetta per alterare la coscienza.
Da: Daniel Goleman, La forza della meditazione, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2003.
Per approfondire:
Daniel Goleman – Testi scelti in italiano e libri
[La foto è una rielaborazione da una foto di Wonderlane, Usa]
La forza della meditazione

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