Il tema della rinascita nel Buddhismo viene analizzato da Batchelor quale contrapposizione tra una visione ipotetica, tipica delle religioni, e il pragmatismo del Buddha, preoccupato solo della sofferenza umana.
La rinascita nel Buddhismo
Si afferma spesso che non si può essere buddhisti se non si accetta la dottrina della rinascita. Da un punto di vista tradizionale, è innegabilmente assai problematico revocare in dubbio la fede nell’idea della rinascita, dal momento che molte nozioni basilari andrebbero allora riformulate. Ma se si segue l’esortazione del Buddha a non accettare ciecamente le idee invalse, allora il rispetto per l’ortodossia non dovrebbe rappresentare un ostacolo alla formazione di una nostra autonoma convinzione in merito.
Una difficoltà che ha assillato il buddhismo fin dall’inizio è il problema di che cosa rinascerebbe. Le religioni che presuppongono l’esistenza di un sé eterno, distinto dall’insieme del corpo e della mente, sfuggono a tale problema, in quanto corpo e mente possono morire ma il sé persiste. Un concetto centrale del buddhismo, tuttavia, è che un tale intrinseco sé non può né esser scoperto mediante l’indagine né esser percepito tramite la meditazione. Tale radicato sentimento dell’identità personale è una rappresentazione illusoria, una tragica consuetudine che sta alla base del desiderio e del dolore. Come possiamo far quadrare quest’idea con la rinascita, che necessariamente implica l’esistenza di qualcosa che non soltanto sopravvive alla morte del corpo e del cervello, ma in qualche modo varca lo spazio fra un cadavere e un ovulo fecondato?
Le diverse scuole buddhiste sono pervenute a differenti risposte a tale problema, il che di per se stesso rivela come le loro concezioni si fondino su ipotesi. Alcune sostengono che la forza incoercibile del desiderio immediatamente riappare in un’altra forma di vita; altre presuppongono l’esistenza in varie forme di una coscienza priva di supporto corporeo che potrebbe trascorrere diverse settimane prima di trovare alloggio in un grembo adatto.
Questo genere di congetture ci allontana dalla prospettiva agnostica e pragmatica del Buddha, per farci addentrare in considerazioni metafisiche che non possono essere né dimostrate né confutate, né provate né smentite. Anche se un giorno la rinascita apparisse una realtà di irrecusabile evidenza, ciò non farebbe altro che sollevare ulteriori e più ardui problemi. mero fatto della rinascita non implica di per sé alcun legame etico fra un’esistenza e quella successiva. Dimostrare che la morte sarà seguita da un’altra vita non è la stessa cosa che dimostrare che l’assassino rinascerà all’inferno e il santo in paradiso.
L’idea della rinascita è così densa di significato nel Buddha religioso solamente in quanto essa fornisce il tramite per veicolare la fondamentale dottrina metafisica indiana delle azioni e della corrispondente retribuzione nota come “karma”. Il Buddha tuttavia, pur accettando l’idea di karma così come accettava quella di rinascita, quando lo si interrogava in proposito tendeva a sottolinearne le implicazioni psicologiche piuttosto che quelle cosmologiche. Il karma, come egli spesso ebbe modo di affermare, è l’intenzione, ossia un moto della mente che ha luogo ogniqualvolta pensiamo, parliamo o agiamo. Se diveniamo consapevoli di questo processo, arriviamo a comprendere come le intenzioni ci conducano ai nostri schemi di comportamento abituali, che a loro volta determinano la qualità della nostra esperienza. In contrasto con l’opinione spesso sostenuta dai buddhisti religiosi, egli negava che il karma da solo bastasse a spiegare l’origine dell’esperienza individuale.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere, comunque, con la compatibilità o meno del buddhismo con la scienza moderna. E davvero singolare che una pratica interessata al dolore e al modo di porvi fine sia indotta ad adottare antiche teorie metafisiche indiane e quindi ad accettare come articolo di fede che la coscienza non possa essere spiegata in termini di funzioni cerebrali. La pratica del dharma non può mai essere in contraddizione con la scienza, non perché essa sia in grado di fornire qualche convalida mistica alle scoperte scientifiche, ma semplicemente perché non è interessata né a convalidarle né a confutarle. L’ambito del suo interesse si situa interamente nella natura dell’esperienza esistenziale.
Dove ci porta tutto questo? Apparentemente ci sono date due alternative: credere o no nella rinascita. Ma esiste una terza opzione, ossia di riconoscere, in tutta onestà, di non sapere. Non siamo obbligati né ad adottare la versione letterale della rinascita presentata dalla tradizione religiosa né a cadere nell’estremo opposto di considerare la morte come annientamento. Indipendentemente da quello che crediamo, le nostre azioni certamente proietteranno i loro effetti oltre la nostra morte. A prescindere dalla nostra sopravvivenza personale, l’eredità dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle nostre azioni continuerà ad imprimersi, mediante le tracce che lasceremo dietro di noi, nella vita delle persone sulle quali abbiamo esercitato un’influenza o con le quali siamo entrati, in qualsiasi modo, in contatto.
La pratica del dharma richiede il coraggio di confrontarsi con il problema di che cosa significhi essere uomini. Tutte le rappresentazioni che abbiamo in mente di cielo o inferno o cicli di rinascita servono a sostituire l’ignoto con un’immagine di quanto ci è già noto, Aggrapparsi all’idea della rinascita fa venir meno la capacità di interrogarsi.
L’incapacità di assumersi coraggiosamente il rischio di una posizione non dogmatica e non evasiva su questioni esistenziali di tale importanza comporta, inoltre, la conseguenza di offuscare la nostra visione etica. Se le nostre azioni nel mondo devono procedere da un incontro con quanto è centrale nella vita, ad esse non devono far velo né dogmi né sotterfugi. L’agnosticismo non è una scusa per l’indecisione. E anzi un catalizzatore per l’azione cui nessun altro è pari poiché, trasferendo l’interesse dalla vita futura al presente, esso postula un’etica improntata all’empatia anziché una metafisica fondata sulla speranza e sul timore.
Da: Stephen Batchelor, “Buddhismo senza fede”, Neri Pozza, 1998.
Libri di Stephen Batchelor
Se li acquisti da questi link, contribuirai alle spese di Zen in the City.
Vuoi ricevere gli aggiornamenti da Zen in the City?
Inserisci il tuo indirizzo per ricevere aggiornamenti (non più di 1 a settimana):
You need to login or register to bookmark/favorite this content.