Metta Sutta (le parole del Buddha sulla gentilezza amorevole)

Metta Sutta

Il Metta Sutta è uno dei discorsi più noti del Buddha, contenuto nel canone Pāli, che espone la pratica della mettā, o amorevole gentilezza, illustrando come sviluppare un atteggiamento di amore e compassione universali verso tutti gli esseri viventi.

Ecco quanto dovrebbero fare
Coloro che sono versati nel realizzare il bene
E che conoscono il cammino della pace:
Siano abili e giusti,
Franchi e gentili nel parlare,
Umili e non presuntuosi,
Contenti e facilmente soddisfatti,
Liberi da preoccupazioni e frugali nei loro bisogni.
Pacifici e calmi,
saggi e abili,
Non orgogliosi né esigenti,
Non compiano azioni indegne
Che il saggio poi biasimerebbe.
Siano desiderosi,
nella felicità e nella sicurezza,
Che tutti gli esseri possano avere l’animo lieto,
Di qualsiasi tipo possano essere:
siano essi deboli o forti, nessuno escluso:
Grandi o potenti, medi, bassi o piccoli,
Visibili e invisibili,
Quelli che vivono vicino o lontano,
Che sono nati e che nasceranno.
Possano tutti gli esseri avere l’animo lieto!
Nessuno inganni l’altro,
O disprezzi qualunque essere, in qualsiasi circostanza.
Nessuno, a causa dell’ira o del risentimento,
Auguri un danno all’altro.
Proprio come una madre protegge con la vita
Il proprio figlio, il suo unico figlio,
Così, con affetto sconfinato,
Essi dovrebbero amare tutti gli esseri viventi,
Irradiando benevolenza sul mondo intero:
In alto verso i cieli
E in basso negli abissi;
Senza impedimento e liberi,
Privi di odio e risentimento.
Che stiano seduti o camminino,
Che siedano o si stendano,
Liberi dall’indolenza,
Dovrebbero fissare la mente su tale consapevolezza:
Questa è stata definita una dimora divina.
Non abbracciando alcuna opinione,
Avendo una retta visione, l’uomo dal cuore puro,
Liberatosi da tutti i desideri dei sensi,
Certamente non tornerà a nascere in questo mondo.

(Metta Sutta – Suttanipata, 143 -152)

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Versione riportata in: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia, Astrolabio Ubaldini, 1995.

Si veda anche in questa pagina la versione di Plum Village.

Che cos’è il Mettā Sutta

Il Mettā Sutta è il nome utilizzato per due discorsi buddisti presenti nel Canone Pāli. Il più frequentemente recitato dai monaci Theravada – qui sopra riportato – è noto anche come Karaṇīyamettā Sutta e inizia con la parola “Karaṇīyam”, che significa “Questo dovrebbe essere fatto”. Si trova nel Suttanipāta e nel Khuddakapāṭha. Questo sutta, lungo dieci versi, elogia sia le qualità virtuose sia lo sviluppo meditativo della mettā, tradizionalmente tradotto come “amorevole gentilezza” o “amicizia”. La traduzione di Thanissaro Bhikkhu, “buona volontà”, sottolinea che la pratica viene utilizzata per sviluppare desideri di incondizionata benevolenza verso l’oggetto del desiderio.

Nel Canone Pāli del Buddhismo Theravāda, la mettā è una delle quattro “dimore divine” raccomandate per coltivare l’armonia interpersonale e la concentrazione meditativa. In opere canoniche successive, la mettā è una delle dieci “perfezioni” che facilitano il raggiungimento dell’illuminazione e sono un prerequisito per raggiungere la “buddhità”.

La storia di sfondo del Mettā Sutta pare riguardi un gruppo di monaci spaventati dai deva della terra nella foresta dove il Buddha li aveva inviati a meditare (i deva sono esseri che abitano in regni celesti). Quando i monaci cercarono il consiglio del Buddha su come affrontare la situazione, il Buddha insegnò loro il Mettā Sutta come antidoto per superare la loro paura. Recitando il sutta e irradiando amorevole gentilezza, placarono i deva della terra.

Il Mettā Sutta contiene una serie di ricordi o recitazioni che promuovono lo sviluppo della mettā attraverso caratteristiche virtuose e meditazione. Identifica quindici qualità morali e condizioni favorevoli allo sviluppo della mettā. Queste includono qualità come essere non ingannevole, sincero, facile da correggere, gentile e senza arroganza. In termini di sviluppo meditativo, il discorso identifica un desiderio intenzionale che facilita la generazione della mettā e un metodo per irradiare la mettā in tutte le direzioni.

Viene spesso recitato nella tradizione Theravāda (quella della vipassana, per intenderci), ma è anche popolare nella tradizione Mahayana (quella dello zen e del Buddhismo tibetano). Una testimonianza recente di ricorso alla mettā è quella dei monaci buddisti che hanno recitato il Mettā Sutta come parte della loro dimostrazione nel settembre e ottobre 2007 contro il regime militare in Birmania.

[La foto sul metta Sutta è di eren {sea+prairie+}, Stati Uniti]

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