Alan Watts – La resistenza al cambiamento è la causa principale della nostra sofferenza

resistenza al cambiamento

La resistenza al cambiamento è alla base della nostra sofferenza di base, o dukka, secondo Alan Watts, perché non tiene conto della caratteristica fondamentale dell’esistenza, che è la continua trasformazione.

Uno dei concetti fondamentali del buddhismo si rifà all’idea che il mondo sia uno stato di flusso. Il Buddha enfatizzò l’impermanenza, l’irrealtà di un sé permanente e la sofferenza. In realtà, la sofferenza scaturisce dall’incapacità dell’individuo di accettare le altre due caratteristiche: il cambiamento e la mancanza di un sé permanente. Io ti incontro oggi e ti rivedo domani e, tutto sommato, hai lo stesso aspetto che avevi ieri, quindi penso che tu sia la stessa persona, ma non lo sei. Niente affatto. Quando osservo un mulinello d’acqua, esso in realtà non contiene mai dell’acqua, che scorre sempre via rapidamente attraversandolo. Lo stesso se pensiamo a un’università: che cos’è un’università? Gli studenti vanno e vengono, i docenti vanno e vengono a un ritmo un po’ più lento, gli edifici cambiano, l’amministrazione cambia: che cosa resta uguale? Quindi si può dire che una persona, un gorgo e un’università siano tutti modelli che fanno determinate cose. Ciascuno di noi è un mulinello d’acqua nella marea dell’esistenza. Ogni cellula del corpo umano, ogni molecola e atomo, è in stato di flusso costante. Non è possibile fissare niente. L’atto di osservare le particelle atomiche e subatomiche modifica il loro comportamento: che cosa fanno, quando non le osserviamo? La luce all’interno del frigorifero si spegne davvero, quando lo chiudiamo?

Perciò la filosofia buddhista è una filosofia del cambiamento. Da un certo punto di vista, il cambiamento è solo qualcosa di sgradito. Tutto scorre via suscitando in noi una certa tristezza, una sorta di nostalgia, forse addirittura rabbia. E ci dev’essere un po’ di resistenza al cambiamento affinché si verifichi la meravigliosa manifestazione della forma. Questa è la danza della vita. Ma la mente umana è terribilmente consapevole del tempo, perciò si pensa molto al futuro e a un certo livello si sa che ogni forma visibile è destinata a scomparire per essere sostituita da cosiddette “altre” forme. Ma quelle “altre” forme sono realmente diverse? O non sono piuttosto le stesse forme che ritornano? È un grande rompicapo. Le foglie che cresceranno sull’albero l’anno prossimo sono le stesse di quest’anno? E cosa intendiamo dire con “le stesse”? Avranno la stessa forma, avranno le stesse caratteristiche botaniche, ma se prendete in mano una foglia rinsecchita raccolta l’autunno scorso noterete la differenza fra le due. In tal senso, non sono la stessa cosa. Cosa succede quando un musicista esegue un determinato brano oggi e poi lo esegue di nuovo domani? È lo stesso brano o è diverso? Esiste una frase in lingua pali per rispondere a questo: nacha so, nacha anno. Significa: «non lo stesso e tuttavia non diverso».

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In questo modo il buddhismo parla della reincarnazione senza dover credere in qualche tipo di entità animica reincarnata, una sorta di ātman o sé immutabile che passi da una vita all’altra. E questo vale per la nostra vita come si sta svolgendo adesso, attimo dopo attimo, proprio come varrebbe per la nostra vita che appare e riappare molte volte nell’arco di milioni di anni: non fa la minima differenza. Esistono intervalli di tempo lunghi e intervalli di tempo brevi, frequenze alte e frequenze basse. Quando si ascolta una nota alta nella scala musicale non si possono udire i vuoti che contiene, perché vibra troppo rapidamente e sembra del tutto continua. Ma quando si ascoltano le più basse note udibili, si riesce a percepire la loro vibrazione: è la musica che procede a intervalli. Allo stesso modo, poiché ora noi viviamo giorno per giorno, ci percepiamo vivere a una frequenza alta e sembriamo avere continuità, perché non ci accorgiamo dei vuoti. Ma il ritmo che corre da una generazione all’altra e da una vita all’altra è molto più lento, perciò notiamo i vuoti. Quindi viviamo a molti livelli ritmici diversi.

Questa è la natura del cambiamento. Se si oppone resistenza, si verifica dukkha. Si prova una sensazione di frustrazione e sofferenza. D’altra parte, però, se si comprende il cambiamento non ci si aggrappa a esso e lo si lascia scorrere. A quel punto non costituisce più un problema, diventa decisamente bello.

Da: Alan Watts, “Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente“, Macro Edizioni, 2019.

Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente

Alan Watts, Lo zen e l'arte di imbrogliare la mente
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N. pagine: 224
Alan Watts ci invita a sottrarci alla trappola della consapevolezza ordinaria, smettendo di prendere la vita così seriamente per cominciare a godercela in completa sincerità, rinunciando al "mito di noi stessi", che ci illude di essere degli ego racchiusi in un involucro di pelle e separati dalla realtà circostante. Questo concentrato degli interventi più interessanti di Watts spiega in modo affascinante e ironico i principi della filosofia buddhista e la sua applicazione nella vita quotidiana.
Paolo Subioli

Pur essendo un volume postumo, basato sulla rielaborazione di trascrizioni di discorsi di Alan Watts, questo libro è bellissimo. C’è tutta l’erudizione, l’acume e l’ironia del filosofo inglese.

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[La foto è di Pixabay]

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