La coscienza collettiva è un aspetto primario alla base della nostra personalità e dei nostri comportamenti. Ma per Thich Nhat Hanh è importante trascendere le idee di individuale e collettivo, di dentro e fuori.
La società in cui viviamo, il nostro Paese e l’intero universo sono manifestazioni di semi presenti nella coscienza collettiva.
La manifestazione della coscienza in Plum Village
Plum Village, la comunità dove vivo, in Francia, è una manifestazione della coscienza. Nella mente di tutti noi che ci viviamo si trova una comune manifestazione collettiva di Plum Village; ognuno di noi, poi, ne ha anche una manifestazione personale. Il Plum Village di sorella Doan Nghiem non è lo stesso Plum Village di fratello Phap Dang. Plum Village ha una faccia collettiva e molte facce individuali.
Dire che Plum Village sia insieme una realtà oggettiva e una realtà soggettiva non è del tutto esatto: potrebbe farti credere che esista una realtà oggettiva di Plum Village che tu, un giorno, sarai in grado di cogliere, sebbene nella coscienza tu abbia fatto esperienza solo della sua realtà soggettiva.
Anche ciò che definiamo «oggettivo», però, nasce dalla coscienza; questa comprende in sé l’individuale e il collettivo, l’oggettivo e il soggettivo. Eppure continuiamo a essere convinti che una cosa sia Ia coscienza, e un’altra la realtà esterna oggettiva, separata dalla coscienza, in base alla quale si forma l’immagine che abbiamo di Plum Village.
La coscienza collettiva nella società e nella cultura
Noi confrontiamo, lottiamo, ci chiediamo come fare a lasciar andare la nostra visione personale e soggettiva per arrivare a un riconoscimento oggettivo delle cose: desideriamo essere in contatto diretto con la realtà del mondo. Eppure la realtà oggettiva che crediamo esistere indipendentemente dalle nostre percezioni sensoriali, in sé, è una creazione della coscienza collettiva. Le nostre idee di felicità e sofferenza, di bellezza e bruttezza sono il riflesso delle idee di molte persone. La coscienza collettiva non è soltanto la coscienza di tre o quattro persone, ma di centinaia, migliaia di persone. Alcune idee in origine sono creazioni di coscienze individuali e poi entrano a far parte della coscienza collettiva.
La nostra coscienza deposito comprende in sé la coscienza individuale e quella collettiva. Ciò che si considera di moda, per esempio, è una creazione della coscienza collettiva di una società. Si crede di avere un proprio concetto di bellezza, ma osservando in profondità si vede che questo è formato dai concetti di bellezza di molte altre persone. Quando vai a comprare una cravatta, quella che è conforme ai semi presenti nella tua coscienza deposito ti segnala ciò che per te è attraente: «ti sceglie». Tu pensi di avere esercitato Ia tua libertà di scelta, ma la scelta era già stata fatta molto tempo fa.
La coscienza collettiva nel mercato e nella politica
Che un quadro si venda per milioni di dollari dipende dal fatto che la nostra coscienza collettiva l’ha giudicato di grande valore; eppure può darsi che un bambino guardi il quadro e dica che è orribile, che non vale niente. Il nostro apprezzamento del dipinto riflette non solo la nostra personale idea di bellezza ma anche l’ideale di bellezza che è proprio della nostra società e dei nostri antenati. Lo stesso vale per i gusti alimentari. Per me le foglie di senape sottaceto sono deliziose: le mangiavano i miei antenati e dunque nella mia coscienza ci sono i semi dell’abitudine ad apprezzarli; a voi, magari, il sapore delle foglie di senape sottaceto non piace per niente. Che una cosa sia buona o cattiva, splendida o orribile, dipende dai semi contenuti nella nostra coscienza deposito, sia individuali sia collettivi. La democrazia e altre strutture politiche sono una creazione della coscienza collettiva. Anche il mercato finanziario, la quotazione del dollaro e il prezzo dell’oro sono prodotti della coscienza collettiva. Le persone che lavorano in borsa passano il tempo a calcolare, trarre deduzioni ed esprimere opinioni a gran voce, il che fa salire o scendere il valore delle azioni, dell’oro e del dollaro; questi calcoli e queste deduzioni creano una reazione a catena che finisce per determinare un’idea collettiva; a volte questa speculazione porta con sé incalcolabili sofferenze. Le oscillazioni del mercato azionario sono manifestazioni delle nostre paure e speranze collettive. Il paradiso, l’inferno, la Costituzione del nostro Paese, i beni che consumiamo quotidianamente sono tutte manifestazioni della nostra coscienza collettiva.
La natura duplice della coscienza
Non c’è nella nostra coscienza un seme che sia innato al cento per cento o trasmesso al cento per cento. Non ci sono semi puramente individuali e semi puramente collettivi. Se sei un buon musicista, il seme di quella capacità lo si considera tuo individuale; ma con l’osservazione profonda possiamo vederne anche la natura collettiva. Potresti aver ricevuto quella dote dagli antenati, dai tuoi maestri o perfino ascoltando la radio. Il seme è tuo, esiste nella tua coscienza deposito, ma vi è stato piantato dalla felicità o dalla sofferenza, dalle capacità e dalle debolezze di tutti coloro con cui sei entrato in contatto.
Ogni seme della tua coscienza deposito è allo stesso tempo individuale e collettivo. Nulla è completamente collettivo o completamente individuale. Nel collettivo si può trovare l’individuale e nell’individuale si può trovare il collettivo; il collettivo è fatto dell’individuale, e questo è fatto di collettivo. Ecco la natura dell’interessere.
Di fatto la distinzione fra semi innati e trasmessi, fra individuale e collettivo, è provvisoria. Queste sono distinzioni stabilite per aiutarci a capire meglio, a livello intellettuale, concetti in apparenza opposti: al maturare della nostra pratica, quando vediamo la natura dell’interessere di ogni cosa, non ci servono più.
L’influenza del buddhismo sulla psicoterapia occidentale
Per questo occorre trascendere i concetti di «individuale» e «collettivo»: ogni cosa ha in sé entrambi gli elementi. Il collettivo e l’individuale inter-sono. Il nervo ottico di un conducente di autobus potrebbe apparirci individuale, specifico e importante solo per lui, ma al contrario può influire sulla sicurezza di molte altre persone. Potremmo essere convinti della nostra non-violenza, ma in noi c’è il seme della violenza che è stato innaffiato dalla televisione, dai giornali o da ciò che abbiamo visto e vissuto; se osserviamo in profondità vediamo che questo seme è allo stesso tempo di natura individuale e di natura collettiva.
La coscienza collettiva attraverso il tempo e lo spazio
Durante i ritiri di meditazione pratichiamo la consapevolezza del respiro, del sorriso e la meditazione camminata. Un ritiro genera un ambiente particolare che è favorevole alla presenza mentale: ecco la natura collettiva di un simile evento. Camminando in consapevolezza, prestando attenzione al respiro e praticando il sorriso stiamo coltivando il nostro benessere individuale. Ma proprio come il collettivo è individuale, anche l’individuale ha un effetto sul collettivo: il mondo cambia nel momento stesso in cui facciamo un passo in pace. Nell’attimo in cui sorridiamo non solo cambiamo un po’ noi, ma cambiano un po’ anche le persone con cui entriamo in contatto. L’individuale ha sempre un effetto sul collettivo, e il collettivo ha sempre un effetto sull’individuale. Tutti i semi contenuti nella nostra coscienza deposito hanno questa duplice natura individuale e collettiva. È importante ricordarcelo, quando pratichiamo, affinché coltiviamo in noi i semi salutari e non innaffiamo quelli non salutari.
Per questa ragione ci serve associarci a coloro che innaffiano in noi i semi della gioia. Non si tratta di discriminare coloro che soffrono; quando i nostri semi salutari sono ancora deboli, tuttavia, occorre che ci associamo con amici che innaffino in noi i semi della pace, della buona salute e della felicità. Quando i semi della pace e della felicità si sono stabilizzati dentro di noi con maggiore solidità, allora siamo in grado di aiutare di più coloro che soffrono. Dobbiamo renderci conto del momento in cui siamo forti abbastanza per poter prestare aiuto, altrimenti saremo travolti dai semi delle difficoltà nell’altro.
In un centro di ritiri ci sono sempre alcune persone in uno stato di grave sofferenza psicologica. Un maestro di Dharma ha la responsabilità di starle ad ascoltare, di aprire il proprio cuore e di essere pienamente presente per poterle aiutare. Ma se il maestro non pratica la presenza mentale della natura duplice e permeabile della coscienza collettiva e individuale, potrebbe ricevere più sofferenza di quanta non sia in grado dì sostenere e potrebbe non essere in grado di aiutare gli altri; se non pratica la presenza mentale mentre ascolta, la sofferenza dell’altro non farà che innaffiare in lui o in lei i semi della sofferenza. Essere un maestro di Dharma non ci dà la capacità di agire al di sopra delle nostre forze: i maestri debbono limitare il numero di persone sofferenti a cui offrire un colloquio, o potrebbero avere un collasso.
Lo stesso vale per gli psicoterapeuti: devono aprire il proprio cuore per comprendere la sofferenza del paziente e trovare il modo di aiutarlo, ma dopo avere aiutato una persona hanno bisogno di entrare in contatto con gli elementi rasserenanti e risananti che trovano in loro e nel mondo circostante. Quando hanno raggiunto il livello massimo della loro capacità di assorbire sofferenza, i terapeuti non dovrebbero ricevere più nessun paziente fin quando non hanno rafforzato di nuovo, in loro, i semi della salute e della pace. Questo è il modo giusto di sostenere il compito di portare aiuto agli altri.
Per aiutare gli altri non occorre essere un maestro di Dharma o uno psicoterapeuta. Capita a tutti noi di dedicare un po’ di tempo ad ascoltare i nostri amici; dopo aver udito il racconto del loro dolore possiamo praticare la meditazione camminata o fare qualcosa che ci dia gioia, che ci offra una buona possibilità di ritornare sereni e limpidi, abbastanza forti da poter essere di nuovo d’aiuto in futuro. Se apriamo liberamente il cuore ma non conosciamo i nostri limiti, in noi verranno innaffiati i semi dell’agitazione: ne resteremo travolti. Occorre che innaffiamo di continuo i semi salutari nella nostra coscienza. Molte persone che desiderano aiutare gli altri sentono di non avere il diritto di riposarsi, perché quelli che hanno bisogno di loro sono tanto numerosi. Se non si riposano, però, se non si riprendono, non soltanto perderanno il loro personale senso di pace e di gioia ma non saranno neanche più una risorsa per gli altri.
Inconscio e coscienza collettiva secondo Freud e Jung
Freud, il padre della psicoanalisi, aveva dell’inconscio un’idea che corrispondeva in qualche modo al concetto buddhista di coscienza deposito. L’inconscio, però, è soltanto una piccola parte della coscienza deposito. La settima coscienza, manas, nella scuola psicoanalitica sviluppata da Freud equivale più o meno al concetto di «Io». Quello che Freud chiamava il «super-Io» ha una certa affinità con la sesta coscienza, la coscienza mentale. Jung, allievo di Freud, si spinse oltre e disse che nella nostra mente le emozioni e le esperienze di gioia e dolore riflettono anche la coscienza collettiva. Jung ha tratto alcune delle sue idee dal buddhismo tibetano; in seguito molti altri psicoterapeuti hanno adottato il suo modo di pensare.
Senza dubbio la psicologia buddhista continuerà a influenzare la psicologia occidentale. I metodi di cura delle malattie mentali e dei disagi psicologici saranno influenzati sempre più a fondo dagli insegnamenti della scuola Vijnàptimàtra. Ho condotto ritiri per psicoterapeuti: vi abbiamo praticato insieme il respiro consapevole, la meditazione seduta e quella camminata, abbiamo fatto la pratica del riconoscere e abbracciare il nostro dolore, tutte pratiche che sono entrate a far parte della nostra vita. Questo è il miglior regalo che il buddhismo possa offrire alla psicoterapia occidentale.
Parlando di coscienza collettiva tendiamo a pensare alla gente e alle idee del nostro tempo (intendo le idee di felicità, successo, sofferenza, democrazia eccetera). Ma l’aspetto collettivo dei semi contenuti nella nostra coscienza proviene anche dagli antenati e da tutti coloro che sono vissuti prima di noi. I semi nella nostra coscienza comprendono le esperienze, le idee e le percezioni di molte persone nel tempo e nello spazio; la nostra coscienza è imbevuta della coscienza collettiva, che attraversa il tempo e lo spazio.
Dov’è la nostra coscienza collettiva?
Dov’è, dunque, la nostra coscienza collettiva? E in ogni cellula del nostro corpo, ed è anche al di fuori di esso. Ogni singola cellula del corpo possiede tutte le caratteristiche, gli elementi, le esperienze, le gioie e le sofferenze di molte generazioni di antenati. Di fatto i nostri geni sono come i semi nella coscienza deposito. Come la coscienza è insieme individuale e collettiva, ogni cellula del corpo è unica e contiene anche in sé la mappa genetica dell’intero corpo. Per mezzo della clonazione, ora, la scienza è in grado di duplicare un intero essere vivente a partire da una sola cellula del corpo. Occorre trascendere le idee di individuale e collettivo, di dentro e fuori. Il dentro è fatto del fuori. Quando tocchiamo la nostra pelle tocchiamo l’acqua, il calore, l’aria e la terra che sono dentro di noi. Allo stesso tempo sappiamo che questi elementi esistono anche al di fuori del nostro corpo. Con un contatto profondo ci rendiamo conto che il sole è anche il nostro cuore: se il cuore che è all’interno del corpo smette di funzionare moriamo subito; allo stesso modo moriremmo subito anche se il sole, il nostro secondo cuore, smettesse di splendere. Il cosmo intero è il nostro corpo e noi siamo anche il corpo dell’intero universo.
Da: Thich Nhat Hanh, “La via della trasformazione“, Oscar Mondadori, 2009.
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