
Cos’è il silenzio? Per Eric Baret è una dimensione indispensabile per conoscere la verità, cosa che invece è impossibile attraverso i pensieri e i ragionamenti logici.
Cos’è il silenzio?
Non si può dire che cos’è il silenzio. Ma si può dire che il silenzio è ciò che vogliamo profondamente, ciò di cui abbiamo nostalgia.
Il nostro tentativo di ottenere questo o quello, non è, di fatto, che una nostalgia di questo silenzio.
Tutti i desideri sono una nostalgia dell’assenza di desiderio.
Su di un piano relativo, il silenzio mentale non è che un riflesso del vero silenzio. La mente può essere attiva e il vero silenzio vissuto; la mente può essere silenziosa ed il vero silenzio essere sconosciuto. Il silenzio mentale, il silenzio del mondo non è qualcosa che si debba ricercare.
Come una porta, il silenzio mentale si apre su qualcosa, ma non è la porta che si cerca.
Quello su cui si apre, non è una donna, né un’auto rossa, e nemmeno il silenzio o la gioia: non ci sono parole!
Non proviene né dall’inattività né dall’attività mentale, ma è un presentimento che si riflette in una mente tranquilla. La mente tranquilla non crea il silenzio, vi si rende disponibile, e l’estasi che riceve dalla sua identità la riempie più di ogni altro oggetto.
Poiché è difficile presentire questo riflesso in una mente agitata, si può dire in certi momenti che è appropriato lasciare che il corpo e la mente diventino disponibili. Non è necessario, ma può imporsi senza che alcuna intenzione di appropriazione partecipi a questo studio della disponibilità corporea e mentale.
La poesia conduce a questo silenzio. La musica, l’architettura, il teatro portano ad esso più di ogni spiegazione, di ogni discorso o di ogni affermazione.
La sensorialità è ciò che va più profondamente nel presentimento del silenzio. Il canto, le grida dei coyotes in Nuovo Messico, il suono di un serpente che scivola sulla sabbia, la visione di una pietra o di una spazzatura condurranno sempre più direttamente al silenzio di quanto potrà mai farlo una qualunque riflessione.
Non c’è che apertura. Una discussione non può portare al silenzio. Può portare, come faceva Socrate, a vedere i limiti della mente. Quando la mente vede i suoi limiti, diventa funzione.
Ogni comprensione non può che essere un riferimento a ciò che già la persona conosce. Poco a poco, la mente perde la sua pretesa di capire ciò che la oltrepassa.
Ci si rende conto che non si può pensare un essere umano, non si può pensare la verità, non si può pensare la gioia, non si può pensare un filo d’erba. Non si può pensare niente, non si può che proiettare. La mente allora perde la sua pretesa e diventa uno strumento, come le gambe.
Quando avete bisogno di separare vi servite del pensiero.
Ma non utilizzate la mente per la ricerca della verità. Ecco il segno di una vera intelligenza: non utilizzare il pensiero se non quando è necessario. La ricerca della verità non ha alcun legame con la riflessione.
Il pensiero non ha che il compito di mostrarvi i suoi limiti.
Dunque, la pratica dello yoga richiede di rendersi conto di ciò che è benefico e di ciò che non lo è. Se si ha la fortuna di praticare lo yoga, lo si deve fare. Quando verrà la guerra, non ci sarà più tempo per praticare; non ci sarà forse più riso integrale, si avranno attività apparentemente meno pacifiche. Anche questo sarà perfetto. Non c’è niente da decidere, nella vita.
Finalmente, il più gran dono che si possa fare ad un essere umano è di insegnargli lo yoga. Il più gran dono che si possa ricevere, è essere istruiti nello yoga, perché questo non parla che di gioia, perché non porta che alla gioia, perché è già la gioia.
Il presentimento vi indica se è il momento di impegnarvi nella pratica o no. Se il presentimento non c’è, se c’è dubbio o esitazione, significa semplicemente che non è il momento. Nulla manca.
E lo stesso con tutte le arti. A chi gli domanda se deve mettersi a studiare musica, un vero musicista risponderà sempre di no. Un pianista non si pone questa domanda; suona il piano. Un cantante non si chiede se deve cantare: canta. Quando avete un’eco in voi, non chiedete a nessuno; seguite l’eco. Se chiedete, se avete bisogno di domandare, vuol dire che l’eco non è abbastanza potente.
Un giorno, siccome qualcuno le aveva chiesto se dovesse diventare indù, Ma Ananda Moyi rispose in modo simile: “Non diventate indù. Finché vi ponete la domanda, non è ancora il momento”
Certo, è un modo di parlare, perché da un punto di vista tradizionale non si può “diventare indù”, essendo la totalità della razza umana già portata dal Sanatana Dharma, la religione eterna.
Un’arte deve venire con il potere. Voi la praticate o non la praticate; non potete praticarla a metà.
Lo yoga deve essere praticato e non pensato. Deve sopraggiungere con la stessa forza che spingeva Van Gogh a dipingere. Van Gogh non avrebbe potuto non dipingere. Se sentite che vi è impossibile non praticare yoga, allora può darsi che qualcosa risuoni in voi. Ho molti amici che non praticano yoga e che hanno una vita meravigliosa: non manca nulla.
Ma lo yoga è una tradizione del cuore che deve essere accostata con una intensità assoluta. Come la musica, come la pittura, lo yoga riguarda poche persone. Un pittore non si accontenta di dipingere nel weekend. Che dipinga o no, è sempre un pittore. Essere pittore, è vedere come un pittore, sentire come un pittore, vivere come un pittore. Per un musicista, un ballerino, un soldato o uno yogi, è lo stesso.
Vivere con la sensibilità del corpo, addormentarsi nella sensibilità, risvegliarsi nella sensibilità, risentire gli effetti quando vi si insulta, sentire se il tempo è secco o umido, sentire un lutto o cosa accade quando perdete il lavoro non è lo yoga di cui parlo. Ma è un modo di vivere intelligente.
Da: Eric Baret, “L’unico desiderio. Nella nudità dei tantra“, Edizioni La Parola, 2010.
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