Per “designazione convenzionale” si intende il mutuo accordo di chiamare una cosa con un dato nome. Per esempio, un certificato di nascita è una designazione convenzionale. Siamo tutti d’accordo: un certificato di nascita è un pezzo‘ di carta che certifica che un bambino è nato quel determinato giorno. Osservando in profondità, però, sappiamo che non c’è alcuna nascita, che il bambino è solo la continuazione del padre, della madre, degli antenati, che è solo un nuovo inizio, una partenza nuova. Per questo “nascita” è una designazione convenzionale; concordiamo di utilizzarla ma non ci lasciamo intrappolare nell’idea di “nascita”.
Seduti insieme a praticare la meditazione, concordiamo sul fatto che dalla nostra testa in su ci sia una direzione che chiamiamo “sopra”, e che dal nostro corpo in giù la direzione si chiami “sotto”. È una cosa utilissima. Tuttavia, per quanto attiene alla verità, dovremmo evitare di cadere nella trappola dei concetti di “sopra” e “sotto”: i nostri amici giapponesi che praticano zazen (meditazione seduta) dall’altra parte del pianeta stanno seduti proprio come noi, ma non sarebbero d’accordo a dire che il nostro “sopra” è lo stesso loro. In realtà , il nostro “sopra” è il loro “sotto”, e il loro “sopra” è il nostro “sotto”.
Prendiamo in mano un righello o una bacchetta: chiameremo un’estremità “sinistra” e l’estremità opposta “destra”. Supponiamo ora che non ti piaccia la destra e che desideri sbarazzartene, dunque tagli via l’estremità destra; in questo modo, però, un’altra pane della bacchetta diventa l’estremità “destra”. Anche se la distanza fra sinistra e destra è soltanto di un manometro, un milionesimo di millimetro, la bacchetta avrà sempre un’estremità destra. Destra e sinistra non sono realtà, sono designazioni convenzionali.
Se sei il figlio non sei il padre. L’esistenza di un “figlio”, però, è possibile solo in presenza di un “padre”. Tu pensi che il figlio sia una cosa del tutto differente dal padre, che possa esistere al di fuori del padre, ma non e cosi; inoltre un giorno avrai un figlio a tua volta e diventerai padre. “Figlio” e “padre”, dunque, sono solo designazioni convenzionali la cui esistenza si fonda sulla reciprocità. È come una struttura di tre canne che si reggono appoggiate fra loro alla punta: se ne togli una, le altre due cadono.
“Sé” ed “entità” sono tutte designazioni convenzionali, non entità reali. Non ci sono entità solide dotate di esistenza autonoma. Dunque va bene chiamare “Buddha” il Buddha, va bene chiamare “Osama Bin Laden” Osama Bin Laden; basta che sappiamo che il Buddha è fatto soltanto di elementi di non-Buddha, che Bin Laden e fatto solo di elementi di non-Bin Laden. Lo stesso vale per George W. Bush: se guardiamo al presidente: Bush dobbiamo renderci conto di come è venuto in essere: dobbiamo considerarne il retroterra religioso – cristiano evangelico -, il retroterra geografico, il retroterra culturale. Se non avete visto queste cose non avete visto affatto il signor Bush. Una volta capito di che cos’è fatta una persona, si capisce anche che il nome o il titolo con cui tutti insieme decidiamo di chiamarla non è altro che una designazione convenzionale.
Questo terzo livello di indagine ci porta alla natura dell’inter-essere. Possiamo osservare un fiore e vedere che è fatto solo di elementi di non-fiore. Un altro termine per indicare l’interessere è “interpenetrazione”: ogni cosa contiene ogni altra cosa; ogni cosa penetra in ogni altra. Guardando l’uno vedi la presenza dei molti, la presenza del tutto.
Ci è stato detto che il corpo umano è fatto di milioni di cellule. Una cellula le contiene tutte, perché porta in sé la totalità del patrimonio genetico. Possiamo dire che è una singola cellula a condizione di comprenderne la natura inter-essente; in altre parole, dobbiamo considerare il termine “singola cellula” una designazione convenzionale.
Anche il Buddha parlava la nostra lingua, usando designazioni convenzionali: parlava al discepolo Ananda dicendo: «Ananda, ti andrebbe di salire con me sul monte Gridhrakuta?». Usava i pronomi “ti” e “me” senza lasciarsene intrappolare: sapeva bene che quei termini sono solo designazioni convenzionali. Il sostantivo “natura” è una designazione convenzionale, come lo sono anche i termini “natura inter-essente” o “la natura dell’interconnessione”. Potremmo chiamarla “natura di non-natura”, così non ci lasceremmo intrappolare nemmeno dall’idea che ogni cosa abbia in sé la natura dell’inter-essere, ogni cosa sia per natura interconnessa, e non cadremmo nella trappola della parola “natura”, nel concetto stesso di “natura”. Per questo il Buddha si è dovuto spingere un passo più avanti, parlando di “natura di non-natura”. Nella letteratura buddhista infatti troviamo l’espressione “non-natura” a indicare la natura di tutto ciò che è. Anche la parola “natura” che usiamo nel buddhismo è una designazione convenzionale. La nostra mente tende ad aggrapparsi alle cose, dunque è importante accogliere gli insegnamenti in modo da evitare di restarvi intrappolati.
Va bene usare il nome “buddha”, la parola “natura”, la parola “tu” e la parola “io”, se hai dentro la visione profonda dell’inter-essere. Possiamo anche chiamarci “madre” o “padre”, “figlio” o “figlia”, ci tocca usare queste parole. Ma usando queste parole possiamo ricordare a noi stessi che siamo allo stesso tempo il padre e anche il figlio.
Da: Thich Nhat Hanh, Camminando con il Buddha. Zen e felicità, Mondadori, 2009.
Per approfondire:
Thich Nhat Hanh – Biografia, libri e testi selezionati
[La foto è di Kevin N. Murphy, Usa]Camminando con il buddha. Zen e felicità
You need to login or register to bookmark/favorite this content.