Quello della Retta Parola, secondo Jack Kornfield, è un precetto che ci aiuta a capire il grande potere che hanno le nostre parole e ci invita a coltivare la consapevolezza delle parole che utilizziamo.
Molti di noi, naturalmente, per il condizionamento ricevuto, sono portati a esecrare la propria rabbia. Quando cerchiamo di osservarla, pertanto, potremo facilmente scoprire una tendenza a giudicarla e a reprimerla: a liberarci di essa, insomma, nella convinzione che sia ‘cattiva’ e dolorosa, o vergognosa e contraria alla spiritualità. Ma è necessario, invece, rivolgerci premurosamente a essa, con una mente e un cuore aperti, colmi di presenza mentale. Dobbiamo sentirla pienamente, anche se ciò volesse dire toccare il fondo del pozzo di angoscia, o di pena, o di rabbia che si spalanca in noi. Sono queste, del resto, le forze che muovono la nostra vita, ciò che dobbiamo sentire e con cui, in un modo o nell’altro, dobbiamo venire a patti.
Non è, dunque, un processo che porta a liberarsi di qualcosa, ma uno di apertura e di comprensione. In tal modo, quando si manifesta la rabbia, o l’irritazione, o la paura, o la noia, tutti stati che affondano le proprie radici nell’avversione per l’esperienza, non dobbiamo far altro che viverli e osservarli fino in fondo. A volte potremo anche aver bisogno di farci irretire da essi, per comprenderli bene. Probabilmente, dovremo notare molte volte, nell’ambito della nostra pratica, il manifestarsi della rabbia o della paura prima di raggiungere l’equilibrio e la presenza mentale nei nostri rapporti con esse. Ma tutto questo è naturale.
Quello che dobbiamo comprendere a proposito del modo in cui lavorare sulla rabbia e sul malanimo è vero, del resto, anche per tutte le altre difficoltà della nostra pratica: che, cioè, esse stesse sono i nostri più grandi maestri.
Nella comunità spirituale fondata e diretta da G.I. Gurdjieff in Francia, ciò si evidenziava con particolare chiarezza. Un vecchio che viveva in questa comunità era la personificazione di quelle attitudini: irritabile, trasandato, sempre pronto ad attaccar briga con tutti e restio a fare le pulizie o a dare una mano. Nessuno riusciva ad andare d’accordo con lui. Finalmente, dopo lunghi mesi di inutili tentativi di restare nel gruppo, il vecchio decise di ripartire per Parigi. Gurdjieff lo seguì e cercò di convincerlo a tornare, ma la prova era stata troppo dura, e l’uomo rifiutò. Infine, Gurdjieff arrivò al punto di offrirgli uno stipendio altissimo per farlo ritornare. Come ci si poteva rifiutare? Quando il vecchio tornò, tutti rimasero stupefatti, e quando poi vennero a sapere che veniva lautamente stipendiato, mentre essi stessi dovevano pagare somme considerevoli per restare nella comunità, si ribellarono vivacemente. Gurdjieff li convocò tutti per ascoltare le proteste, dopodiché scoppiò a ridere e spiegò: “Quest’uomo è come il lievito per il pane”, affermò. “Se lui non fosse qui, voi non imparereste nulla di concreto sulla rabbia, l’irritabilità, la pazienza, e la compassione. Questo è il motivo per il quale voi mi pagate, e questo è il motivo per il quale io l’ho assunto”.
Tutte queste forze, insomma, sono parte integrante della nostra pratica, e il nostro strumento principale consiste nell’osservarle con presenza mentale. A volte, però, l’astio e la rabbia si possono manifestare in forme troppo violente per poter essere osservate. In quei casi, è possibile controbilanciarle sviluppando pensieri ispirati dalla compassione e dal perdono. Non si tratta semplicemente di impacchettare la rabbia, ma di un profondo movimento del cuore, di una propensione a superare il proprio particolare punto di vista.
Quando ci sentiamo in collera con qualcuno, dobbiamo considerare che anche lui, o anche lei, è un essere umano proprio come noi, che ha dovuto affrontare grandi pene nella sua vita. E se noi avessimo vissuto, nelle sue stesse circostanze, la stessa storia del suo dolore, non ci saremmo forse comportati nel suo stesso modo? Lasciamoci, dunque, permeare dalla compassione, dalla percezione del suo dolore.
Un altro espediente è quello di pensare a qualcuno che amiamo molto e di far crescere nel nostro cuore pensieri d’amore, per poi estendere quella energia verso la persona o la situazione che rappresenta l’oggetto del nostro astio: in questa maniera evitiamo di tagliarci fuori dal potere dell’amore e della compassione che alberga in noi. E questo un potere estremamente concreto e facilmente disponibile, se solo riusciamo a rammentarcene, e di esso possiamo servirci agevolmente per placare la turbolenza e la confusione che spesso circondano la rabbia.
Da: Jack Kornfield, Joseph Goldstein, “Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione“, Astrolabio Ubaldini, 1988.
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