Thich Nhat Hanh – Il Nirvaṇa, il Regno dei Cieli, è possibile qui e ora

thich nhat hanh nirvana

Il nirvāṇa qui e ora

Certe onde dell’oceano sono alte, altre basse. Tutte sembrano nascere e morire. Se però guardiamo in profondità, ci accorgiamo che le onde, che pure vanno e vengono, sono comunque acqua, che è sempre presente. Nozioni come quelle di alto e basso, nascita e morte, possono riferirsi alle onde, poiché l’acqua è aliena a simili distinzioni. Per un’onda l’illuminazione consiste nell’istante in cui assume consapevolezza di essere acqua: in quell’istante, infatti, viene meno ogni paura della morte. Praticando in profondità, un giorno prenderete coscienza di essere slegati dai concetti di nascita e morte, e liberi da molti dei pericoli che vi hanno aggredito. Quando vi sarete resi conto di questo, non avrete alcuna difficoltà a costruirvi una barca che vi trasporti tra le onde della nascita e della morte. Con un sorriso, comprenderete che per essere liberi non avete bisogno di abbandonare questo mondo. Scoprirete che il nirvāṇa, il Regno dei Cieli, è possibile qui e ora.

Il Buddha toccava solo di rado questo punto, consapevole del fatto che se avesse parlato del nirvāṇa avremmo passato troppo tempo a discettarne invece che a praticarlo. Rimane in proposito solo qualche sua sparuta affermazione, come quella riportata dall’Udana VIII, 3: «Esiste in realtà un non nato, non originato, non creato, non formato. Se tale non nato, non originato, non creato, non formato non esistesse, allora il nato, l’originato, il creato e il formato non avrebbe modo di eludere il mondo». Il buddhismo delle origini non aveva l’impronta ontologica che ritroviamo invece negli sviluppi successivi della tradizione. Il Buddha si concentrò più che altro sul mondo fenomenico, impartendo insegnamenti decisamente pratici. I teologi impiegano molto tempo, inchiostro e fiato per parlare di Dio: esattamente ciò che il Buddha non voleva che facessero i suoi discepoli, perché desiderava che si dedicassero piuttosto a praticare lo śamatha (la quiescenza) e la vipaśyanā (la visione profonda), così da prendere rifugio nei Tre Gioielli, nei Cinque Precetti e via dicendo.

L’estinguersi delle nozioni

«Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», scrisse Ludwig Wittgenstein. Tuttavia, se non possiamo parlarne, non vuol dire che non possiamo farne esperienza. Possiamo sperimentare il non nascere, il non morire, il non iniziare e il non finire, in quanto parti della realtà stessa. E il modo per farlo è sbarazzarci della nostra abitudine a percepire qualsiasi cosa attraverso concetti e rappresentazioni. Da migliaia di anni i teologi parlano di Dio come di una rappresentazione, il che non è altro che onto-teologia, ovvero parlare di ciò di cui si dovrebbe tacere.

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Il teologo protestante Paul Tillich sosteneva che Dio non è una persona e non è neanche qualcosa meno di una persona. Parlare di Dio come di una persona, una non persona, meno di una persona o più di una persona non significa granché, perché nessuno di questi attributi ha molto senso. Un fiore è costituito dal cosmo intero. Non possiamo perciò sostenere che il fiore è meno di questo o più di quell’altro. Una volta annullati in noi i concetti di più e meno, di essere e non essere, raggiungeremo quell’estinzione delle idee e delle nozioni che il buddhismo definisce nirvāṇa. La dimensione ultima della realtà non ha niente a che fare con i concetti. Ma ciò di cui dobbiamo tacere non si esaurisce con la realtà ultima. Perché nulla può essere concepito e, dunque, non si dovrebbe parlare di nulla. Prendete per esempio un bicchiere di succo di mela. Non potete parlare di succo di mela a qualcuno che non lo ha mai assaggiato. Qualunque cosa possiate dirne, chi vi ascolta non farà mai la reale esperienza del succo di mela: l’unico modo per farla è berlo. È un po’ come se una tartaruga cercasse di spiegare a un pesce com’è vivere sulla terraferma: non ci sarà mai modo di far comprendere al pesce come sia possibile respirare fuori dall’acqua. Le cose non possono essere descritte da concetti e parole. Soltanto l’esperienza diretta può incontrarle.

Più tempo per il tè

L’affermazione di Wittgenstein potrebbe indurvi a pensare che esistono cose di cui si può parlare e altre di cui non si può parlare. In effetti, però, nulla si può esprimere, percepire o descrivere tramite rappresentazione. Se parlate di cose di cui non avete diretta esperienza, sprecate il vostro tempo e quello degli altri. Perseverando nella pratica della visione profonda, questa verità vi sembrerà così evidente da farvi risparmiare un bel po’ di carta e di iniziative editoriali, lasciandovi più tempo per gustarvi il tè e vivere la vostra esistenza quotidiana con consapevolezza.

Quando Rohitasa chiese al Buddha se fosse possibile uscire da questo mondo di nascite e morti viaggiando, il Buddha rispose di no, nemmeno se si viaggiasse alla velocità della luce. Non disse però che è impossibile trascendere il mondo della nascita e della morte. Spiegò invece che bisogna soltanto guardare in profondità nel nostro corpo per attingere il mondo della non nascita e della non morte. Solo che non possiamo parlarne. Dobbiamo farne pratica, sperimentarlo nel nostro stesso essere. Il mondo della non nascita e della non morte non è estraneo a quello della nascita e della morte. Di fatto, i due mondi coincidono.

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Gli Esercizi di Meditazione sono riservati agli iscritti di livello Praticante e Contemplante.

[La foto su Thich Nhat Hanh Nirvana è di Anna Shvets, Russia]

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