
Vito Mancuso, per dare risposta alla nostra ricerca di senso della vita, propone un “ottimismo drammatico”, dal quale può emergere già fin d’ora qualche raggio della risurrezione, cioè di una vita diversa.
Questa dispendiosa avventura cosmica in cui siamo capitati nascendo può essere letta come assurda vicenda priva di senso, o come disegno intelligente e razionale in ogni dettaglio, oppure come entrambe le cose, le quali, componendosi e scomponendosi, formano un dramma. Io percepisco il mondo come un dramma, all’interno del quale l’essere umano può, se vuole, ritrovare un senso. Lo può ritrovare però solo se si dispone a costruirlo e si mette in gioco in prima persona dando fiducia all’esperimento-vita. All’interno della generale caducità c’è una possibilità di acquisire senso, ma per un essere dotato di libertà qual è l’uomo il senso non è in alcun modo scontato, non è un dato a priori che è lì e basta aprire gli occhi per riconoscerlo, come adesso guardando fuori dalla finestra vedo una nuvola bianca che un meteorologo chiamerebbe cumulus mediocris. Dato che la libertà è reale, il senso può essere solo il risultato di un lavoro.
A chi investe su di essa il capitale della propria fiducia, la vita lo restituisce moltiplicato, persino «cento volte tanto» come dice Gesù nel Vangelo (Marco 10,30). Personalmente il senso che ritrovo è la relazione armoniosa, non in quanto armonia prestabilita, ma in quanto liberamente stabilita, e che per essere tale richiede lavoro, fiducia, affidamento, scavo interiore. Occorre immettere lavoro nel sistema mondo sotto forma di energia pulita. Questo lavoro che immette energia pulita nel sistema mondo si chiama giustizia ed è il modo più autentico, a mio avviso, di vivere la vita.
Ne scaturisce una concezione della vita all’insegna della dinamicità dell’essere, creazione continua e decreazione continua, una visione dialettica che sa rendere ragione dei dati scientifici attuali (l’evoluzione) e del vivo senso del Dio cristiano (l’amore), e che consegna una visione della vita che io definisco ottimismo drammatico: ottimismo, perché la vita è orientata verso una crescita dell’organizzazione; drammatico, perché non esiste lavoro che non richieda fatica e perché la nascita del nuovo può avvenire solo mediante la morte di ciò che nuovo non è più.
La speranza sente che da una simile partecipazione al dramma del mondo senza risparmiare se stessi può emergere già fin d’ora qualche raggio della risurrezione, cioè di una vita diversa, non più sottoposta alla lotta della selezione naturale e alla caducità, ma partecipe della definitiva dimensione dell’essere simboleggiata dalla risurrezione e che Gesù chiamava «regno di Dio». Per questo motivo nel cuore di chi coltiva la spiritualità vi è una fiducia di fondo verso la vita e il suo destino, sul suo volto un delicato e permanente sorriso.
Da: Vito Mancuso, “Dio e il suo destino“, Garzanti, 2015.
Dio e il suo destino

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