Charlotte Joko-Beck – Esprimere la rabbia non serve a niente

esprimere la rabbia

Esprimere la rabbia è un atto da molti considerato liberatorio e necessario, ma per Charlotte Joko-Beck è inutile. Anzi, spesso porta solo a danneggiare gli altri senza guadagnarci nulla.

Esprimere la rabbia per cercare giustizia

Sviluppando più sensibilità per noi stessi e le mutevoli esperienze della vita (pensieri, emozioni, sensazioni), diventa ovvio che lo strato profondo della vita è la rabbia. Quando qualcuno insiste col dire: “Non mi arrabbio mai”, non ci credo.

Poiché la rabbia e i suoi sottoprodotti (depressione, risentimento, invidia, maldicenza, pettegolezzi e così via) dominano la nostra vita, dobbiamo esaminare con estrema attenzione il problema della rabbia. Una vita libera da rabbia è la terra promessa dove scorrono fiumi di latte e miele, il nirvana, un’esistenza in cui il valore nostro e altrui è una realtà sacrosanta.

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Per la persona psicologicamente matura, i mali e le ingiustizie della vita vanno combattuti tentando di eliminare l’ingiustizia e di sostituirla con la giustizia. Ma spesso è un comportamento dittatoriale, pieno di rabbia e di presunzione.

Nella maturità spirituale, il contrario dell’ingiustizia non è la giustizia ma la compassione. Non io contro di te, non io che raddrizzo i mali lottando per avere giustizia per me e per gli altri, ma la compassione, una vita che non va contro a niente e che accoglie tutto.

La rabbia è sempre fondata su un giudizio, nostro o altrui. L’idea che esprimere la rabbia sia un comportamento salutare non è altro che una fantasia. Dobbiamo lasciare che i pensieri giudicanti, i pensieri di rabbia, passino davanti al nostro sé impersonale che agisce come un testimone. Esprimendoli, non ci guadagniamo nulla. È un errore ritenere che la rabbia inespressa ci danneggi, e che quindi dobbiamo esprimerla danneggiando gli altri.

La migliore risposta all’ingiustizia non è la giustizia ma la compassione o l’amore. Potreste dire: “Ma cosa devo fare in questa situazione difficile? Devo fare qualcosa! Sì, ma cosa? La pratica deve costituire sempre la base delle nostre azioni. Una risposta appropriata e compassionevole non può nascere dalla lotta per la giustizia, ma da quella profonda dimensione di pratica che ‘supera ogni comprensione’. Non è facile. Forse dobbiamo passare per laceranti settimane o mesi di sedute. Ma la soluzione arriverà. Nessuno è in grado di offrirci la soluzione, solo il nostro vero sé, se spalanchiamo le porte della pratica.

Non adottiamo una visione superficiale, psicologicamente ristretta della nostra vita. La dimensione radicale di cui parlo esige tutto ciò che abbiamo e che siamo. La gioia, non la felicità, ne è il frutto.

Da: Charlotte Joko Beck, “Niente di speciale. Vivere lo zen“, Astrolabio Ubaldini, 1994.

[La foto su esprimere la rabbia è di Pixabay]

Niente di speciale. Vivere lo zen

Charlotte Joko-Beck, Niente di speciale. Vivere lo zen
Vivere lo zen, secondo l'autrice, non è niente di speciale: solo la vita così com'è, senza più i sogni e le fantasie con i quali cerchiamo ininterrottamente di rimandare l'incontro con il qui, l'ora, il questo. Vogliamo proteggerci dalla realtà, ma la fuga dall'esperienza presente, dall'ordinarietà della vita, ci impedisce di vivere davvero e ci imprigiona in una trappola di frustrazioni. 
Paolo Subioli

Amo questo libro, che trovo uno dei più belli che abbia mai letto, in tema di dharma. Nella sua insistenza a dirci che dobbiamo accogliere tutto della vita, compreso il dolore, Joko Back non fa sconti. Ma la pratica zen che propone è tutto meno che scoraggiante.

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