
La Meditazione Trascendentale: come praticarla, chi l’ha inventata e quali effetti ha, secondo la chiara spiegazione di Bob Roth, che racconta anche come i Beatles si innamorarono di questa pratica straordinaria.
Cos’è esattamente la meditazione trascendentale o MT? Quando mi chiedono di darne una definizione, inizio sempre citando tre caratteristiche: è semplice; è naturale e non richiede alcuno sforzo.
Semplice non vuole dire semplicistica, e non sta a indicare nemmeno la meditazione di un principiante, ma sottintende l’elegante semplicità di questa pratica.
La meditazione trascendentale è naturale, perché non si basa sulla suggestione né sulla manipolazione.
Infine, non implica alcuno sforzo, perché non richiede concentrazione né controllo.
Ritengo però che sia altrettanto interessante capire che cosa non è la meditazione trascendentale.
Innanzi tutto non è una religione. Nel corso degli ultimi sessant’anni, circa otto milioni di persone di ogni credo religioso si sono avvicinati alla pratica della meditazione trascendentale.
La MT non è una filosofia. Non è nient’altro che una tecnica che, una volta imparata, si esercita in modo autonomo.
Non è un cambiamento dello stile di vita. Una volta che impara a meditare. non è necessario cambiare la dieta e iniziare all’improvviso a mangiare, per esempio, tofu (a meno che non lo si desideri).
Infine, non è qualcosa a cui bisogna credere, e pertanto poco importa se sei scettico al cento per cento: la tecnica è ugualmente efficace, che tu ci creda o no.
La meditazione trascendentale non è un’abilità che si “migliora” nel tempo, dopo settimane o addirittura mesi di pratica, ma si impara a padroneggiarla in poche ore, distribuite nell’arco di alcuni giorni, e a quel punto la tecnica diventa tua per il resto della vita.
Come ho già accennato, la meditazione trascendentale si pratica per venti minuti, due volte al giorno. seduti comodamente su una sedia (oppure sul letto o dovunque tu ti senta a tuo agio), mantenendo gli occhi chiusi. Si può scegliere l’intimità di casa propria, ma con la stessa facilità lo si può fare in treno, in aereo o in macchina (purché tu non sia al volante!). È una tecnica silenziosa, perciò non disturberai nessuno mentre mediti. Se durante la meditazione avverti una sensazione di prurito, non farti alcun problema e grattati in libertà. Ricordo che una volta, mentre insegnavo a meditare a un manager di una casa discografica, gli dissi che poteva muoversi durante la pratica, se ne sentiva il bisogno. Dal sollievo, i suoi occhi si riempirono letteralmente di lacrime. Da qualche decina d’anni si sforzava infatti di padroneggiare le tecniche di meditazione che richiedevano concentrazione e controllo di mente e corpo. Ogni volta che la mente si affollava di pensieri o che sentiva la necessità di eliminare un prurito o muovere le gambe per mettersi più comodo, aveva la sensazione di aver fallito per l’ennesima volta.
Ma non è tutto: se durante la meditazione avverti una certa sonnolenza, non devi combatterla. Non è un problema, se ti addormenti per la stanchezza è probabile che dormirai per un paio di minuti, svegliandoti poi riposato e rinvigorito, pronto a continuare la pratica. Questo significa semplicemente che il tuo corpo ha bisogno di un po’ di riposo profondo in più, e tutto ciò fa parte della meditazione.
Forse sei sempre stato attirato dall’idea di meditare, ma ti scoraggia il fatto di dover rimanere seduto per venti minuti, una vera sfida, se non un’impresa impossibile per te. Ti posso assicurare che, invece, è possibile. Seguo bambini di dieci anni affetti da da deficit di attenzione e iperattività, che prima di intraprendere questo percorso non erano in grado di rimanere seduti con gli occhi chiusi per più di trenta secondi e adesso adorano meditare. Se ce l’hanno fatta loro, puoi farcela anche tu.
Perché allora tante persone pensano che la meditazione sia difficile? La risposta è in uno sfortunato equivoco sulla natura della mente. Per molto tempo, l’idea prevalente è stata che i pensieri sono nemici della meditazione, in quanto distraggono, disturbano e ne riducono gli effetti, perciò devono essere ridotti al minimo, se non eliminati del tutto. Ho insegnato a meditare a Oprah Winfrey, la quale mi confermò esattamente questa visione. Il suo problema era che continuava a lasciar perdere la meditazione perché non poteva fare a meno di avere tanti pensieri. Dopo la prima esperienza con la meditazione trascendentale, fu visibilmente sollevata: “E così a misura d’uomo” fu il suo commento che ben descrive la natura molto flessibile della pratica. Oprah rimase così soddisfatta dell’esperienza, che ci chiese di insegnare a meditare a tutti i quattrocento membri del team della sua casa di produzione, Harpo, e a dell’Oprah Winfrey Network.
Passiamo ora a esaminare i fondamentali principi d’azione della meditazione trascendentale.
A differenza di altre pratiche meditative, nella MT i pensieri fanno parte del processo. Non è necessario controllare la “mente scimmia” perché, di fatto, la nostra mente non è una scimmia che ha bisogno di essere dominata, e, d’altra parte, non è vero che vaga senza uno scopo, nel senso che non vaga per niente.
Secondo Maharishi, la tendenza naturale della mente non è spaziare senza una direzione, ma cercare qualcosa di più soddisfacente e interessante, una maggiore conoscenza e più felicità. Questa visione è fondamentale per comprendere non solo la modalità di azione della meditazione trascendentale, ma anche la differenza con le altre tecniche meditative.
Immagina di essere seduto in una stanza, mentre ascolti una musica terribile, quando all’improvviso dalla stanza accanto sopraggiunge una melodia meravigliosa, la più bella musica che tu abbia mai sentito, Dove si sposterà automaticamente la tua attenzione? Verso la musica meravigliosa, è ovvio, e desidererai abbassare il volume della musica meno piacevole per alzare quello della soave melodia.
Immagina ora di trovarti a un aperitivo, in attesa che la cena sia servita, bloccato da una persona che non ti ispira simpatia e che ti racconta un sacco di cose banali. La tua mente, a poco a poco, diventa come intorpidita, finché all’improvviso, non distante da te, riesci a cogliere frammenti di una conversazione molto interessante, A quel punto cercherai di essere gentile con la persona che ti sta di fronte, mantenendo il contatto visivo, ma la tua attenzione continuerà a essere attratta dalla discussione più coinvolgente che si svolge a pochi passi da te.
Per fare un altro esempio, poniamo il caso che finalmente tu riesca a partire per una vacanza e decida di portarti due libri, Uno di questi è talmente noioso che non riesci ad andare oltre la prima pagina; l’altro ti assorbe a tal punto che ti immergi nella lettura per ore, senza accorgerti del tempo che passa.
Queste tre situazioni abbastanza frequenti hanno una cosa in comune: la mente è attratta in modo naturale da ciò che è più appagante. Non esiste riflessione né intellettualizzazione e nemmeno il tempo di considerare le possibilità o soppesare i pro e i contro, per esempio, della tua scelta musicale. Se la musica è bella, la mente ne sarà attratta in modo naturale.
La ricerca incessante di appagamento o di felicità porta la mente a rivolgersi all’ambiente esterno attraverso i sensi. Vai al cinema, provi un ristorante nuovo o scegli una meta diversa per le vacanze, oppure ti compri un abito o esci a cena con una persona interessante che hai conosciuto da poco. In ognuno di questi casi, la felicità scaturisce da un’esperienza esterna, senz’altro piacevole e godibile, ma solo fintanto che dura. Infatti, si tratta di esperienze temporanee, fugaci: la vacanza finisce, si spengono le luci in sala e il nuovo amico se ne torna a casa, e a quel punto sei inesorabilmente attratto di nuovo verso l’esterno per trovare la prossima ragione di “felicità”.
Este uno spazio in cui appagamento e felicità non fluttuano, non sono fugaci e sono superiori a qualsiasi esperienza “esterna”. Questo spazio risiede nel livello più calmo e profondo della mente pensante. La meditazione trascendentale non fa altro che creare un collegamento tra la superficie e la profondità, sfruttando la tendenza naturale della mente a cercare maggiore soddisfazione e offrendo una direzione interiore, in modo che l’attenzione vi sia attratta all’istante, in maniera del tutto automatica e senza alcuno sforzo. La mente attiva e colma di pensieri a quel punto si calma, rivolgendosi al livello più appagante della consapevolezza. È questa l’esperienza “interiore” tanto decantata dai testi di meditazione nel corso dei secoli.
Immagino che ora tu voglia sapere come fare per accedervi. Con un mantra, ovvero una parola o un suono che funge da veicolo per facilitare il processo di discesa silenziosa dalla superficie alla profondità, dal rumore alla quiete. Il mantra non è associato ad alcun significato e i suoi effetti sono notoriamente positivi e rigeneranti, Il suo unico scopo è aiutare la mente ad accedere a quella calma interiore, senza alcuno sforzo.
Come si ottiene un mantra nella meditazione trascendentale? Ti verrà trasmesso da un insegnante appositamente formato, secondo una modalità che si perpetua da oltre cinquemila anni, Egli ti darà il tuo mantra e poi ti insegnerà a usarlo in modo corretto, con naturalezza e senza sforzo, senza alcuna concentrazione né controllo della mente. Apprenderai i sottili meccanismi per portare l’attenzione della mente volitiva in una direzione interiore, iniziando a calmarti e a trascendere nella quiete, in modo automatico. Imparerai inoltre ad affrontare il costante afflusso di pensieri, i rumori esterni, la sensazione di sonnolenza, la voglia di grattarti e tutto ciò che accade durante la pratica. L’insegnante rimarrà sempre accanto a te, per rispondere a qualsiasi domanda nel momento stesso in cui si presenta.
Spesso mi è stato chiesto il motivo per cui è necessario essere seguiti da un insegnante, preferendo magari praticare da soli. Ti risponderò, raccontandoti un’esperienza che ho vissuto tanto tempo fa. Avevo dodici anni e come ogni estate partecipai al campo scout nella Sierra Nevada, in California. Era una calda mattinata di luglio, quando partimmo per un’escursione di trenta chilometri tra spettacolari panorami di vette, sentieri rocciosi e fitti boschi. La nostra guida era uno scout anziano che si chiamava Bruce Wagncr (ebbene si, ricordo ancora il suo nome) che era passato per quei sentieri un’infinità di volte, nel corso di molti anni, Bruce conosceva ogni curva, ostacolo o dirupo del percorso, perciò posso dire che volammo lungo quei trenta chilometri. Fu impegnativo, ma divertente, c infine eravamo tutti molto soddisfatti. Quando ripenso a quell’esperienza, mi chiedo se sarei riuscito a farcela da solo. Forse sì, anche se ricordo che in alcuni punti il sentiero era poco segnato. Ciò che mi è rimasto impresso è la presenza costante di Bruce che ci guidava passo dopo passo, dandoci grande sicurezza.
Per questo motivo mi è difficile comprendere perché alcune persone rifiutino l’idea di essere seguite da un insegnante di meditazione. Pretendiamo che i nostri figli imparino a fare i calcoli, a nuotare o a suonare il pianoforte sotto la guida di un insegnante qualificato, per non parlare del medico a cui ci rivolgiamo per diagnosticare e curare i nostri malanni.
Mi chiedo allora perché sia così difficile accettare un insegnante altrettanto preparato che ci guidi nella pratica della meditazione, non solo mentre la si apprende, ma ogniqualvolta, nella vita, sopraggiungano dubbi o la necessità di un ripasso.
Come ho già detto, insegno da oltre quarantacinque anni, nel corso dei quali ho avuto modo di incontrare migliaia di persone, tra cui molti scettici. Ogni individuo che si rivolge a me per imparare a meditare è unico, con esperienze di vita, dubbi, domande, ritmo di apprendimento propri. Non smetto mai di meravigliarmi di fronte alla precisione e all’efficacia dei semplici passaggi richiesti per istruire individualmente uno studente a meditare, e nel vedere con quanta facilità, una volta appresa la tecnica in modo corretto, ciascuno sia poi in grado di praticarla in modo autonomo. In effetti, la reazione più frequente a conclusione di questo percorso è la sorpresa: “Mi avevi detto che meditare non avrebbe richiesto alcuno sforzo, ma non immaginavo che potesse essere così semplice!”
La facilità di apprendimento è stata confermata da uno studio del 2017, secondo il quale le persone che praticano la MT da un solo mese hanno riportato la stessa frequenza di esperienze di trascendenza di coloro che la praticano da cinque anni. In conclusione, sia per i neofiti che per gli esperti di MT, trascendere – superare il chiacchiericcio della mente per accedere a un livello di pensiero più calmo e profondo è un passaggio naturale, perché non si tratta di una capacità acquisita con fatica ma, di fatto, non richiede sforzi.
Come funziona la meditazione trascendentale
- La mente ha diversi livelli: i livelli superficiali della mente pensante sono attivi, spesso agitati e talvolta congestionati, mentre i livelli più profondi sono più calmi ed espansi. Per natura, il livello più profondo è il più appagante.
- Per la mente è naturale essere attratta senza fatica dagli ambiti di maggiore soddisfazione.
- La MT indirizza l’attenzione verso lo spazio interiore e, attraverso l’uso corretto di un mantra, la mente si acquieta in modo naturale e senza sforzo, sperimentando il proprio stato di consapevolezza trascendente più silenzioso e calmo.
- Questa esperienza produce uno stato unico di quieta vigilanza, che è al centro della costellazione di cambiamenti neurofisiologici della mente, del corpo e del comportamento.
Chi era Maharishi MaheshYogi? È veramente sorprendente che un monaco, fisico di formazione, che scelse di vivere in solitudine tra le alte vette dell’Himalaya sia riuscito a portare la meditazione a milioni di persone, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quando la gola idea di meditare veniva spesso considerata un’ assurdità, Ecco in breve la sua storia.
Dopo aver conseguito la laurea in fisica nel 1941, in India, presso la Allahabad University, Maharishi ebbe la rara opportunità di lavorare e studiare per tredici anni a stretto contatto con il suo maestro, Brahmananda Saraswati, noto anche come Guru Dev, considerato il maggiore scienziato della coscienza e uno dei più illustri esponenti della tradizione vedica dell’epoca. Dopo la morte di Guru Dev, avvenuta nel 1953, Maharishi si ritirò nel piccolo villaggio di Uttarkashi, ai piedi dell’Himalaya indiano, dove scelse di vivere in silenzio e in solitudine per due anni, sulle rive del Gange. Nel 1955 intraprese un viaggio in solitaria per insegnare la tecnica di meditazione che aveva appreso dal suo maestro e che era stata tramandata dai grandi maestri nel corso di migliaia di anni.
In quei primi giorni in India, il messaggio di Maharishi, che parlava di una meditazione semplice, che non richiedeva sforzo, non religiosa e alla portata di tutti incontrò resistenza in alcuni ambienti, in particolare tra coloro che la consideravano una pratica d’élite, per la quale erano necessari una severa disciplina, duro lavoro e un decennale rigore, prima di poter iniziare a padroneggiare le sue arti arcane.
Al contrario, Maharishi sosteneva che la meditazione è un diritto di tutti. Non è necessario essere eremiti, indossare vesti colorate, sedersi in modo rigido o seguire una dieta particolare per imparare bene la pratica e beneficiare dei risuluti. Non esistono distinzioni di classe né di casta per meditare. Poiché lo spazio del silenzio risiede nel profondo della mente, esso esiste per tutti, qualunque sia il livello di istruzione, la religione, il sistema di credenze, l’età, la professione o lo stile di vita di un individuo.
Liberando la meditazione da tutte queste trappole interpretative, Maharishi ha applicato il proprio approccio scientifico all’insegnamento della tecnica. Ben presto, dopo il primo viaggio negli Stati Uniti, avvenuto nel gennaio 1959, iniziò a incontrare gli scienziati per incoraggiarli a studiare gli effetti neurofisiologici della meditazione trascendentale, sostenendo che, al pari di qualsiasi altra cura o modalità di trattamento riconosciuta, si sarebbe fondata sugli effetti benefici dimostrati scientificamente. I primi studi clinici condotti nel 1968 presso la Harvard Medical School e la UCLA Medical School furono pubblicati sulle riviste Science, nel 1970, e ScientificAmerican, nel 1972. Nello studio di Harvard, i ricercatori guidati dal fisiologo Robert Keith Wallace esaminarono i cambiamenti straordinari nei tracciati delle onde cerebrali durante la pratica della meditazione trascendentale e li correlarono a una riduzione del tasso metabolico. Wallace e altri studiosi definirono quego stato meditativo un “quarto stato principale di coscienza”, distinto dagli stati di veglia, di sonno e dallo stato onirico. Quei primi due studi diedero il via alla ricerca sullaMT, ma contribuirono anche a promuovere ricerche approfondite su altre tecniche di meditazione.
A quel tempo, la stampa popolare proponeva un ritratto di Maharishi molto diverso dall’uomo con cui ho avuto l’opportunità di lavorare per oltre quarant’anni. Negli anni Sessanta, un monaco che portava i capelli lunghi e indossava un dhoti bianco era una stranezza. La stampa lo notò nell’agosto del 1967, quando Maharishi tenne una conferenza all’hotel Hilton di Londra, alla quale presenziarono anche tre ragazzi seguiti da una schiera di gioranlisti. Erano tre dei quattro componenti della band dei Beatles: Paul McCartney, John Lennon e George Harrison (Ringo Starr era rimasto a casa con il figlio Jason, nato da poco).
Il giorno seguente durante un corso organizzato in Galles, Maharishi insegnò a tutti e quattro i Beatles a meditare e loro continuarono a farlo per tutta la vita. In un’intervista con il giornalista David Frost, George Harrison descrisse l’esperienza della MT, dando ancora una volta prova del suo talento per la scrittura: “L’idea fondamentale è trascendere fino al livello più sottile del pensiero. E il mantra diventa sottile, sempre più sottile, finché non trascendi il mantra stesso e allora ti ritrovi al livello di pura coscienza”
“Quando raggiungi quel punto” continua George, “sei nella profondità, al di là dell’esperienza comune, a un livello senza tempo, senza spazio, senza identità. Perciò non sai nemmeno per quanto tempo ci rimani. Entri solo in contatto e poi ritorni al livello superficiale, a questo livello”
George Harrison ha descritto ciò che gli antichi testi di meditazione, in tutte le culture, hanno decantato per millenni: la trascendenza.
Da: Bob Roth, “Meditazione trascendentale: Come vincere lo stress e migliorare salute e felicità“, Demetra, 2018.
Per approfondire:
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Video: i Beatles e la Meditazione Trascendentale
Un video (in inglese) sui Beatles e la Meditazione Trascendentale, con un’ampia raccolta di interviste a Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr. Sono evidenziate in particolare le iniziative della David Linch Foundation, creata dal regista David Linch, attiva nel diffondere la Meditazione Trascendentale, in particolare nelle scuole. Il video si conclude con una bella esecuzione dal vivo, nel 2009, della canzone “Cosmically Conscious” di Paul McCartney, scritta nel 1968, durante la permanenza dei Beatles a Rishikesh, presso l’ashram di Maharishi Mahesh Yogi. Le parole della canzone sono ispirate a Maharishi stesso, che frequentemente usava espressioni come “cosmically conscious” (“cosmicamente cosciente”) e “it’s a joy“ (“è una gioia”).
Durante il loro periodo di addestramento alla Meditazione Trascendentale a Rishikesh, i Beatles composero la maggior parte delle canzoni contenute nel famoso White Album, uscito nel 1968.
Meditazione trascendentale. Come vincere lo stress e migliorare salute e felicità

Ascolta lo White Album dei Beatles
La più famosa raccolta di canzoni scritta sotto gli effetti della Meditazione Trascendentale:
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