
La consapevolezza delle sensazioni, ovvero lo stare pienamente nell’esperienza, deve essere in fondamento della nostra vita e avere molta più importanza dei pensieri e dei commenti sulle esperienze stesse.
Senza la consapevolezza delle sensazioni non siamo pienamente vivi. Per molti la vita è insoddisfacente perché sono quasi sempre assenti alla loro esperienza. Se abbiamo anni di pratica seduta alle spalle, lo facciamo un po’ meno. Comunque sia, non conosco nessuno che sia totalmente presente attimo per attimo.
Siamo come un pesce che guizza di qua e di là in cerca del grande oceano della vita, e intanto è inconsapevole di ciò che lo circonda. Come il pesce, anche noi ci interroghiamo sul senso della vita, senza essere consci dell’acqua che ci circonda da ogni parte, dell’oceano che noi stessi siamo. Finalmente il pesce incontrò un maestro. “Che cos’è il grande oceano?” , chiese. E il maestro rise. Perché?
Studente Perché il pesce era già nell’oceano e non lo sapeva.
Joko Sì, l’oceano era la sua vita. Togliete un pesce dall’acqua e morirà. Se ci separiamo dalla vita, che è tutto ciò che vediamo, udiamo, tocchiamo, odoriamo, eccetera, abbiamo perso il contatto con ciò che siamo.
La nostra vita è sempre questa vita immediata. I commenti che vi applichiamo, cioè le opinioni che ci formiamo in proposito, sono la causa dei nostri problemi. Se non trascurassimo la vita, non avremmo problemi. Se non trascurassimo l’udire, il vedere, l’odorare, il gustare, la percezione cinestetica del corpo, non saremmo turbati. Perché?
Studente Perché saremmo nel presente.
Joko Sì. Non possiamo star male se la mente non ci porta via dal presente, nei pensieri irreali. Star male significa star fuori. Abbiamo trascurato qualcosa e siamo come un pesce fuor d’acqua. Se siamo presenti, totalmente consapevoli, è impossibile che sorgano pensieri come “Ah, che vita tremenda! Così priva di senso! “. Se sorgono, significa che abbiamo tralasciato qualcosa.
Un bravo studente sa di essersi allontanato, e ritorna immediatamente all’esperienza. A volte ci basta una scrollatina del capo per ristabilire la base della vita, il fondarci nell’esperienza. Da questo fondarci scaturisce il pensiero appropriato, l’azione appropriata, la creatività. Tutto nasce dalla spaziosità dello sperimentare, dal mantenere i sensi aperti.
Quando avevo sedici o diciassette anni mi piaceva suonare i corali di Bach al pianoforte. Ne amavo uno in particolare, intitolato “Nelle Tue braccia trovo riposo”. E continuava: “E i nemici che vogliono molestarmi non possono trovarmi qui”. Benché appartenga alla tradizione cristiana, che è spesso dualistica, questo corale parla dell’essere presenti e consapevoli, Nella vita abbiamo un luogo dove riposare, un luogo in cui collocarci per funzionare bene. Questo luogo di riposo (le braccia di Dio, se volete) è semplicemente qui e ora.’ vedere, udire, toccare, odorare, gustare la vita così com’è. Nella lista possiamo anche includere il pensiero, a patto che lo intendiamo come semplice pensiero funzionale e non come pensiero egoistico, basato su attaccamento e paura. Nel suo senso funzionale, pensare comprende il pensiero astratto, .il pensiero creativo, il progettare quel che dobbiamo fare oggi. Ma troppo spesso vi aggiungiamo un pensiero non funzionale ed egoistico che ci allontana dalle braccia di Dio e ci getta nei guai.
Una vita efficace riposa su sei gambe: i cinque sensi più il pensiero funzionale. Se la nostra vita si fonda su questi sei sostegni, non avremo problemi né delusioni.
Ascoltare un discorso di dharma su questi argomenti è una cosa, metterlo in pratica è un’altra. Non appena qualcosa ci disturba, ci rifugiamo nella testa e tentiamo di trovarvi una soluzione, Tentiamo di ritrovate la sicurezza col pensiero. Tentiamo di cambiare noi stessi, o una esterna, ed eccoci perduti. Per riportare la nostra vita su una base sicura dobbiamo tornare alle sei gambe della realtà, una volta, una seconda, una terza. Questa è la pratica di cui abbiamo bisogno. Alla minima irritazione, la prima cosa da fare non è cercare di risolverla col pensiero, ma chiedermi semplicemente: “Sto ancora sentendo le automobili nella strada?”. Se fondiamo bene un senso, ad esempio l’udito, li abbiamo fondati bene tutti, perché tutti funzionano assieme nel momento presente. Una volta ristabilita la consapevolezza, sapremo cosa fare nei riguardi di quella situazione. L’azione che sgorga dall’esperienza desta è quasi sempre soddisfacente. Funziona.
Potreste dire: “Può essere per piccoli problemi, ma dubito che possa funzionare con gli enormi problemi che io devo affrontare”. Funziona sempre, indipendentemente dalla ‘grandezza’ del problema. Forse non sarà la soluzione in cui speravamo, forse non sarà immediata, ma sapremo quale sarà la nostra prossima mossa. Col tempo impariamo ad avere fiducia nel processo, ad aver fede che le cose andranno per il meglio secondo le circostanze. La persona su cui contavamo e che non ha mantenuto la parola, il lavoro che non abbiamo ottenuto, la malattia che ci preoccupa… Invece di rimuginarci su nei nostri pensieri, e di preoccuparci per il problema, se ristabiliamo la base della nostra vita nell’immediata esperienza, sapremo come agire in modo appropriato.
Non sto dicendo di agire alla cieca seguendo il primo impulso. Dobbiamo raccogliere le informazioni, conoscere i vari aspetti del problema; dobbiamo usare l’intelligenza naturale, il pensiero funzionale. Supponiamo che ci faccia male un dente. Se incomincio a pensare al mio odio per il dentista, al trapano, agli aghi e a tutto il fastidio, rimuginandoci su mi creerò un problema enorme. Se invece ritorno al fondamento della mia vita, all’esperienza diretta, mi dirò: “C’è un dolore. Lo terrò d’occhio mentre mi occupo delle mie faccende. Se persiste o peggiora, telefonerò al dentista per fissare un appuntamento”. Con questo atteggiamento, tutto va a posto.
Da: Charlotte Joko Beck, “Niente di speciale. Vivere lo zen“, Astrolabio Ubaldini, 1994.
Niente di speciale. Vivere lo zen

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