
La leggenda del Buddha raccontata da Jeorge Luis Borges, uno dei più grandi narratori di sempre di storie fantastiche. La dimensione leggendaria e mitica ha avuto un ruolo decisivo nella diffusione del Buddhismo.
Paul Deussen ha osservato che la leggenda del Buddha è una testimonianza: non di ciò che il Buddha fu, ma di ciò che divenne in breve tempo; altri studiosi aggiungono che l’essenza del buddhismo ha trovato la sua espressione più profonda nel leggendario e nel mitico. La leggenda ci rivela ciò che credettero innumerevoli generazioni di uomini devoti, e che continua a vivere nella mente di una grande porzione dell’umanità.
La sua biografia inizia in cielo. Il Bodhisattva (colui che diventerà il Buddha, che significa ”il Risvegliato”) ha ottenuto, grazie ai meriti accumulati in infinite incarnazioni precedenti, di nascere nel quarto cielo degli dèi. Egli guarda la terra dall’alto e considera il secolo, il continente, il regno e la casta in cui rinascerà per essere il Buddha e salvare gli uomini. Sceglie sua madre, la regina Maya (nome che indica la forza magica che crea l’universo illusorio), moglie di Suddhodana, che è re nella città di Kapilavastu, nel sud del Nepal. Maya sogna che un elefante con sei zanne, con un corpo del colore della neve e la testa color rubino, le entri nel fianco.
Al risveglio, la regina non prova alcun dolore né peso, ma benessere e agilità. Nel suo corpo gli dèi creano un palazzo; e lì il Bodhisattva aspetta la sua ora, pregando. Nel secondo mese di primavera la regina attraversa un giardino; un albero le cui foglie risplendono come le piume del pavone le tende un ramo, che la regina accetta con naturalezza; in quel momento il Bodhisattva si leva e nasce dal suo fianco destro, senza farle alcun male. Il neonato fa sette passi, guarda a destra e a sinistra, in alto e in basso, avanti e indietro; vede che nell’universo non c’è nessun altro come lui e con voce di leone annuncia: «Sono il primo e il migliore; questa è la mia ultima nascita; vengo a porre fine al dolore, alla malattia e alla morte». Due nubi versano acqua calda e fredda per il bagno di madre e figlio; i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano, gli strumenti musicali suonano da soli; gli dèi del quarto cielo gioiscono, cantano e danzano; i reprobi all’inferno dimenticano le loro pene. Proprio in quel momento nascono la sua futura moglie, Yasodhara, il suo cocchiere, il suo cavallo, il suo elefante e l’albero alla cui ombra raggiungerà la liberazione. Il bambino riceve il nome di Siddharta, ma è anche conosciuto con quello di Gautama, che fu adottato dalla sua famiglia, i Sakya.
La madre muore sette giorni dopo la nascita del Bodhisattva e ascende al cielo dei trentatré deva. Un veggente, Asita, ode il giubilo di quelle divinità, scende dalla montagna, prende il bimbo in braccio e dice: «È lui l’incomparabile». In lui vede i segni dell’eletto: una specie di alta corona organica a metà del cranio, ciglia di bue, quaranta denti ben uniti e bianchi, mascella di leone, altezza pari all’estensione delle braccia aperte, colore dorato, membrane interdigitali e centinaia di forme disegnate sulla pianta del piede, tra le quali figurano la tigre, l’elefante, il fiore di loto, il piramidale monte Meru, la ruota e la svastica. Poi Asita piange, perché sa di esser troppo vecchio per ricevere la dottrina che il Buddha predicherà in futuro.
Gli interpreti del sogno di Maya hanno profetizzato che suo figlio sarà o il signore del mondo — un grande re —, o il redentore del mondo. Il padre vuole che si realizzi la prima delle due profezie e fa costruire tre palazzi per Siddharta, dai quali esclude tutto ciò che possa rivelargli la caducità, il dolore o la morte. Il principe si sposa all’età di diciannove anni; prima di allora, deve superare varie prove tra cui la calligrafia, la botanica, la grammatica, la lotta, la corsa, il salto e il nuoto. Deve trionfare anche nella prova dell’arco; la freccia scoccata da Siddharta cade più lontano di tutte le altre e, laddove cade, nasce una sorgente. Questi allori sono simboli della sua futura vittoria sul Demonio.
Il principe trascorre dieci anni d’illusoria felicità, godendo del piacere dei sensi nel suo palazzo, il cui harem ospita ottantaquattromila donne; ma una mattina Siddharta parte nel suo cocchio e vede con stupore un uomo curvo «i cui capelli non sono come quelli degli altri, il cui corpo non è come quello degli altri», che si appoggia a un bastone per camminare e la cui carne trema. Domanda che uomo sia quello: il cocchiere spiega che è un vecchio e che tutti gli uomini della terra diverranno come lui. Un’altra volta vede un uomo divorato dalla lebbra; il cocchiere spiega che è un malato e che nessuno può dirsi esente da quel pericolo. A una terza uscita vede un uomo portato in una bara; quell’uomo immobile è morto, gli viene spiegato, e morire è la legge di tutti coloro che nascono. Nell’ultima uscita vede un monaco degli ordini mendicanti che non vuole né morire né vivere (nelle ultime varianti della leggenda le quattro figure sono fantasmi o angeli). La pace è dipinta sul suo volto; Siddharta ha trovato la via.
La notte in cui prende la decisione di rinunciare al mondo, gli viene detto che sua moglie ha dato alla luce un figlio. Ritorna a palazzo; a mezzanotte si sveglia, gira per l’harem e osserva le donne addormentate. Vede una donna sbavare dalla bocca; un’altra, coi capelli sciolti e disordinati, sembra calpestata da elefanti; un’altra parla nel sonno; un’altra le mostra il viso pieno di piaghe; tutte sembrano morte. Siddharta dice: «Così sono le donne, impure e mostruose nel mondo degli esseri mortali; ma l’uomo, ingannato dalle loro grazie, le giudica desiderabili». Entra nella camera di Yasodhara; la vede addormentata con la mano sulla testa del figlio. Pensa: «Se tolgo quella mano, mia moglie si sveglierà; quando sarò Buddha tornerò e toccherò mio figlio».
Fugge dal palazzo, diretto a oriente. Gli zoccoli del cavallo non toccano terra, le porte della città si aprono da sole. Attraversano un fiume, saluta il servo che lo accompagna e gli affida cavallo e vesti, poi si taglia i capelli con la spada. Li getta in aria e gli dèi li raccolgono come una reliquia. Un angelo che ha preso la forma di un asceta gli consegna i tre capi dell’abito giallo, la cintura, il coltello, la scodella per le elemosine, l’ago e il setaccio per filtrare l’acqua. Il cavallo torna a casa e muore dal dolore.
Siddharta resta sette giorni in solitudine. Poi cerca gli asceti che vivono nella foresta; alcuni sono vestiti di erbe, altri di foglie. Si nutrono solo di frutta; alcuni mangiano una volta al giorno, altri ogni due giorni, altri ancora ogni tre. Rendono grazie all’acqua, al fuoco, al sole e alla luna. C’è chi sta su un solo piede e chi dorme su un letto di spine. Questi uomini gli parlano di due maestri che vivono al nord; i discorsi di questi maestri non lo soddisfano.
Siddharta va sulle montagne, dove trascorre sei duri anni dedito alla mortificazione e al digiuno. Non muta posto quando la pioggia o il sole gli cadono addosso; gli dèi lo credono morto. Alla fine, capisce che gli esercizi di mortificazione sono inutili; si alza, si bagna nelle acque del fiume e mangia un po’ di riso. Il suo corpo riacquista immediatamente l’antico splendore, i segni che Asita aveva riconosciuti e l’aura perduta. Uccelli volano sulla sua testa per onorarlo e il Bodhisattva si siede all’ombra dell’Albero della Conoscenza e comincia a pensare. Decide di non alzarsi di lì finché non avrà raggiunto l’illuminazione.
Poi Mara, dio dell’amore, del peccato e della morte, assale Siddharta. Questo magico duello o battaglia dura una parte della notte. Prima che il duello cominci Mara sogna di esser sconfitto e perdere il suo diadema, sogna di fiori appassiti e stagni seccati dei suoi palazzi, di rompere le corde dei suoi strumenti musicali, del suo capo ricoperto di polvere. Sogna che nel combattimento non può sguainare la spada; raduna però un vasto esercito di demoni, tigri, leoni, pantere, giganti e serpenti — alcuni grandi come palme, altri piccoli come bambini — cavalca un elefante alto centocinquanta miglia e assume un corpo con cinquecento teste, cinquecento lingue di fuoco e mille braccia, ognuna con un’arma diversa. Gli eserciti di Mara scagliano montagne di fuoco contro Siddharta; ma esse, per opera del suo amore, si mutano in palazzi fioriti. I proiettili formano un alto baldacchino sulla sua testa. Mara, sconfitto, ordina alle sue figlie di tentarlo; esse lo circondano, gli dicono che sono fatte per l’amore e la musica, ma Siddharta ricorda loro che sono illusorie e irreali. Con un cenno del dito, le trasforma in vecchie e decrepite. Coperto di confusione, l’esercito di Mara si disperde.
Solo e immobile sotto l’albero, Siddharta vede le sue precedenti e infinite incarnazioni e quelle di tutte le creature; abbraccia con lo sguardo gli innumerevoli mondi dell’universo e la concatenazione di tutte le cause e gli effetti. All’alba intuisce le quattro verità sacre. Egli non è più il principe Siddharta — egli è il Buddha. Le gerarchie degli dèi e i buddha futuri lo adorano, ma egli esclama:
Ho percorso il circolo di molte incarnazioni
cercando l’architetto. È duro nascere tante volte.
Architetto, finalmente ti ho trovato.
Non costruirai mai più,
la casa.
Termina qui (secondo Karl Friedrich Köppen) la forma più antica della leggenda, il vangelo del Nepal e del Tibet.
Altri sette giorni il Buddha resta sotto l’albero sacro; gli dèi lo nutrono, lo vestono, bruciano incenso per lui, lo coprono di fiori e lo adorano. Piove, e un re dei serpenti, un naga, si avvolge sette volte intorno al corpo del Buddha formando un tetto con le sue sette teste. Quando il cielo si schiarisce, il naga si trasforma in un giovane bramino che si prostra e dice: «Non volevo spaventarti; il mio solo scopo era di proteggerti dall’acqua e dal freddo». Dopo una breve conversazione, il naga si converte al buddismo. Il suo esempio è imitato da un dio, che entra nell’ordine come laico. I quattro re dello spazio offrono al Buddha quattro scodelle di pietra. Il Buddha, per non scontentare nessuno, le fonde in una sola, e per quarant’anni se ne servirà per ricevere le elemosine. Brahma scende dal firmamento con un grande seguito e prega il Buddha di iniziare la predicazione che salverà gli uomini. Il Buddha è d’accordo; il genio della terra comunica la sua decisione ai geni dell’aria, che a loro volta trasmettono la buona novella alle divinità di tutti i cieli.
Il Buddha s’incammina verso Benares. Entra dalla porta occidentale della città, chiede l’elemosina e si dirige al Parco dei Cervi. Giunto lì cerca cinque monaci, dei suoi vecchi compagni che si erano allontanati da lui quando aveva rinunciato ai rigori dell’ascesi; per essi fa girare la Ruota della Legge, mostra loro la Via di Mezzo, equidistante sia dalla vita dedita ai sensi e che dalla Vita austera, e insegna loro l’annientamento del dolore attraverso l’annientamento del desiderio. I monaci si convertono. In quel giorno, dice uno dei libri canonici, ci furono sei santi sulla terra. Così si costituirono le tre cose sacre: il Buddha, la sua dottrina e il suo ordine.
Un giorno, il Buddha arriva al Gange ed è costretto a passarlo in volo perché non ha le monete che il traghettatore chiede; un altro giorno converte un naga, dopo una conversazione in cui entrambi gettano dalla bocca fumo e fuoco. Infine il Buddha chiude il naga nella sua ciotola.
Chiamato dal padre, il Buddha ritorna a Kapilavastu accompagnato da ventimila discepoli. Lì, tra gli altri, converte suo figlio Rahula e suo cugino Ananda. Alcuni pescatori gli portano un enorme pesce con un centinaio di teste diverse: d’asino, di cane, di cavallo, di scimmia… Il Buddha spiega che in un’incarnazione precedente il pesce era un monaco che si prendeva gioco dell’inettitudine dei suoi fratelli, chiamandoli «testa di scimmia» o «testa d’asino».
Devadatta, cugino e discepolo del Buddha, tenta una riforma dell’ordine: propone che i monaci vadano in giro vestiti di soli stracci, che dormano all’aperto e si astengano dal mangiare pesce, che non entrino nei villaggi e non accettino inviti. Volendo usurpare il posto del Buddha, suggerisce al principe di Magadha di assassinarlo. Sedici arcieri mercenari si appostano sulla via per ucciderlo; ma quando appare il Buddha la sua virtù e il suo potere s’impongono su di loro, ed essi desistono dal proprio scopo. Allora Devadatta invia contro il Buddha un elefante selvaggio; ma giunto al suo cospetto, l’animale frena la sua corsa e cade in ginocchio, vinto dall’amore. Altre versioni moltiplicano il numero degli elefanti, che per di più sono ebbri; cinque leoni ruggenti escono dalle cinque dita del Buddha e gli elefanti, impauriti e pentiti, iniziano a piangere. Infine la terra ingoia Devadatta, che cade in uno degli inferni dove gli viene assegnato un corpo di fuoco lungo milleseicento miglia. Il Buddha spiega che quell’inimicizia è antica. Molti secoli prima un’enorme tartaruga aveva salvato la vita e l’equipaggio di un mercante di nome Ingrato, che aveva fatto naufragio. Ingrato aveva profittato del sonno della sua benefattrice per mangiarsela, e il Buddha conclude il racconto con queste parole: «Colui che era mercante è oggi Devadatta; e io ero quella tartaruga».
Nella città di Vesali, accetta l’invito della famosa cortigiana Ambapali, che poi donerà il suo parco all’ordine. Ricordiamoci che Gesù, nella casa del fariseo, non disdegna il balsamo offertogli da una peccatrice (Luca, VII, 36-50).
Anni dopo, Mara cerca di nuovo il Buddha e gli consiglia di lasciare questa vita, ora che l’ordine è fondato e conta un numero sufficiente di monaci. Il Buddha gli risponde che ha deciso di morire di lì a tre mesi. Sentendo queste parole la terra trema, il sole si oscura, si scatenano tempeste e tutte le creature s’intimoriscono. La leggenda vuole che il Buddha avrebbe potuto vivere migliaia di secoli e che la sua morte è volontaria. Poco dopo il Buddha ascende al Cielo di Indra e gli affida il mantenimento della sua legge; poi scende al Palazzo dei Serpenti, i quali promettono di osservarla a loro volta. Le divinità, i serpenti, i demoni, i geni della terra e delle stelle, i geni degli alberi e dei boschi chiedono al Buddha di rinviare la sua morte, ma egli dichiara che la fugacità è la legge di tutti gli esseri, e anche la sua. Cunda, figlio di un fabbro, gli offre a Kusinara un pezzo di carne salata di maiale o, secondo altri, dei tartufi; quel cibo aggrava il male che il Buddha già provava e i cui segni aveva represso grazie all’esercizio della volontà, per non entrare nel Nirvana senza accomiatarsi dai suoi monaci. Si lava, beve acqua e si sdraia sotto alcuni alberi per morire. Gli alberi fioriscono all’improvviso; forse sanno che quell’uomo così vecchio e malato è il Buddha. Nell’ora della morte, egli profetizza futuri scismi e discordie, raccomanda l’osservanza della legge e dispone i propri riti funebri. Muore disteso sul fianco destro, con la testa rivolta a nord e il volto a occidente. Va in estasi e nell’estasi muore. Muore al crepuscolo, nell’ora in cui la morte sembra più facile.
Alle porte della città bruciano il cadavere e celebrano riti solenni, come si trattasse di un grande re, il re che Siddharta non aveva voluto essere. Prima di consegnarlo alle fiamme lo onorano con danze, composizioni poetiche e giochi che durano sei giorni. Il settimo giorno collocano il corpo sulla pira; quattro, otto e poi sedici uomini tentano invano di accenderla; infine una fiamma esce dal cuore del Buddha e ne consuma il corpo. Un’urna raccoglie le ossa carbonizzate, sulle quali viene versato miele affinché nessuna particella si disperda. Il tutto è diviso in tre parti: una per gli dèi, che la custodiscono in tumuli celesti; una per i naga, che la custodiscono in sepolcri sotterranei; una per otto re, che edificano otto monumenti sulla terra, ai quali giungeranno generazioni di pellegrini.
Questa, a grandi linee, è la vita leggendaria del Buddha. Prima di esprimere un’opinione al riguardo, è opportuno ricordare alcune cose.
Paul Deussen, nel 1887, si divertì a congetturare che i possibili abitanti di Marte avrebbero inviato un proiettile sulla terra contenente la storia e l’esposizione della loro filosofia, e rifletté sull’interesse che quelle dottrine, indubbiamente cosi diverse dalle nostre, avrebbero suscitato. In seguito osservò che la filosofia dell’Indostan, rivelata nel Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, era per noi non meno strana e affascinante di quella di un altro pianeta. Infatti tutto in essa è diverso, persino la connotazione delle parole. Quando leggiamo che il Buddha entra nel fianco di sua madre in forma di giovane elefante bianco con sei zanne, la nostra impressione è di pura mostruosità. Il sei, tuttavia, è un numero abituale per gli indù, che adorano sei divinità chiamate le sei porte di Brahma e che hanno diviso lo spazio in sei direzioni: nord, sud, est, ovest, alto e basso. Inoltre, la scultura e la pittura dell’Indostan hanno diffuso immagini molteplici per illustrare la dottrina panteistica secondo la quale Dio è tutti gli esseri. Per quanto riguarda l’elefante, animale domestico, esso è simbolo di mitezza.
Per questo riassunto della leggenda del Buddha sono stati consultati due testi. Il primo è il Lalitavistara, nome che Winternitz traduce Minuziosa narrazione del gioco (di un Buddha). Quando studieremo la scuola del Gran Veicolo, vedremo la ragione di tale denominazione. L’opera è stata scritta nei primi secoli della nostra era. Il secondo testo è il Buddhacarita, poema epico attribuito ad Asvaghosha, vissuto nel Primo secolo dell’era cristiana. Una biografia tibetana del poeta afferma che egli viaggiò per i mercati accompagnato da cantori e cantatrici, predicando la fede del Buddha al suono di malinconiche strofe di cui aveva composto parole e musica. Il poema fu scritto in sanscrito e tradotto in cinese, tibetano e, nel 1894, in inglese.
Da: Jorge Luis Borges, “Cos’è il buddismo“, Piano B, 2020.
Scopri il nostro Indice tematico
Esplora la più grande biblioteca online in italiano sulla meditazione e approfondisci la tua pratica.
Grandi temi del Buddhismo
Approfondisci i grandi temi che hanno reso il Buddhismo la corrente spirituale oggi più popolare in Occidente, da “Anatta” a “Zen”.
Digital
Mindfulness
Scopri come le tecnologie digitali stanno trasformando la tua mente e come rimanere sempre una persona integra e consapevole.
Insegnamenti buddhisti
Entra nel merito dei tanti temi contenuti negli insegnamenti del Dharma, dalle 4 Nobili Verità al Satipatthana sutta, fino al Vero Sé.
Persone
e Personaggi
L’indice alfabetico di tutti i personaggi di cui si parla nel sito: maestri di meditazione, scrittori, artisti, filosofi e persino animali.
Crisi Climatica ed Ecologica
Ricerca gli articoli e le letture che affrontano i temi legati all’attuale fase di crisi nel rapporto tra esseri umani e ambiente.
Pratiche di Consapevolezza
Tutto ciò che bisogna sapere per praticare correttamente e tutte le possibili varianti della meditazione di cui si parla in Zen in the City.
Psicologia e Benessere
Tra psicologia e pratica di meditazione c’è una relazione molto stretta. Esplorane per tema tutti gli aspetti, scoprendo cosa scrivono i maestri.
Qualità
della Vita
Trova un argomento che ti sta a cuore per migliorare la qualità della tua vita con l’aiuto della pratica e gli insegnamenti del Dharma.
Religioni
e Spiritualità
Trova tutte le parole chiave che hanno a che fare con le varie religioni e correnti spirituali, compreso il Buddhismo come religione.
Yoga
Teoria e Pratica
Scopri come le tecnologie digitali stanno trasformando la tua mente e come rimanere sempre una persona integra e consapevole.
Grandi Temi
Universali
Esplora per parola chiave i grandi temi del nostro tempo, così come vengono affrontati dai grandi maestri della spiritualità.
Tutto il Resto
(Miscellanea)
Qui puoi cercare tutti gli argomenti che non hanno trovato posto nella altre categorie, ma non per questo sono meno interessanti.
You need to login or register to bookmark/favorite this content.