Daniel Goleman – I metodi per affrontare le preoccupazioni

affrontare le preoccupazioni

Per imparare ad affrontare le preoccupazioni servono qualità che è necessario addestrare, come l’autoconsapevolezza e capacità di mettere in discussione le proprie convinzioni.

Mentre un individuo è immerso nelle preoccupazioni, sembra non rendersi conto delle sensazioni soggettive di ansia che ne derivano – in particolare non fa caso alla tachicardia, alla sudorazione e all’agitazione – e con il protrarsi delle preoccupazioni, sembra effettivamente riuscire a sopprimere parte di quell’ansia – almeno stando a quanto si deduce dalla frequenza cardiaca. La sequenza è probabilmente la seguente:

  • la persona incline alla preoccupazione percepisce qualcosa che evoca l’immagine di una minaccia o di un pericolo potenziale;
  • quella catastrofe immaginaria a sua volta scatena un leggero attacco d’ansia.
  • L’individuo sprofonda allora in una lunga serie di pensieri tormentosi, ciascuno dci quali introduce un altro motivo di preoccupazione;
  • mentre l’attenzione continua a spostarsi lungo questa penosa sequenza, il fatto stesso di concentrarsi su tali pensieri allontana la mente dall’immagine catastrofica che ha scatenato l’ansia.

Le immagini, ha scoperto Thomas Borkovec, innescano l’ansia fisiologica in modo molto più potente dei pensieri; pertanto, l’immersione nelle preoccupazioni, che porta ad escludere le immagini catastrofiche, allevia in parte l’esperienza dell’ansia. E, in una certa misura, la preoccupazione viene anche rinforzata, come antidoto contro quella stessa ansia che ha suscitato.

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Tuttavia, le preoccupazioni croniche sono anche autofrustranti nel momento in cui assumono la forma di idee rigidamente stereotipate e non di atti creativi che avvicinino effettivamente alla soluzione del problema. Questa rigidità è palese non solo nel contenuto della preoccupazione, la quale non fa che ripetere le stesse idee all’infinito. Anche a livello neurologico, sembra esserci una certa rigidità corticale, un deficit nella capacità del cervello emozionale di rispondere con flessibilità al mutare delle circostanze. In breve, la preoccupazione cronica funziona positivamente solo per certi versi: allevia un poco l’ansia, questo è vero, ma senza mai risolvere il problema.

Se c’è una cosa che i pazienti cronicamente in preda alla preoccupazione non possono fare è quella di seguire i consigli che spesso gli vengono impartiti: «Smettila di preoccuparti» (o, peggio ancora, «Non preoccuparti, cerca di essere allegro»). Dal momento che le preoccupazioni croniche sembrano essere episodi di leggera intensità innescati a livello dell’amigdala, si presentano spontaneamente. E per la loro stessa natura, una volta comparse nella mente, vi persistono.

Dopo molte sperimentazioni, però, Borkovec scoprì alcune semplici misure che possono aiutare a controllare l’inclinazione alla preoccupazione anche quando essa si è instaurata da lunghissimo tempo. Il primo passo è l’autoconsapevolezza, sta cioè nel riconoscere quanto prima gli episodi fonte di preoccupazione; l’ideale sarebbe di riuscire a coglierli non appena l’immagine catastrofica scatena il ciclo preoccupazione-ansia, o al massimo, subito dopo. Borkovec insegna questo approccio in primo luogo addestrando gli individui a monitorare gli stimoli che inducono l’ansia, e soprattutto a identificare le situazioni e il flusso di pensieri e immagini che inducono la preoccupazione e le sensazioni fisiologiche associate all’ansia.

Con la pratica, l’individuo riesce a identificare le preoccupazioni a uno stadio molto precoce. Egli impara anche le tecniche di rilassamento da applicare nel momento in cui avverte l’insorgere della preoccupazione e si esercita quotidianamente in modo da essere in grado di servirsene antistante, quando ne bisogno.

Le tecniche di rilassamento, però, non bastano da sé. Questi pazienti devono anche mettere attivamente in discussione i pensieri che generano preoccupazione, altrimenti la spirale dell’ansia continuerà a ripresentarsi. Perciò, il passo successivo è quello di assumere un atteggiamento critico verso i loro assunti: è molto probabile che l’evento temuto si verifichi? È necessariamente vero che esiste solo una (o nessuna) alternativa al lasciare che esso accada? Si possono prendere delle misure efficaci al riguardo? È veramente utile indugiare all’infinito in questi stessi pensieri ansiosi?

Questa combinazione di attenzione sui propri pensieri e di sano scetticismo agirebbe, presumibilmente, come un freno sull’attivazione neurale alla base di un leggero stato d’ansia. Probabilmente, l’induzione attiva di tali pensieri può attivare il circuito che inibisce l’innesco della preoccupazione da parte del sistema limbico; allo stesso tempo, l’induzione attiva di uno stato di rilassamento contrasta i segnali ansiogeni che il cervello emozionale sta inviando a tutto l’organismo.

Borkovec sottolinea che queste strategie innescano un’attività mentale incompatibile con la preoccupazione. Quando si permette che un pensiero molesto si ripeta all’infinito senza metterlo in discussione, a poco a poco il suo potere persuasivo aumenta; quando invece lo si mette in discussione, contemplando tutta una gamma di punti di vista ugualmente plausibili, ci si vieta di considerarlo vero e di accettarlo ingenuamente. Questo metodo si è rivelato utile contro la preoccupazione cronica perfino in alcune persone in cui il disturbo era abbastanza serio da richiedere una diagnosi psichiatrica.

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[La foto su affrontare le preoccupazioni è di Andres Ayrton]

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