
Spesso la nostra mente costruisce una visione delle cose e delle emozioni derivata dall’unire i puntini di tante impressioni diverse, ma che non riflette la realtà. Rob Burbea ci spiega come la consapevolezza può aiutarci.
Man mano che la pratica di meditazione si sviluppa, si verificano dei momenti in cui la qualità della consapevolezza è relativamente più forte e continua rispetto ad altri momenti, e si è in grado di prestare maggiore attenzione alle cose, interne ed esterne. A quel punto, è possibile iniziare a vedere che ciò che a prima vista sembrava così solido in realtà presenta molte lacune. Ma soprattutto, possiamo cominciare a capire, a un certo livello, come vengono fabbricate le percezioni di solidità. Proprio come nelle attività di disegno per bambini di tipo “Unisci i puntini” – dove si seguono e si uniscono i punti numerati con una linea di matita per ottenere un’immagine di qualcosa o altro – la consapevolezza ravvicinata può mostrare che la mente unisce i “punti” frammentati dell’esperienza momentanea, fabbricando così un’esperienza “più grande” e più solida. E più un’esperienza sembra grande e solida, maggiore è l’attaccamento e il dukkha che comporta. Questo “unire i puntini” avviene sia pensando a un’esperienza imminente nel futuro, sia mentre la stiamo vivendo.
L’esempio del pasto
Per esempio, una mattina, forse in un momento in cui non mi sento pienamente connesso con quello che sto facendo, penso al pranzo e immagino che sarà davvero meraviglioso. Comincio ad anticiparlo con impazienza, forse persino a diventare un po’ irrequieto o impaziente, mentre la mente si solidifica, si solleva e assapora la sua immagine della “beatitudine del pranzo”. Se invece prendo il momento del pasto come un periodo di meditazione e porto tutta la consapevolezza che posso avere sull’intera esperienza del pranzo, cosa noto?
I meditatori principianti spesso scoprono che mangiare con consapevolezza un pasto gustoso ne aumenta notevolmente il piacere. Può rivelarsi un mondo di piacere, talvolta squisito, più presente e connesso con la sottigliezza delle sensazioni del gusto, dell’aroma e della vista.
Ma man mano che la consapevolezza diventa più acuta e continua, inizio a notare più da vicino ciò che sta effettivamente accadendo. Un boccone di cibo in bocca: le sensazioni del tatto, forse del calore, e della masticazione…; chomp, chomp, chomp, un’esplosione di sensazioni gustative piacevoli, “Wow!” (può anche essere molto piacevole);… chomp, chomp, ancora un po’ di gusto;… chomp, chomp, chomp, chomp, altre sensazioni gustative neutre, in mezzo a molte sensazioni di masticazione;… chomp, chomp, chomp… forse un gusto non così piacevole per un momento o due; altre sensazioni di masticazione, probabilmente neutre, con in realtà sporadiche sensazioni gustative, a volte piacevoli, che emergono tra di esse. L’insieme, trovo, non è di certo vicino a un’esperienza ininterrotta di gusto piacevole. Hmmnn… Anche se prestassi attenzione solo alle sensazioni gustative in bocca, potrei notare che in realtà i momenti di gusto piacevole sono nettamente inferiori ai momenti di esperienza più neutra che sono intervallati tra loro. Senza questa attenzione, tuttavia, non posso vedere che la mente ha “unito i puntini” nella sua immagine del pranzo. Potrebbe essere sorprendente, ma la solidificazione e l’elevazione di alcune esperienze sembrano richiedere un certo grado di disattenzione.
L’esempio del tempo “terribile”
Oppure consideriamo un esempio in cui l’avversione è un impedimento. Guardando fuori dalla finestra un tempo un po’ piovoso e ventoso, potrebbe sorgere il pensiero: “È un tempo terribile“, e c’è una riluttanza, un’avversione, a uscire per una passeggiata. Se siamo costretti ad andarci, la sensazione è effettivamente terribile e la nostra percezione è confermata dalla nostra mancanza di indagine. Prestando più attenzione mentre siamo fuori sotto la pioggia, però, vediamo anche qui che ci sono molte lacune in tutta questa esperienza, e certamente lacune nella “terribilità” di essa. Ci possono essere alcuni momenti di freddo sul viso, ma si riconosce che sono in realtà intermittenti; poi di tanto in tanto una goccia di pioggia può scorrere sul collo, costellando per qualche istante un’esperienza un po’ sgradevole (anche questo, però, si rivela con una più attenta consapevolezza contenere delle lacune); forse niente di che per un momento o due; forse qualche momento in cui la brezza sembra anche solo leggermente piacevole; un altro momento leggermente sgradevole quando una goccia di pioggia fredda schizza sul viso, e così via… Senza attenzione, la mente – sia nell’immaginazione precedente che nella percezione reale quando siamo all’esterno – può facilmente concentrarsi sui “punti” più spiacevoli e unirli selettivamente per creare l’esperienza “terribile”, fabbricando un senso di solidità e più dukkha nel processo.
La consapevolezza sostiene la possibilità di indagare e di chiederci, in un certo senso, “Cosa c’è di così terribile qui?”. Essa vede oltre la costruzione di una grande cosa terribile, a partire da piccoli momenti discreti dell’esperienza. Ci rendiamo conto che il “tutto”, costruito inconsapevolmente da questi momenti separati e più piccoli, è in realtà vuoto, un’invenzione.
L’esempio delle generalizzazioni sulla vita
Anche le credenze in generalizzazioni e astrazioni più grossolane possono essere talvolta minate in questo modo. Se consideriamo ad esempio la generalizzazione, che a volte si fa, del “non sapere cosa farò della mia vita”, un’auto-interrogazione riflessiva o una consapevolezza più costante rivelerebbero che ci sono molti momenti della giornata in cui in effetti c’è un “sapere cosa c’è dopo”: “Vado a farmi una doccia”, oppure “Vado a prendere un caffè con un amico”. Le astrazioni e le generalizzazioni, come “la mia vita” e “l’ignoto”, vengono smascherate in parte da queste semplici constatazioni – per esempio che nella totalità delle diverse esperienze c’è sia il sapere che il non sapere; di certo non è tutto ignoto.
La consapevolezza e l’indagine supportano una sorta di superamento di alcune astrazioni in un modo che può essere calmante, aperto e liberatorio.
Sperimentare le emozioni in modo più attento
Questo “unire i puntini” è evidente anche, in modo più sottile, con le emozioni. Se si presta attenzione all’esperienza della tristezza, ad esempio, in modo curioso e non pressante, non si troverà una continuità ininterrotta di quell’emozione. Al contrario, in genere troviamo più che altro una serie di granelli di tristezza, con degli spazi vuoti tra un granello e l’altro. Potremmo trovare, per esempio, un momento di tristezza, forse seguito da un altro momento di tristezza, ma non così intenso; questo seguito da un momento di un’altra emozione, per esempio la pace; poi di nuovo un momento di tristezza; un momento di quella che sembra un’assenza di emozioni; un altro momento di tristezza più forte; un momento in cui un sentimento di amore, compassione o tenerezza viene maggiormente alla ribalta; e così via…
Avvertendo in precedenza la presenza di questa tristezza, è possibile che ci sia stata paura di questa emozione – paura di lasciarla sentire del tutto, o forse di esserne sopraffatti. Scopriamo, però, che non è così solida e pesante come pensavamo. Nell’esperienza c’è più spaziosità, più leggerezza, di quanto immaginassimo. Tuttavia, solo un’attenzione mentale relativamente attenta e delicata può rivelarlo. È possibile sperimentare la tristezza come un’emozione continua, ma solo se la mente ha la possibilità, per mancanza di attenzione intima, di unire i puntini, di ricucire i momenti senza che ce ne accorgiamo.
Potremmo quindi dire che la consapevolezza rivela un modo in cui stiamo costruendo qualcosa solidificandone la percezione, dandole una continuità che non possiede intrinsecamente. E una stretta attenzione alla mente è realmente in grado di indebolire questo processo.
Pratica: unisci i puntini
Prova a dare a tutta una serie di esperienze diverse un’attenzione intima, attenta e precisa, momento per momento. Riesci a notare i “vuoti” nell’esperienza di una “cosa”?
Vedi se riesci a mantenere per un po’ di tempo quel livello di consapevolezza che vede i vuoti. Che differenza fa allora nel tuo senso di quella cosa?
Come ci si sente a vedere in questo modo?
Nelle tue indagini, assicurati di includere varie emozioni e stati mentali, così come esperienze fisiche piacevoli, spiacevoli e anche “neutre” che coinvolgono diverse porte sensoriali (il gusto, il tatto e le sensazioni corporee sono particolarmente favorevoli a questo tipo di indagine).
Da: Rob Burbea, “Seeing That Frees: Meditations on Emptiness and Dependent Arising“, Hermes Amāra, 2015.
Nota: i neretti e i titoli dei paragrafi, non presenti nel testo originale, sono stati aggiunti per una maggiore leggibilità in formato digitale.
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