Anattalakkhana Sutta è il discorso nel quale il Buddha analizza i costituenti del corpo e della mente di una persona (skandha) e dimostra che sono ciascuno impermanente (anicca), soggetto a sofferenza (dukkha) e quindi inadatto all’identificazione con un “sé” (anatta).
Una volta, il Bhâgavat soggiornava al parco dei Daini, ad Isipatana, vicino a Bénarès. Il Bhâgavat si rivolse così ai cinque monaci e disse:
“La forma, monaci, non è il Sé. Se la forma fosse il Sé, monaci, la forma non sarebbe soggetta alle malattie e si potrebbe dire a proposito del corpo: “Che la forma, questo corpo fisico, diventi così. Che la forma, questo corpo fisico, non diventi così.” Tuttavia, poiché la forma, questo corpo fisico, non è il Sé, il corpo è soggetto alle malattie ed il Sé non ha la possibilità di dire a proposito del corpo: “Che il mio corpo diventi o non diventi tale per me.”
La sensazione, monaci, non è il Sé. Se la sensazione fosse il Sé, monaci, la sensazione non sarebbe soggetta alle malattie e si potrebbe dire a proposito della sensazione: “Che la mia sensazione diventi così. Che la mia sensazione non diventi così.” Tuttavia, poiché la sensazione non è il Sé, la sensazione è soggetta alle malattie ed il Sé non ha la possibilità di dire a proposito della sensazione: “Che la mia sensazione diventi o non diventi tale per me.”
La percezione, monaci, non è il Sé. Se la percezione fosse il Sé, monaci, la percezione non sarebbe soggetta alle malattie e si potrebbe dire a proposito della percezione: “Che la mia percezione diventi così. Che la mia percezione non diventi cosìò.” Tuttavia, poiché la percezione non è il Sé, la percezione è soggetta alle malattie ed il Sé non ha la possibilità di dire a proposito della percezione: “Che la mia percezione diventi o non diventi tale per me.”
Le formazioni mentali, monaci, non sono il Sé. Se le formazioni mentali fossero il Sé, monaci, le formazioni mentali non sarebbero soggette alle malattie e si potrebbe dire a proposito delle formazioni mentali: “Che le mie formazioni mentali diventino così. Che le mie formazioni mentali non diventino così.” Tuttavia, poiché le formazioni mentali non sono il Sé, le formazioni mentali sono soggette alle malattie ed il Sé non ha la possibilità di dire al loro proposito: “Che le mie formazioni mentali diventano o non diventino tali per me”
La coscienza, monaci, non è il Sé. Se la coscienza fosse il Sé, monaci, la coscienza non sarebbe soggetta alle malattie e si potrebbe dire a proposito della coscienza: “Che la mia coscienza diventi così. Che la mia coscienza non diventi così.” Tuttavia, poiché la coscienza non è il Sé, la coscienza è soggetta alle malattie, ed il Sé non ha la possibilità di dire a proposito della coscienza: “Che la mia coscienza diventi o non diventi tale per me.”
“Cosa pensate, monaci? La forma è permanente o impermanente?”
“La forma è impermanente, Bhâgavat.”
“Se una cosa è impermanente, è piacevole o dolorosa?”
“Dolorosa, Bhâgavat.”
“Quindi, ciò che è impermanente è doloroso, soggetto al cambiamento, allora si può dire: “Ciò è mio, io sono così, questo è il mio Sé?”
“Certamente no, Bhâgavat.”
“Cosa pensate, monaci? La sensazione è permanente o impermanente?”
“La sensazione è impermanente, Oh Bhâgavat.”
“Se una cosa è impermanente è piacevole o dolorosa?”
“Dolorosa, Bhâgavat.”
“Quindi, ciò che è impermanente è doloroso, soggetto al cambiamento, allora si può dire: “Ciò è mio, io sono così, questo è il mio Sé?”
“Certamente no, Bhâgavat.”
“Cosa pensate, monaci? La percezione è permanente o impermanente?”
“La percezione è impermanente, Bhâgavat.”
“Se una cosa è impermanente, è piacevole o dolorosa?”
“Dolorosa, Oh Bhâgavat.”
“Quindi, ciò che è impermanente è doloroso, soggetto al cambiamento, allora si può dire: “Ciò è mio, io sono così, questo è il mio Sé?”
“Certamente no, Bhâgavat.”
“Cosa pensate, monaci? Le formazioni mentali sono permanenti o impermanenti?”
“Le formazioni mentali sono impermanenti, Oh Bhâgavat.”
“Se una cosa è impermanente, è piacevole o dolorosa?”
“Dolorosa, Bhâgavat.”
“Quindi, ciò che è impermanente è doloroso, soggetto al cambiamento, allora si può dire: “Ciò è mio, io sono così, questo è il mio Sé?”
“Certamente no, Bhâgavat.”
“Cosa pensate, monaci? La coscienza è permanente o impermanente?”
“La coscienza è impermanente, Bhâgavat.”
“Se una cosa è impermanente, è piacevole o dolorosa?”
“Dolorosa, Bhâgavat.”
“Quindi, ciò che è impermanente è doloroso, soggetto al cambiamento, allora si può dire: “Ciò è mio, io sono così, questo è il mio Sé”?”
“Certamente no, Bhâgavat.”
“Ne risulta, monaci che tutto ciò che è corpo, passato, futuro o presente, interno o esterno, grossolano o sottile, meschino o eccellente, lontano o vicino, tutto ciò che è corpo deve essere considerato, secondo la retta conoscenza, come è, dicendo: “Ciò non appartiene a me, io non sono così, questo non è il mio Sé.”
Ne risulta, monaci che tutto ciò che è sensazione, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, meschina o eccellente, lontana o vicina, tutto ciò che è sensazione deve essere considerato, secondo la retta conoscenza, come è, dicendo: “Ciò non appartiene a me, io non sono così, questo non è il mio Sé,”
Ne risulta, monaci che tutto ciò che è percezione, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, meschina o eccellente, lontana o vicina, tutto ciò che è percezione deve essere considerato, secondo la retta conoscenza, come è, dicendo: “Ciò non appartiene a me, io non sono così, questo non è il mio Sé.”
Ne risulta, monaci che tutto ciò che sono formazioni mentali, passate, future o presenti, interne o esterne, grossolane o sottili, meschine o eccellenti, lontane o vicine, tutto ciò che è formazione mentale deve essere considerato, secondo la retta conoscenza, come è, dicendo: “Ciò non appartiene a me, io non sono così, questo non è il mio Sé.”
Ne risulta, monaci che tutto ciò che è coscienza, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, meschina o eccellente, lontana o vicina, tutto ciò che è coscienza deve essere considerato, secondo la retta conoscenza, come è, dicendo: “Ciò non appartiene a me, io non sono così, questo non è il mio Sé.”
Considerando i fenomeni in questo modo, monaci, il discepolo sapiente si distacca dal corpo, dalla sensazione, dalla percezione, dalle formazioni mentali, dalla coscienza. Così distaccato, è privo di desiderio. Senza desiderio, è libero dal desiderio. Quando è libero dal desiderio sorge la conoscenza e ottiene la liberazione”.
Così parlò il Benedetto. I cinque monaci, lietissimi, si rallegrarono della parola del Benedetto. Inoltre, durante questo sermone, la mente dei cinque monaci fu liberata completamente da ogni attaccamento.
Testo tratto da canonepali.net.
Per approfondire:
Vuoi ricevere gli aggiornamenti da Zen in the City?
Inserisci il tuo indirizzo per ricevere aggiornamenti (non più di 1 a settimana):
You need to login or register to bookmark/favorite this content.