Le Quattro Nobili Verità e l’Ottuplice Sentiero costituiscono il cuore dell’insegnamento del Buddha. Il loro significato viene qui espresso sinteticamente dal maestro zen Thich Nhat Hanh.
Dopo aver realizzato un risveglio totale e perfetto (samyak sambodhi), il Buddha doveva trovare le parole giuste per condividere con gli altri le sue profonde intuizioni. Aveva già l’acqua, ma per contenerla doveva scoprire vasi come le Quattro Nobili Verità e il Nobile Ottuplice Sentiero. Le Quattro Nobili Verità sono la crema dell’insegnamento del Buddha, il quale continuò a proclamare queste verità fino al “grande ingresso nel nirvana” (mahāparinirvāna).
Nelle fonti cinesi, la locuzione “Quattro Nobili Verità” è tradotta come “Quattro Verità Meravigliose” o “Quattro Sante Verità”. La nostra sofferenza è santa se la abbracciamo e la osserviamo a fondo; in caso contrario non ha nulla di santo, e noi non facciamo che affondare nell’oceano del dolore. Per “verità”, il cinese utilizza gli ideogrammi di “parola” e “re”. Nessuno può discutere la parola di un re. Queste quattro verità non sono un soggetto di discussione, sono qualcosa che va praticato e realizzato.
La Prima Nobile Verità è la sofferenza (dukkha). La radice del relativo ideogramma cinese significa “amaro”. La felicità è dolce; la sofferenza è amara. Tutti noi soffriamo, chi più chi meno. Tutti abbiamo un qualche malessere nel corpo o nella mente. Dobbiamo riconoscere la presenza di questo dolore, prenderne atto ed entrare in contatto con esso. Per farlo abbiamo bisogno di un maestro e di un Sangha, di una comunità di amici nella pratica.
La Seconda Nobile Verità è l’origine della sofferenza, le sue radici, la sua natura, la sua generazione, il modo in cui sorge (samudaya). Dopo essere entrati in contatto con la nostra sofferenza, occorre osservarla a fondo per scoprire come si sia generata. Occorre riconoscere e identificare quali fra i nutrimenti materiali o spirituali che abbiamo ingerito ci portino a soffrire.
La Terza Nobile Verità è la cessazione (nirodha) del creare sofferenza, che otteniamo astenendoci dal fare le cose che ci fanno soffrire. Questa sì che è una buona notizia! Il Buddha non ha negato che ci sia la sofferenza, ma non ha mai negato neppure che esistano la gioia e la felicità. Se pensi che il buddhismo affermi «Tutto è sofferenza, e non c’è niente da fare» sei in errore: questo è il contrario del messaggio del Buddha. Egli ci ha insegnato a riconoscere la presenza del dolore e a prenderne atto, ma ha insegnato anche come far cessare la sofferenza. Se non ci fosse alcuna possibilità di cessazione, a che cosa servirebbe la pratica? La Terza Verità è che è possibile guarire.
La Quarta Nobile Verità è il sentiero (mārga) che ci conduce ad astenerci dal fare le cose che ci provocano sofferenza. Questo è il sentiero di cui abbiamo più bisogno. Il Buddha l’ha chiamato “Nobile Ottuplice Sentiero”. In cinese viene tradotto come “Sentiero delle otto rette pratiche”: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto sostentamento, retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione.
Nota: “Retto”: in pali samma, in sanscrito samyak. In entrambe le lingue è un avverbio che significa “nel modo giusto”, “dritto” o anche “eretto”, non piegato o contorto. Per esempio, “retta consapevolezza” significa che ci sono modi di essere consapevoli che sono giusti, retti e benefici. “Errata consapevolezza” significa che ci sono modi di essere consapevoli che sono errati, contorti e non benefici. Incamminandoci sul Nobile Ottuplice Sentiero, impariamo modi di praticare che sono benefici, i “retti” modi di praticare. Retto o errato non sono né giudizi morali né modelli arbitrari imposti dall’esterno. Grazie alla presenza mentale, noi stessi scopriamo ciò che è benefico per noi (“retto”) e ciò che non lo è (“errato”).
Da: Thich Nhat Hanh, “Il cuore dell’insegnamento del Buddha“, Neri Pozza, 2000.
Il cuore dell’insegnamento del Buddha. La trasformazione della sofferenza in pace, gioia e liberazione
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