Shunryu Suzuki – Shikantaza: la meditazione zen basata sull’espirazione

shikantaza

Shikantaza è una forma di meditazione tipica dello Zen, qui spiegata da Shunryu Suzuki-Roshi. L’attenzione del meditante è tutta sull’espirazione, per consentirgli di entrare in contatto con la dimensione della vacuità.

Shikantaza, o zazen, non è altro che essere se stessi. Quando non ci aspettiamo niente possiamo essere noi stessi. Questa è la nostra via: vivere pienamente ogni attimo di tempo. È una pratica che continua per sempre.

Si dice “ogni attimo”, ma nella pratica reale un “attimo” è già troppo lungo, perché in quell'”attimo” la tua mente si occupa già di seguire il respiro. Per questo si dice anche che “in uno schiocco di dita ci sono milioni di istanti di tempo”: così si può enfatizzare la sensazione di esistere in ogni singolo attimo. Allora la tua mente è molto tranquilla.

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Cerca dunque di sedere in shikantaza per un certo tempo ogni giorno, senza muoverti, senza aspettarti niente, come se fossi arrivato al tuo ultimo istante di vita. Attimo dopo attimo percepisci il tuo ultimo istante. In ogni inspirazione e in ogni espirazione ci sono infiniti istanti di tempo: è tua intenzione vivere ognuno di essi.

Comincia espirando con delicatezza, poi inspira: la calma della mente è oltre la fine dell’espirazione. Se espiri con delicatezza, senza neanche cercare di espirare, entri nella perfetta calma della mente. Non esisti più. Quando espiri così, poi l’inspirazione partirà da quel punto, con naturalezza. Il tuo corpo viene pervaso da tutto quel buon sangue fresco che vi porta tutto quanto, da fuori; ne sei totalmente rinfrescato. Poi cominci a espirare, a estendere alla vacuità quella sensazione di freschezza. In questo modo, attimo dopo attimo, senza cercare di fare niente, continui shikantaza.

Uno shikantaza completo può essere difficile a causa del male alle gambe quando stai seduto nella posizione del loto; ma puoi farlo anche se ti fanno male le gambe. Anche se la tua pratica non è abbastanza buona, puoi farcela. Il tuo respiro svanisce poco a poco; tu svanisci poco a poco, sfumando nella vacuità. Inspirando senza sforzo torni spontaneamente a te stesso con qualche colore e qualche forma. Espirando, ti dissolvi gradualmente nella vacuità: carta bianca, vuota. Quello è shikantaza. Il punto importante è l’espirazione: invece di cercare di percepire te stesso quando inspiri, svanisci nella vacuità mentre espiri.

Se pratichi così nel tuo ultimo istante di vita, non avrai nulla da temere. Di fatto, la meta a cui si mira è la vacuità: dopo aver espirato completamente con questo sentimento si diventa una cosa sola con il tutto. Se sei ancora vivo, inspirerai di nuovo spontaneamente. “Oh, sono ancora vivo! Per fortuna, o per sfortuna!” E poi cominci a espirare e a sfumare nella vacuità. Forse non sai ancora che genere di sensazione sia; alcuni di voi però la conoscono già. Potresti avere avuto l’occasione di provare questo tipo di sensazione.

Quando fai questa pratica non ti puoi più arrabbiare per un nonnulla. Se ti interessa di più inspirare che espirare, invece, ti arrabbierai con una certa facilità; cerchi sempre di restare vivo. L’altro giorno un amico ha avuto un attacco di cuore e riusciva soltanto a espirare: non riusciva a inspirare. Mi ha detto che era una sensazione terribile. Se in quel momento fosse riuscito a praticare l’espirazione come facciamo noi, mirando alla vacuità, penso che non si sarebbe sentito così male. Per noi la grande gioia è espirare, più che inspirare. Il mio amico, continuando a sforzarsi di inspirare, pensaVa che non sarebbe più riuscito a farlo. Se avesse espirato delicatamente e completamente, penso che l’inspirazione successiva gli sarebbe venuta con più facilità.

È molto importante prendersi cura dell’espirazione. Morire è più importante che cercare di restare in vita. Quando continuiamo a cercare di restare vivi abbiamo problemi; invece di cercare di essere vivi o attivi, se riusciamo a essere calmi e a svanire nella vacuità allora staremo bene, naturalmente. Il Buddha si prende cura di noi. Poiché abbiamo abbandonato il seno di nostra madre non ci sentiamo più come il suo bambino. Eppure sfumare nella vacuità può dare la stessa sensazione di quando eravamo attaccati al seno di nostra madre: sentiremo che lei si prenderà cura di noi. Attimo dopo attimo, non perdete la pratica di shikantaza.

Cosi siamo felici, siamo liberi. Ci sentiamo liberi di esprimere noi stessi perché siamo pronti a sfumare nella vacuità. Quando cerchiamo di essere attivi e speciali e di compiere qualche cosa non ci possiamo esprimere: verrà espresso il piccolo sé, ma il grande sé non comparirà uscendo dalla vacuità. Dalla vacuità compare soltanto il grande sé. È questo shikantaza, va bene? Non è poi così difficile, se ci provate.

Da. Shunryu Suzuki, “Lettere dalla vacuità. Lo zen e l’arte di vivere“, Mondadori, 2005.

Lettere dalla vacuità. Lo zen e l’arte di vivere

Shunryu Suzuki-Roshi, Lettere dalla vacuità. Lo zen e l'arte di vivere
Il volume presenta una serie di lezioni tenute dal grande maestro zen negli ultimi tre anni di vita presso la Scuola zen di San Francisco da lui fondata: parole di saggezza in cui esprime la maturità del suo pensiero, la carica umana e l'esperienza accumulata in decenni dedicati all'insegnamento. Le parole del maestro, inoltre, si tingono spesso di umorismo e sono intessute di esempi tratti dalla vita quotidiana.

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[La foto è di Vlada Karpovich, Bielorussia]

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