
La Meditazione Trascendentale, secondo i suoi sostenitori, consente di raggiungere stati superiori della coscienza, altrimenti inaccessibili. Daniel Goleman ci spiega quali sono.
La Meditazione Trascendentale (MT) è la tecnica di meditazione più nota in Occidente, e Maharishi Mahesh Yogi, il suo formulatore, lo yogin più famoso. La MT è una meditazione mantra dell’induismo classico in un moderno involucro occidentale. Maharishi è stato scaltro nell’evitare termini sanscriti e nell’usare scoperte scientifiche per convalidare la meditazione in una cultura scettica, cosicché l’americano comune può associarsi tranquillamente a una pratica sviluppata da e per gli induisti in India. Lo yogin inoltre minimizza la natura ortodossa delle sue convinzioni; la teoria sottesa alla La Meditazione Trascendentale — «Scienza dell’Intelligenza Creativa» — è una riesposizione aggiornata dell’insegnamento di base della scuola advaita del pensiero vedantico, fondata da Sankaracharya nell’ottavo secolo.
Sankaracharya scrisse in un’epoca in cui il buddhismo dominava l’India. La sua vittoriosa crociata religiosa rivitalizzò l’induismo, proponendo al meditatore uno stato finale di non-dualità, piuttosto che un nirvana. Lo scopo dell’advaita è l’unione della mente del meditatore con il Brahma senza forma, o coscienza infinita, un passo oltre all’obiettivo della bhakti di unione con una forma di Dio. Lo strumento di questa unione senza forma è il samadhi. Questo è anche lo scopo nella MT, benché Maharishi non lo descriva più in questi termini. La Meditazione Trascendentale fa risalire le proprie origini a Sankaracharya, ma è una riformulazione del pensiero advaita tagliato su misura per un uditorio occidentale. […]
Praticando la Meditazione Trascendentale, è possibile raggiungere uno stato chiamato «coscienza cosmica», nella quale «nessuna attività, per quanto rigorosa, può portare fuori dall’Essere». Maharishi nega che ci sia bisogno di imporsi la rinuncia. Egli vede la purificazione come parte della coscienza cosmica, come effetto, non prerequisito, della trascendenza: «Il successo nelle virtù può essere ottenuto solo con l’esperienza ripetuta del samadhi». […]
Prima che il meditatore raggiunga la coscienza cosmica, gli effetti della sua meditazione giornaliera gradatamente decadono col passare del tempo; nella coscienza cosmica, questi effetti persistono sempre. Maharishi elabora così la transizione dalla coscienza trascendentale a quella cosmica (1966, p. 53):
Da questo stato di puro Essere, la mente ritorna ancora a sperimentare il pensiero nel mondo relativo. Aumentando la pratica, cresce l’abilità della mente nel conservare la sua natura essenziale mentre sperimenta oggetti attraverso i sensi. Quando questo accade, la mente e la sua natura essenziale, lo stato di Essere trascendente, diventano uno, ed essa è allora in grado di serbare la sua natura essenziale — l’Essere — mentre è impegnata in pensieri, discorsi o azioni.
Maharishi vede la coscienza cosmica come uno stato in cui operano due distinti livelli di organizzazione nel sistema nervoso. Di solito, questi due livelli si inibiscono a vicenda, ma qui essi operano l’uno a fianco dell’altro, pur mantenendo le loro caratteristiche uniche: la coscienza trascendentale, per esempio, co-esiste con lo stato di veglia. «Il silenzio», dice Maharishi, «è sperimentato con l’attività eppure è separato da essa.» Il meditatore nella coscienza cosmica scopre che questo spazio interiore persiste in tutte le circostanze come una «consapevolezza pura» assieme all’attività. Benché gli effetti della trascendenza durante la meditazione possano decadere dopo che la meditazione è finita, la coscienza cosmica, una volta raggiunta, è permanente. La persona, in essa, ha sperimentato nella trascendenza uno stato jhanico nel quale cessa la percezione sensoriale. Durante lo stato di veglia, il meditatore rimane relativamente distaccato dalla percezione sensoriale, anche se è più sensibile sia ai suoi processi mentali che agli eventi esterni.
Man mano che la coscienza cosmica si approfondisce, il meditatore trova che la beatitudine della coscienza trascendentale persiste ora in altri stati. Poiché questa beatitudine pervade altre aree della sua vita, egli scopre che, al confronto, i piaceri sensuali non sono più così attraenti come prima. Ha ancora dei desideri, ma le sue azioni non sono più guidate da essi. Si trova in una con dizione di imperturbabilità: il disordine e l’eccitazione delle emozioni intense — paura, angoscia, rabbia, depressione, desiderio — sono assopiti da uno stato permanente di «vigilanza quieta», fino a che cessano di sorgere. Anche l’imperturbabilità risalta nel meditatore, che resiste meglio alle sollecitazioni altalenanti dello stress e delle tensioni quotidiane. Egli scopre in sé stesso una nuova solidità interiore, laddove un tempo avrebbe oscillato; l’imparzialità lo porta ad amare gli altri in eguale misura, senza preferenze eccessive per persone specifiche; i suoi attaccamenti si indeboliscono. Si contenta più facilmente di ciò che accade, è più libero da desideri e dal loro opposto. Secondo Maharishi, la vita nella coscienza cosmica è priva di tensioni (1969, p. 287):
L’uomo illuminato vive una vita di piena soddisfazione. Le sue azioni, essendo libere dal desiderio, servono solo le necessità del momento. Non ha alcun interesse personale da raggiungere; è impegnato nell’adempiere il piano cosmico e pertanto le sue azioni sono guidate dalla natura. Questo è il motivo per cui non deve preoccuparsi delle sue necessità: esse sono le necessità della natura, che si prende cura del suo benessere, essendo egli strumento del divino.
Un ulteriore passo nello sviluppo promesso da Maharishi è la «coscienza di Dio». Questo stato è il risultato della devozione durante la coscienza cosmica. Nella coscienza di Dio il meditatore percepisce tutte le cose come sacre; «ogni cosa è sperimentata naturalmente nella consapevolezza di Dio». All’inizio, dice Maharishi, quest’esperienza di unità nella diversità può essere soffocante, e il meditatore ci si può perdere. Gradualmente, tuttavia, la coscienza di Dio si mescola con altre attività, proprio come in uno stadio precedente la coscienza trascendentale si immergeva negli stati normali per produrre la coscienza cosmica.
Nella coscienza di Dio il meditatore abbandona la sua individualità. Questo è «lo stato più purificato», nel quale il meditatore ha superato la benché minima macchia di impurità in pensieri o azioni; egli ora vive in perfetta armonia con la natura e col divino. Arrivare alla coscienza di Dio, secondo Maharishi, implica una trasformazione per la quale si è consapevoli di Dio in ogni aspetto della creazione. Al di là della coscienza di Dio, il devoto della MT può evolvere in uno stato chiamato «unità». Qui la sua coscienza è così raffinata che egli per cepisce tutte le cose libere da ogni illusione concettuale.
Il mezzo per giungere a questi stati superiori nella Meditazione Trascendentale sono le tecniche offerte ai meditatori nel corso di molti anni di pratica e di servizio all’organizzazione MT. Il corso avanzato di Meditazione Trascendentale siddhi cerca di espandere l’autonomia del meditatore sviluppandone poteri insoliti, come la capacità di «levitare».
Da: Daniel Goleman, “La forza della meditazione“, BUR, 2003.
La forza della meditazione

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Meditazione trascendentale. Maharishi Mahesh Yogi e la scienza dell’intelligenza creativa

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