
La Mindfulness cos’è? Non una “banalizzazione” del dharma, secondo Batchelor. La sua diffusione potrebbe anzi segnare un momento chiave nell’accettazione delle discipline contemplative in un contesto laico.
La Mindfulness cos’è?
Una critica ricorrente fra i buddhisti tradizionali è che il movimento della Mindfulness sia una ‘banalizzazione’ del dharma. Questa obiezione elitaria non riconosce che il buddhismo si è banalizzato da quando ebbe inizio. È improbabile che coloro che condannano il movimento della Mindfulness critichino nello stesso modo la pratica di milioni di buddhisti che consiste nel ripetere continuamente il nome del mitico Buddha Amitābha [1] o il titolo del Sutra del loto [2]. La meditazione di consapevolezza sta diventando l’Om mani padme hum [3] del buddhismo laico.
Invece di mormorare un mantra mentre giriamo una ruota di preghiera e andare una volta alla settimana al monastero per accendere una lampada, i praticanti moderni possono sedersi su un cuscino per venti minuti al giorno per osservare il respiro e recarsi all’incontro settimanale del gruppo di meditazione nel soggiorno di un amico. In entrambi i casi i partecipanti possono avere poca comprensione della filosofia e della dottrina buddhiste, però trovano questi semplici esercizi utili per aiutarli a vivere una vita più equilibrata e significativa.
Con il senno di poi, l’adozione diffusa della meditazione di consapevolezza in diverse aree della vita contemporanea potrà essere vista in futuro come una parte del lungo processo storico dell’adattamento del buddhismo alla modernità. Potrebbe segnare un momento chiave nell’accettazione delle discipline contemplative in un contesto laico, un momento in cui la meditazione non è più sentita come una pratica esotica, estranea alla propria cultura e marginale, ma come un’attività normale e convenzionale. In tal caso, invece di lamentarsi della ‘banalizzazione’ del dharma, i buddhisti dovranno rispondere alla sfida di articolare una visione della vita che sia coerente filosoficamente ed eticamente integrata, e non più legata ai dogmi e alle istituzioni del buddhismo asiatico. Così facendo, forse, potranno incoraggiare il sorgere di una cultura del risveglio, che potrà o no chiamarsi ‘buddhista’.
Da: Stephen Batchelor, “Dopo il buddhismo. Ripensare il dharma per un’epoca laica“, Astrolabio Ubaldini, 2018.
Note
1 – Si tratta di una pratica tipica del Buddhismo della Terra Pura, un ramo del buddhismo Mahāyāna, che enfatizza i rituali e le pratiche devozionali. È attualmente una delle scuole di buddhismo dominanti nell’Asia orientale, insieme al Chán, lo Zen cinese. Nel Buddhismo della Terra Pura c’è a credenza che i fedeli che cantano o recitano in continuazione il nome di Amitabha Buddha otterranno molti benefici durante la loro esistenza attuale, raggiungendo lo stato di samādhi.
2 – L’autore fa riferimento alla Soka Gakkai, una scuola laica buddhista giapponese appartenente al buddhismo Nichiren, la cui pratica principale consiste nella recitazione del titolo (daimoku) del Sutra del Loto, in giapponese “nam myōhō renge kyō”.
3 – Oṃ Maṇi Padme Hūṃ è tra i più noti e diffusi dei numerosi mantra facenti parte del patrimonio religioso del buddhismo Mahāyāna, in particolar modo del buddhismo tibetano. Il suo significato letterale è “O Gioiello del Loto!”, uno degli attributi di Avalokiteśvara, il bodhisattva della compassione.
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Dopo il buddhismo. Ripensare il dharma per un’epoca laica

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