Jon Kabat-Zinn – La posizione delle mani in meditazione

posizione delle mani in meditazione

La posizione delle mani in meditazione, o “mudra”, per Jon Kabat-Zinn può assumere un ruolo molto importante. I diversi mudra rappresentano diverse energie che si possono sperimentare personalmente.

Nel corso dei millenni la tradizione yoga e quella meditativa hanno individuato, compreso e usato in modi particolari varie e sottili correnti energetiche presenti nel corpo umano. Sappiamo intuitivamente che tutte le posizioni corporee corrispondono a determinate espressioni che s’irradiano tanto interiormente quanto esternamente. È quello che comunemente viene definito «linguaggio del corpo »; possiamo utilizzare questo linguaggio per decifrare i sentimenti altrui, poiché le persone trasmettono continuamente informazioni che possono essere captate da chi sia dotato di sufficiente ricettività.

Ma in questa sede ci interessa capire come ciascuno possa divenire ricettivo al linguaggio del proprio corpo. Questa consapevolezza può catalizzare evoluzioni e trasformazioni assai significative. Nelle tradizioni yoga, questo campo di conoscenze riguarda alcune posizioni del corpo note come mudra. In un certo senso tutte le posizioni sono mudra; ciascuna ha un significato particolare con la relativa carica energetica. Ma solitamente i mudra si riferiscono a qualcosa di più sottile della postura assunta dall’intero corpo e si concentrano innanzitutto sulle mani e sui piedi.

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Se visitate un museo ed esaminate attentamente dipinti e sculture buddiste, noterete rapidamente che nelle centinaia di rappresentazioni diverse della meditazione, in posizioni sia sedute, sia erette o supine, le mani sono disposte in una serie di modi differenti. Nel caso della meditazione seduta talvolta si tengono le mani sulle ginocchia, i palmi rivolti verso il basso; a volte uno o entrambi i palmi delle mani sono rivolti verso l’alto, oppure uno o più dita di una mano toccano il terreno, mentre l’altra mano è sollevata. Le mani possono essere raccolte entrambe in grembo, con le dita dell’una sovrapposte a quelle dell’altra, con le punte dei pollici in leggero contatto come se circoscrivessero un uovo invisibile, formando il cosiddetto «mudra cosmica ». In altri casi dita e palmi sono congiunti sopra il cuore nella posizione tradizionale della preghiera cristiana. Nel saluto orientale questa posizione significa un inchino alla divinità contenuta nell’altra persona.

Questi mudra delle mani rappresentano diverse energie che si possono sperimentare personalmente nella meditazione. Provate a sedere con i palmi delle mani sulle ginocchia e notate il particolare tipo di raccoglimento che ne risulta; per me, questa posizione significa non cercare altro e assimilare semplicemente ciò che esiste.

Se poi volgete i palmi verso l’alto, consapevoli del gesto, potete notare un mutamento nell’energia corporea. Questa posizione mi infonde ricettività, un’apertura verso l’alto e l’energia dei cieli (i cinesi dicono: «Come in alto, così in basso»). A volte provo un forte impulso ad aprirmi all’energia che proviene dall’alto perché può aiutare molto, specie durante i periodi di turbamento o confusione, a intensificare la ricettività nella pratica meditativa assisa. Questo si può ottenere sollevando semplicemente i palmi verso il cielo, il che non significa rivolgersi attivamente verso qualcosa in grado di aiutarci come per magia, ma piuttosto rendersi disponibili a rivelazioni superiori, stimolando la propensione interiore a sintonizzarsi con energie abitualmente ritenute elevate, divine, celestiali, cosmiche, universali, di ordine e saggezza superiori.

Tutte le posizioni delle mani sono mudra in quanto associate a energie più o meno palesi. Prendiamo come esempio l’energia del pugno; quando siamo arrabbiati, tendiamo a chiudere le mani a pugno e questo vuol dire che molti fra noi praticano spesso i mudra inconsciamente; ogni volta che lo facciamo alimentiamo i semi della violenza e della collera, che rispondono germogliando e divenendo più forti.

La prossima volta che vi accorgerete di stringere i pugni per la rabbia, cercate di introdurre consapevolezza nell’atteggiamento interiore esplicitato appunto dal pugno chiuso. Percepite la tensione, l’odio, l’ira, l’aggressività e la paura insite in quel gesto. Poi, nel vivo della manifestazione di collera, fate una prova: se la controparte è presente, cercate di aprire i pugni e di porre i palmi delle mani giunti sul cuore nella posizione di preghiera, proprio di fronte all’interlocutore. (Naturalmente questa persona non avrà la minima  idea di ciò che state facendo.) Notate l’effetto che ha sull’ira e l’irritazione mantenere questa posizione anche per pochi momenti.

Io trovo virtualmente impossibile continuare ad arrabbiarmi mentre compio questo gesto. Non che l’irritazione non fosse giustificata, ma entrano in gioco altri sentimenti che contengono l’energia collerica e la placano: sentimenti quali simpatia e compassione per l’altro e forse una maggior comprensione della situazione in cui si è coinvolti… del fatto che una cosa porta inevitabilmente all’altra; le conseguenze messe in moto impersonalmente si concatenano e il risultato può essere (erroneamente) considerato un fatto personale, poiché l’ignoranza si aggiunge all’ignoranza, l’aggressività all’aggressività, nella più assoluta mancanza di saggezza.

Quando Gandhi fu ucciso a bruciapelo, rivolse le mani giunte verso il suo aggressore, pronunciò il suo mantra e morì. Anni di meditazione e di pratica yoga, guidati dall’amata Bhagavad Gita, lo avevano portato al punto di permeare della concezione del non attaccamento tutte le cose in cui era impegnato, compresa la vita stessa. Gli consentivano di scegliere l’atteggiamento da prendere nel momento in cui la vita gli veniva tolta. Non è morto arrabbiato e nemmeno sorpreso, sapeva di essere in pericolo costante. Ma si era esercitato a marciare al ritmo della propria visione sempre più completa del comportamento saggio. Era arrivato al punto d’impersonare la compassione e viveva l’incrollabile impegno per la libertà politica e spirituale. In confronto, la sua incolumità personale aveva un valore limitato e la metteva sempre a repentaglio.

PROVA: prendete atto di sottili sensazioni emotive vissute nel corso della giornata e durante la pratica in posizione seduta. Prestate attenzione particolare alle mani; la loro posizione fa differenza? Cercate di capire se riuscite a essere più consapevoli prendendo maggior coscienza del vostro corpo.

Esercitandovi ad acquisire maggior confidenza con le vostre mani meditando seduti, notate se questo influisce sul vostro modo di toccare qualsiasi cosa, dall’aprire una porta al fare l’amore, poiché ogni circostanza ha un riferimento tattile. Può accadere di aprire una porta così distrattamente che la mano agisce indipendentemente dal corpo e può accadere di farsi male. Immaginate cosa si può provare a toccare un’altra persona non automaticamente, senza particolare intenzionalità, solo per far sentire la propria presenza e premura.

Da: Jon Kabat-Zinn, “Dovunque tu vada ci sei già”. Corbaccio, 2017.

Dovunque tu vada ci sei già. Capire la ricchezza del nostro presente per iniziare il cammino verso la consapevolezza

Jon Kabat-Zinn, Dovunque tu vada ci sei già
Secondo l'autore, per consentirci di avere piena coscienza della situazione in cui ci troviamo dobbiamo imporci una pausa. È solo allora che potremo cogliere l'attimo, impararne l'insegnamento e continuare. Nel libro  si tratta appunto della "consapevolezza", della capacità di cogliere l'"adesso" della nostra vita e della necessità di non essere continuamente proiettati verso il passato o il futuro. Solo grazie alla meditazione, cioè semplicemente essere presenti a se stessi, possiamo vivere invece che lasciarsi vivere.
Paolo Subioli

Questo è uno del libri più popolari dell’inventore della “Mindfulness”. Non è un caso, perché il libro è molto bello e ricco di esempi pratici per chi vuole imparare a meditare.

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[La foto è di Kampus Production, Portogallo]

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