Con la teoria del non-sé (anatta) il Buddha compì un salto di carattere epistemologico, pragmatico ed etico, che nega il “libero arbitrio” in senso assoluto per evidenziare i condizionamenti a cui l’umano è sottoposto.
«Nella sua negazione di ogni reale e permanente Anima o Sé, il buddhismo si erge solitario».
«Nella storia del pensiero umano il buddhismo è unico nel negare l’esistenza di qualcosa come l’Anima, il Sé o l’Atman».
«Non c’è alcuna persona o anima»,
«Il Buddha ha insegnato che la nostra credenza in un sé indipen dente è la causa alla radice di ogni sofferenza».
«Nel buddhismo delle origini l’impermanenza e la sofferenza implicano la non-esistenza del sé come entità permanente».
Queste citazioni, raccolte in “L’atman e la sua negazione” di A. Wynne, sono tratte da autori di primissimo piano: rispettivamente i monaci-studiosi Malakasera e Walpola Rahula, il grande maestro birmano Mahasi Sayadaw, il Dalai Lama Tenzin Gyatso e lo studioso di lingue e culture orientali Jan Willem de Jong. Tutti concordi – anche se da posizioni diverse – nel riconoscere il salto quantico compiuto dal Buddha con la dottrina del non-sé rispetto al suo contesto bramanico.
Anatta, equivalente pali del sanscrito anatman, è la negazione (indicata dall’alfa privativo) di atman ossia dell”‘anima” ovvero del se o di qualunque essenza permanente che nell’umano sia separata dal corpo e destinata a sopravvivergli, In opposizione all’idea dell’anima o del sé, anatta indica il “non-sé” come caratteristica essenziale della condizione umana e più in generale della condizione di ogni cosa al mondo, secondo la formula “ogni cosa è non-sé” (sabbe dhamma anatta).
Il salto rispetto alla cultura in cui era immerso Gotama Shakyamuni, il Buddha, non poteva essere più netto, data la rilevanza del posto che il costrutto di atman e gli altri ad esso connessi (in particolare la “trasmigrazione” o “reincarnazione”) occupano in tale cultura e nella vita di ognuno che ne era partecipe. I seguaci, gli esegeti e i commentatori del buddhismo — al di là delle differenze di tradizione e orientamento nonché di interpretazione sul tema specifico — sono unanimi nel definire l’anatta come la sua intuizione più profonda, tale da rendere il suo insegnamento radicalmente diverso da tutto ciò che lo aveva preceduto. Anche se nell’insegnamento stesso sopravvivono diversi tratti che segnalano l’appartenenza di Gotama al suo ambiente e al suo tempo. È lo stesso Risvegliato, in un celebre discors0, a considerare l’anatta come il suo “ruggito del leone” , ossia come una visione potente che, nelle sue parole, supera tutte le “dottrine degli altri” (le varie dottrine circolanti nell’India della sua epoca) e che può essere compresa fino in fondo solo da seguaci che hanno raggiunto una certa “saggezza penetrativa”.
Anatta è stato oggetto per secoli di interpretazioni e contrasti legati alle inclinazioni dottrinarie delle diverse tendenze del buddhismo, spesso raggiungendo punte molto elevate di finezza teoretica e filosofica. Ma tutto ciò può essere considerato solo come lo sfondo storico e filosofico dell’impatto di questo ruggito su ciò che è attualmente importante: la pratica meditativa e la concezione della vita che ognuno può sviluppare ai giorni nostri. Il Buddha rifiuta peraltro di affrontare la questione dell’esistenza del sé in termini filosofici: vuole infatti mantenere l’insegnamento su un terreno pragmatico, finalizzato a cambiare il modo di pensare e di vivere di chi lo recepisce. Posto che, peraltro, molti non possono recepirlo, soprattutto laddove le curiosità intellettuali e i dubbi metafisici hanno la prevalenza su interessi pratici, esistenziali.
Esemplare da questo punto di vista è l’atteggiamento di Gotama di fronte alla questione se “il sé esiste o non esiste” formulata dall”‘itinerante” Vacchagotta (che rappresenta un tipo umano frequente nel mondo del Buddha, popolato da una pletora di preti, insegnanti, quasi-filosofi, girovaghi mendicanti, tutti spinti dalla sete di conoscenza e attratti dalle tenzoni dottrinarie). In risposta a una questione così fondamentale il Buddha semplicemente tace), E spiega poi ad Ananda, il suo fedele attendente, che Vacchagotta non era nelle condizioni di comprendere una eventuale risposta; la sua domanda era in fondo destinata solo a generare confusione. Con ciò Gotama mostra di rifuggire da una spiegazione che avrebbe solleticato le pulsioni “teoretiche” del viandante-filosofo e il suo bisogno di allinearsi su uno dei sistemi spirituali e speculativi a quel tempo gestiti da asceti e bramini che disputavano sull’esistenza del sé e su altri temi capitali come quelli sull’eternità del mondo, sull’esistenza di Dio e sulla vita dopo la morte. Il Buddha, pragmaticamente — con uno stile che qualcuno potrebbe definire “da fine psicologo” — si sintonizza con le capacità di comprendere del suo interlocutore e -lascia andare le questioni che non hanno una vera ricaduta sulla sua vita, specialmente quando l’oggetto da comprendere è davvero rilevante e difficile.
Per Gotama i sistemi spirituali del suo tempo sono vittime del veleno dell’attaccamento. Alcuni sistemi, i sistemi “eternalisti” , che affermano l’esistenza di un dio creatore o di un’entità eterna di cui l’individuo è parte o riflesso, sono attaccati all’essere. Altri sistemi, definiti «annichilazionisti”, negatori di ogni soggettività e di ogni fondazione transpersonale della morale, sono invece attaccati al non-essere. Rispetto ad entrambi — i cui echi possono essere rintracciati fino ai nostri giorni — l’insegnamento del Risvegliato è strutturalmente distante, Il suo è un posizionamento “eccentrico”, non dipendente da visioni precostituite ma invece rivolto a una penetrazione diretta e intuitiva di ciò che si dà come reale. In luogo di idee filosofiche o religiose sulle verità ultime, il focus del suo insegnamento si concentra sulla ricerca che ognuno dovrebbe compiere a partire dalla propria condizione attraverso pratiche capaci di affinare la consapevolezza e di dischiudere diverse modalità di rapporto con se stessi, con gli altri e con il mondo nel suo insieme.
Il Buddha compie in questo modo un salto che è allo stesso tempo epistemologico, pragmatico ed etico.
- Il salto epistemologico è quello della scoperta di una “via di mezzo” tra eternalismo e nichilismo.
- Il salto pragmatico riguarda l’incentivo a un nuovo modo di sviluppare l’auto-indagine della mente e di concepire il proprio tragitto nel mondo. La meta è quella di una “liberazione” aperta al raggiungimento di ciò che si può definire l”‘al-dilà-del-sé”. Un raggiungimento che può essere più o meno completo a seconda sia della sincerità dell’intenzione sia della natura delle azioni compiute nel corso della vita, ovvero dal karma (kamma) nel suo significato proprio di “azione”, che poco ha a che vedere con l’idea, peraltro molto diffusa, di un destino che pre-esiste all’individuo.
- Il salto etico consiste nel fatto che il Buddha non offre “comandamenti” che la persona deve osservare per salvarsi ma genera la cartografia di un percorso (culminante nelle “Quattro Nobili Verità” e nell””Ottuplice Sentiero“) in cui il non-sé si pone come bussola per forme di vita consapevoli. Una bussola che non indica la negazione del sé ma la necessità di riconoscere il suo assoggettamento ai condizionamenti intrinseci nella natura umana. E successivamente indica la necessità di operare per lo sviluppo di facoltà e modalità di vita ispirate a una saggezza “impersonale”, sottratta agli imperativi di quello che si potrebbe definire come “ego”, un’entità dominata in primo luogo dal veleno dell’ignoranza (sinonimo di illusione e delusione).
In questa visione non c’è quindi posto per il “libero arbitrio” in senso assoluto ma solo, molto realisticamente, per l’individuazione di spazi di riconoscimento dei condizionamenti cui la natura umana soggiace, rispetto ai quali l’umano ha modo di percorrere il sentiero della liberazione.
Da: Massimo Tomassini, “La vita consapevole. La mindfulness dopo la mindfulness“, Castelvecchi editore, 2023.
Per approfondire:
Anattā, la teoria buddhista della relatività
Consulta l’indice tematico per approfondire i temi trattati qui: anatta, atman, non sé, pragmatismo del Buddha.
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