La meditazione porta alla liberazione, ma non sempre in modo graduale

La meditazione porta alla liberazione

Potremmo pensare che la liberazione possa essere raggiunta in modo graduale, attraverso una pratica costante di meditazione, ma non è proprio così. Massimo Tomassini in questo brano ci spiega perché.

L’insegnamento del Buddha si sottrae in molti punti alla linearità di un approccio “gradualista” per cui la liberazione e il risveglio sono affidati a una pratica il più possibile intensa e regolare nella quale progressivamente si fa spazio la comprensione della natura di tutte le cose e si raggiunge la realizzazione del non-sé. Nel Dharma c’è spazio anche per l’imprevisto, per l’imponderabile, per ciò che è difficile racchiudere in formule, come mostra un passo molto noto:

Dunque, Bahiya, ti dovrai esercitare così. Riguardo a ciò che si vede, ci sia solo ciò che si vede. Riguardo a ciò che si ascolta, ci sia solo ciò che si ascolta. Riguardo a ciò che si sente, ci sia solo ciò che si sente. Riguardo a ciò che si conosce, ci sia solo ciò che si conosce. È in questo modo che ti dovrai esercitare. Quando per te ci sarà solo ciò che si vede in ciò che si vede, ciò che si ascolta in ciò che  si ascolta… allora, a quel punto, non ci sarà un “tu” in rapporto a tutto ciò. E se non ci sarà un tu, non sarai né qui né al di là di qui, e neanche in mezzo, Questa, e solo questa, è la fine della sofferenza.

In queste parole, rivolte a un uomo che gli chiedeva insistentemente di essere edotto rispetto al Dharma, il Buddha condensa una formula che si pone come un nucleo della questione intorno alla quale ruota tutto la sua visione del meditare. La meditazione appare come un esercizio basato sulla nuda consapevolezza della natura del sé, visto in questo caso come mera aggregazione di “basi sensoriali” in cui gli organi dei sensi si combinano con gli oggetti da essi percepiti. La semplicità assoluta della formula “in ciò che si vede… si ascolta… ” è una sorta di punto di condensazione di una materia estremamente complessa che evoca un luogo virtuale che non è “né qui né al di là di qui, e neanche in mezzo”

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Bahiya, il viandante desideroso di comprendere, è tutt’altro che un grande meditante. È uno che ha fatto un lungo cammino per incontrare il maestro e chiedergli cosa sia il Dharma. Alcuni monaci cercano di dissuaderlo dall’incontrare il maestro. Ma Bahiya non si dà per vinto, si slancia nelle vie della città fino a incontrare il Buddha per porgli la domanda. Il Buddha sulle prime resiste poi gli offre la sua lezione “devi meditare così… “. Bahiya, profondamente toccato, si allontana. Ha compreso. Ma di lì a poco muore accidentalmente travolto da una mucca impazzita. Quando apprende questa notizia il Buddha afferma che Bahiya ha ottenuto la liberazione. A chi gli chiede come sia possibile che uno sprovveduto senza esperienza abbia potuto conseguire qualcosa che altri cercano per tutta la vita attraverso un esercizio continuo, il Buddha risponde di aver visto, in virtù dei suoi poteri, che Bahiya aveva compreso e che si era liberato nell’istante della comprensione.

Questo sutra può essere inteso come correttivo alla logica della meditazione in quanto via progressiva o “training graduale” per cogliere la realtà e acquisire la liberazione della sofferenza. La via – sembra dire il sutra – richiede in primo luogo l’intenzione di percorrerla, scontando le proprie insufficienze ma soprattutto essendo animati da una profonda intenzione di conoscere-comprendere. In altri termini, non ci si può affidare alla meditazione come tecnica ma è richiesto uno sforzo di intuizione che riguarda la stessa natura della pratica e la sua posta in gioco. La liberazione di Bahiya è molto più prossima a un’illuminazione immediata di tipo zen – il satori – che non al lento procedere attraverso gli step della meditazione praticata secondo i canoni delle diverse tradizioni orientate al “training graduale”. Quest’ultimo, peraltro, anche se meno affascinante dell’illuminazione istantanea, appare più adatto alle esigenze del medius homo della nostra epoca in cui la passione per la verità e la spinta al “bene” sono sepolte sotto cumuli di condizionamenti difficilmente superabili attraverso un’intuizione non comune.

Da: Massimo Tomassini, “La vita consapevole. La mindfulness dopo la mindfulness“, Castelvecchi editore, 2023.

Satori è il termine che nel buddhismo Zen designa l’illuminazione come esperienza profonda che accade in un istante topico e che cambia radicalmente il modo di vedere ed essere nel mondo. È sinonimo di “penetrazione”, “comprensione diretta, “vedere l’essenza”. Rimanda al concetto di “illuminazione istantanea” ottenuta a prescindere dal percorso del “training graduale”.

Per approfondire termini e temi citati nell’articolo – come intenzione, illuminazione istantanea, risveglio, satori – si veda il nostro Indice tematico.

[La foto è di KoolShooters]

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