Tathāgata: che significato ha l’appellativo del Buddha

tathagata

Il significato di Tathāgata, secondo Stephen Batchelor, è ‘colui che è proprio così’ e va riferito a una persona che non dissimula né finge. È il nome con cui il Buddha storico, Siddhartha Gautama, indicava sé stesso.

Tathāgata: significato del termine

Invece di insistere con affermazioni su ciò che è vero a prescindere da un contesto determinato, Gotama si preoccupa di parlare in un modo che sia vero in rapporto ai bisogni della situazione specifica. Il tratto notevole del suo stile di insegnamento è l’essere più etico che metafisico, più pragmatico che dogmatico, più prescrittivo che descrittivo. Queste distinzioni ci permettono di fare ulteriori deduzioni su come la parola ‘verità’ (sacca) sia impiegata nei suoi discorsi. Come ho già menzionato, a parte la sua occorrenza nell’onnipresente espressione ‘le quattro nobili verità’, il termine sacca viene utilizzato soprattutto per illustrare la virtù di essere sinceri nel parlare. In senso esteso, implicherebbe allora un modo di vivere in cui si è onesti verso il proprio potenziale, fedeli verso le proprie intuizioni più profonde, fedeli ai propri valori, fedeli ai propri amici e, come buddhisti, fedeli al fondamento logico (thāna) del dharma. Essere ‘onesti’ in questo senso si estende oltre il modo in cui ci si esprime a parole: ha a che fare con il condurre una vita improntata all’integrità, la trasparenza e l’onestà in ogni cosa che facciamo, dove non ci sia spazio per ipocrisia, tradimento o finzione. Ed è una persona siffatta che si qualificherebbe come ‘vero amico’ (kalyānamitta): qualcuno che mostra sia a parole sia con l’esempio come entrare nella corrente dell’ottuplice sentiero.

In un discorso contenuto nell’Anguttara Nikāya, Gotama dichiara ai bhikkhu:

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Come il tathāgata parla, così agisce; come agisce, così parla. Poiché egli agisce come parla e parla come agisce, per questo è chiamato il tathāgata.

Queste parole fanno luce sul curioso termine tathāgata, che da lungo tempo disorienta commentatori e traduttori. Il termine è composto di due parti: tathā, che in pāli significa semplicemente ‘così’ o ‘come questo’, e gata, che significa ‘andato’. Il composto ha portato a traduzioni iperletterali come ‘colui che è andato alla quiddità’. Caroline Rhys Davids lo interpreta come ‘colui che è giunto alla verità’. In entrambi i casi, c’è il presupposto sottinteso che il Buddha vada considerato come chi ha ottenuto un accesso privilegiato a una qualche realtà più alta. Come ha messo in evidenza Richard Gombrich, queste letture attribuiscono un ruolo eccessivo a gata, ‘andato’, che qui semplicemente significa ‘è’. Tathāgata perciò significa ‘colui che è proprio così’. Alla luce del passo citato sopra, questo significherebbe che il tathāgata è qualcuno che non dissimula né finge. L’uso del termine, riferito quasi esclusivamente al Buddha (o a un buddha), implica che non dissimulare è uno dei suoi tratti distintivi. “Poiché agisce come parla e parla come agisce”, dice il testo, “per questo è chiamato tathāgata“.

Da: Stephen Batchelor, “Dopo il buddhismo. Ripensare il dharma per un’epoca laica“, Astrolabio Ubaldini, 2018.

Nota: Caroline Rhys Davids (1857–1942) è stata una scrittrice e traduttrice britannica. Ha dato un contributo all’economia prima di diventare ampiamente conosciuta come editrice, traduttrice e interprete di testi buddhisti in lingua pali.

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[La foto sul Tathāgata è di Karolina Grabowska, Polonia]

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