Percepire significa sempre percepire “qualcosa”. Noi crediamo che l’oggetto della percezione sia al di fuori del soggetto che percepisce, ma non è vero. Quando percepiamo la luna, la luna è noi stessi. Sorrido a un amico, l’amico è anche me stesso, perché è l’oggetto della mia percezione.
Quando percepiamo una montagna, la montagna è l’oggetto della nostra percezione. Quando percepiamo la luna, la luna è l’oggetto della nostra percezione. Dire: «Posso vedere la mia coscienza nel fiore» significa che nel fiore possiamo vedere la nuvola, la luce del sole, la terra e i minerali. Ma come si fa a vedere la nostra coscienza in un fiore? Il fiore è la nostra coscienza; è l’oggetto della nostra percezione. E la nostra percezione. Percepire significa percepire qualcosa. Percezione significa il venire in essere del percipiente e del percepito. Il fiore che stiamo guardando è parte della nostra coscienza. Deve essere rimossa l’idea che la nostra coscienza sia esterna al fiore: è impossibile che ci sia un soggetto senza un oggetto. È impossibile togliere l’uno conservando l’altro.
La fonte della nostra percezione, il nostro modo personale di vedere le cose, si trova nella coscienza-deposito. Se dieci persone guardano una nuvola, ne avranno dieci diverse percezioni. Che vi si veda un cane, un martello o un soprabito, dipende dalla mente dell’osservatore, dalla sua tristezza, dai suoi ricordi, dalla sua rabbia. Le nostre percezioni portano con sé tutti gli errori generati dalla soggettività, quindi noi lodiamo, biasimiamo, condanniamo o protestiamo a seconda delle nostre percezioni. Ma le percezioni sono fatte delle nostre afflizioni: brama, rabbia, ignoranza, visioni distorte e pregiudizi. Essere contenti o soffrire dipende in gran parte dalle nostre percezioni. E importante osservare in profondità le nostre percezioni e conoscerne la provenienza.
Noi abbiamo una certa idea della felicità: crediamo che solo determinate condizioni ci renderanno felici. Spesso, però, è proprio l’idea della felicità a impedirci di provarla davvero. Dobbiamo guardare in profondità le nostre percezioni per liberarcene; allora ciò che era una percezione diventa comprensione risvegliata, una realizzazione del sentiero. Questa non è né una percezione né una non-percezione: è una visione chiara delle cose così come sono.
La nostra felicità e quella di coloro che ci circondano dipendono dal nostro grado di retta visione. Entrare in contatto profondo con la realtà — sapere che cosa sta succedendo dentro e fuori di noi — è la via per liberarci dalla sofferenza generata dalle percezioni erronee. La retta visione non è un’ideologia, né un sistema, né tantomeno un cammino: è la comprensione risvegliata della realtà della vita, una comprensione viva che ci riempie di chiarezza, pace e amore.
Da: Thich Nhat Hanh, Il cuore dell’insegnamento del Buddha, Neri Pozza, 2000.
Per approfondire:
Thich Nhat Hanh – Biografia, libri e testi selezionati
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