Meditazione sul mio volto da vecchio

volto da vecchio

Che aspetto aveva il tuo volto prima che nascessero i tuoi genitori?“. È uno dei più celebri koan dello Zen. Il koan è un indovinello senza apparente soluzione che il maestro Zen sottopone all’allievo. Ha l’aspetto di una frase normale, pur non avendo un’interpretazione logica. Non può essere risolto col ragionamento, ma solo assimilato e vissuto nella propria vita, finché la risposta non emerge dall’esperienza stessa.

Credo che il koan sia uno strumento di pratica molto potente, perché fa emergere in noi capacità di comprensione inaspettate, che vanno oltre il pensiero razionale (senza nulla togliere al pensiero razionale, di cui oggi ci sarebbe tanto bisogno). In questo caso, vorrei adottare questo koan e ribaltarlo – da prima della nascita alla parte finale della vita – per riproporvelo come pratica contemporanea, supportata dalle tecnologie digitali più avanzate.

Il koan “Che aspetto aveva il tuo volto prima che nascessero i tuoi genitori?” è detto anche del “volto originale“. La sua origine risale al IX secolo in Cina. Inutile dire che su di esso è stato detto e scritto moltissimo, nel corso dei secoli. Una delle sue interpretazioni più popolari è che esso esprima il superamento del dualismo, cioè della dicotomia tra soggetto e oggetto. Il tema, molto trattato nel nostro sito, è uno dei pilastri dello Zen. Il binomio dei due genitori viene visto come allusione al dualismo, o dualità, mentre l’espressione “volto originale” alluderebbe al non dualismo originario, secondo l’esperto Victor Sogen Hori.

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Pervenire a tale stato originario non è facile, ma neanche impossibile. Bisogna essenzialmente liberare la mente prima dai concetti, poi addirittura dai pensieri stessi. Solo cosi, grazie alla meditazione, si sperimenta la natura originaria della mente.

Il grande maestro Eihei Dōgen, fondatore della scuola Soto Zen nel XII Secolo, ha detto:

Cessate ogni pratica basata sull’analisi intellettuale, sempre a caccia di parole e discorsi. Imparate quel passo indietro che rivolge la vostra luce all’interno ed illumina voi stessi. Allora corpo e mente cadranno spontaneamente e il vostro volto originale sarà manifesto.

Dunque lo Zen ci esorta ad abbandonare idee, concetti e speculazioni intellettuali, se vogliamo arrivare a una comprensione profonda della realtà. Una riflessione che mi sento di aggiungere è che quei condizionamenti che ci portano a percepire in modo distorto la realtà, e dai quali la pratica cerca di liberarci, li subiamo sin dalla nascita, proprio a opera dei nostri genitori, i quali a loro volta li hanno ereditati. Dunque il grande lavoro di liberazione richiede di togliere talmente tanto, che non basterebbe neanche arrivare al momento della nascita!

Ehi! Non avevamo detto di abbandonare l’analisi intellettuale? Passiamo dunque alla pratica, la Meditazione sul mio volto da vecchio.

Meditazione sul mio volto da vecchio, come fare

Rispetto al koan del “volto originale”, direi che questa pratica è piuttosto una meditazione sull’impermanenza. Tutti noi abbiamo esperienza di quanto sia cambiato il nostro volto, nel corso del tempo. Il volto di un bambino e quello di un vecchio sono molto diversi, ma sono anche molto uguali, tanto che molte persone, anche da anziane, sono riconoscibili nelle foto dei primi anni di vita. È un bel mistero, no? Siamo gli stessi o siamo un’altra persona? Cos’è rimasto di me rispetto a quando ero un bambino? Dal punto di vista fisico, non è rimasta neanche una cellula, perché le cellule nascono e muoiono di continuo. Dal punto di vista mentale, siamo estremamente diversi. Eppure non siamo un’altra persona, perché in noi vivono i ricordi di quel periodo. L’esperienza emotiva e affettiva dei primi anni di vita ci condiziona fino al nostro ultimo respiro.

Già meditare sul nostro invecchiamento è un bel koan, ricco di intrigante mistero. Ma stavolta vogliamo fare di più, meditare su qualcosa che non è avvenuto e non è neanche detto che avvenga. Perché nessuno ci assicura che ci arriveremo, a un’età anziana. “Come sarà il mio volto da vecchio?” Ah ah ah! È veramente una bella domanda, alla quale è impossibile dare una risposta sensata. A parte “Non lo so”, ovviamente.

Guardandomi ogni mattina allo specchio, non posso non notare l’invecchiamento progressivo del mio viso. Il solco di una ruga che si approfondisce, una macchia sulla pelle che emerge, le sopracciglia che si infoltiscono, i capelli che cadono, i peli della barba che si imbiancano. Che spettacolo stupendo! È la vita che sta danzando, e lo sta facendo proprio qui, e ora, dentro di me! Questa danza proseguirà, portando trasformazione, fino a quando la mia coscienza sarà in grado di osservarla, ma anche dopo, anche molto tempo dopo. Perché dopo la mia morte non scomparirò di certo. Gli elementi fisici presenti in me si trasformeranno e ciò che la mia mente ha generato nel corso del tempo continuerà a vivere, sotto la forma delle conseguenze dei miei pensieri, parole e azioni che, nel mio piccolo, potrebbero durare chissà quanto.

Eppure questa trasformazione è un mistero. Le mie cellule sono probabilmente programmate per seguire un certo iter, fino a un certo punto che in qualche modo è già definito. Ma nel frattempo possono succedere un sacco di cose impreviste, chissà. Dunque osservare il mio viso ipotetico da vecchio è molto interessante. È una tipica previsione che non si avvererà, se non altro perché non sono in grado di sapere esattamente come sarà.

Le previsioni si avverano solo alcune volte, e così le aspettative, quelle di cui ci riempiamo la vita. John Lennon ci aveva avvertito, più di 50 anni fa, che la vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti. E così è per il mio volto da vecchio, che se potessi veramente progettarlo, magari mi farei un po’ più carino!

Ho provato a fare una simulazione, così per gioco, usando una app molto divertente, FaceApp, che in un attimo trasforma la foto di un viso, ringiovanendola o invecchiandola. Il primo impatto è piuttosto spaventoso. “Oh, ma che brutto che diventerò!”. Nel nostro contatto con la realtà c’è sempre un giudizio, e questo giudizio è quasi sempre inutile. Anzi, dannoso, perché stende un velo dinnanzi ai nostri occhi, che ci impedisce di vedere bene.

Se guardo questo mio viso da vecchio, così arcigno, bianco e rugoso, vedo un me stesso che mi parla da un luogo ignoto, per ricordarmi che la vita è stupenda, nella sua voglia irrefrenabile di continuare imperterrita la sua danza. Ed è imprevedibile, sempre pronta a stupirci e a smascherare le nostre stupide aspettative. La vita è un koan. Ci consente di praticare senza smettere mai.

Che cos’è FaceApp

FaceApp è una app per dispositivi iOS e Android sviluppata da una società russa, che utilizza un algoritmo e l’intelligenza artificiale per generare automaticamente trasformazioni molto realistiche dei volti di persone nelle fotografie.

La app può essere scaricata da qui per iPhone e da qui per Android. Può trasformare un viso rendendolo più giovane, più vecchio o persino facendogli cambiare sesso. Può rivelarsi molto utile per meditare sulla nostra tendenza a costruirci un’identità fissa a cui rimaniamo attaccati all’infinito, scambiandola per la realtà. Per qualcuno mostrare la propria foro da vecchio/a, o anche in forma di altro sesso, può essere motivo di vergogna. Anche questo può essere un bell’oggetto di meditazione: il nostro tenace attaccamento all’io.

La Verità Digitale

Per finire, vorrei fare un accenno a un altro aspetto di questa applicazione. Grazie al foto-ritocco intelligente di FaceApp, sono in grado di vedere qualcosa altrimenti inconoscibile. Certo, è una simulazione, di cui non si può in alcun modo provare che abbia un reale riscontro nella realtà. Ma nel mondo digitale sono innumerevoli i casi in cui una app o un servizio online sia in grado di svelarci verità alle quali non possiamo arrivare da soli. Alcuni esempi sono la funzione traffico di Google Mappe o le app per il fitness, che ci dicono quanta altra attività fisica dobbiamo fare oggi per proteggere il cuore, come avevo spiegato nell’articolo “Dio esiste, è una app“.

È quella che nel mio libro “Ama il tuo smartphone come te stesso” chiamo la Verità Digitale, rifacendomi alla suddivisione, tipica del buddhismo, tra Verità Convenzionale e Verità Assoluta. La prima ci serve a organizzare la vita e i rapporti con le altre persone, ma è fatta solo di convenzioni. La seconda è molto meno immediata, ma riflette come stanno le cose veramente. Per indagarla, dobbiamo affinare la mente attraverso la meditazione. La Verità Digitale è una modalità ulteriore di approccio alla realtà che ci viene offerta dalle tecnologie digitali, alle quali, in fin dei conti, dobbiamo essere grati, pur con tutti gli inconvenienti che comportano.

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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