La mia settimana al monastero buddhista di Santacittarama

santacittarama e la tradizione thailandese della foresta

Ho passato una settimana al monastero buddhista di Santacittarama ed è stata un’esperienza molto bella e nutriente. Pertanto vorrei condividerne con voi alcuni aspetti che mi sembrano particolarmente interessanti.

Il monastero di Santacittarama si trova a circa 50 Km da Roma, in Sabina, una zona di campagna dominata dagli ulivi e scelta da molti romani come alternativa alla città. Santacittarama, che significa “Il giardino del cuore sereno”, è il primo monastero in Italia della tradizione Theravada, uno dei grandi filoni del Buddhismo. A Santacittarama ci sono, in particolare, i monaci che seguono la “tradizione thailandese della foresta”. Essi traggono ispirazione soprattutto dagli insegnamenti di Ajahn Chah (1918-1992), che in Thailandia ha formato tanti insegnanti di meditazione occidentali. Alcuni tra questi, come Ajahn Sumedho e Jack Kornfield, hanno contribuito in maniera determinante alla diffusione in Occidente della meditazione vipassana.

La tradizione thailandese della foresta

La tradizione thailandese della foresta è il ramo del buddhismo Theravada in Thailandia che si attiene più strettamente alle regole monastiche originali, così come stabilite dal Buddha. Anche se a noi occidentali può sembrare strano, non tutti i monaci buddhisti hanno come attività principale le meditazione. In questa tradizione invece sì. I monaci della tradizione thailandese foresta praticano molto la meditazione, abbinandola a scelte piuttosto radicali di austerità. Proprio come i primi discepoli del Buddha, non possiedono che il proprio abito e una ciotola per elemosinare il cibo. Praticano il celibato, mangiano solo fra l’alba e il mezzogiorno e non toccano il denaro. Praticano il “Tudong”, che consiste nell’attraversare a piedi i villaggi e la campagna, alla ricerca di un posto solitario dove potersi ritirare nella natura, dormendo dove capita e mangiando solo quello che viene loro offerto lungo la strada. Inoltre si astengono sia da qualsiasi bevanda alcolica, sia da qualsiasi forma di intrattenimento, compresi ascoltare la musica, vedere film, leggere romanzi, assistere a spettacoli di varia natura.

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Queste forme di astensione, tipiche della tradizione thailandese della foresta, possono essere considerate da qualcuno eccessive, mortificanti, masochistiche, superflue. Non saprei. In effetti non c’è niente di male ad ascoltare la musica, ma queste persone hanno fatto una scelta radicale di pulizia mentale, che è coerente con l’impegno a praticare la meditazione. Tutto il buddhismo è una disciplina del togliere, più che dell’aggiungere, perché richiede di imparare a guardare il mondo in un modo del tutto nuovo. La pratica del Dharma richiede più di disimparare che di imparare. Interagendo con i monaci di Santacittarama, ne ho potuto apprezzare lo spessore spirituale, che probabilmente è anche favorito dalla sobrietà estrema del loro stile di vita.

Origini della tradizione thailandese della foresta

La tradizione della foresta è antecedente anche al Buddha stesso, che a 29 anni abbandonò la sua vita di agio per andare a vivere sotto gli alberi. Alcuni suoi discepoli scelsero di continuare a vivere in austerità nella foresta, per stare a contatto con la natura, con le sue difficoltà e i pericoli, come tigri e serpenti. Ciò costituiva un terreno perfetto per l’esercizio spirituale e per vincere la paura, assicurando anche un luogo piacevole in cui dimorare in pace e praticare la concentrazione nella meditazione. Questo filone spirituale fu tramandato lungo l’arco della storia, perdendo però col tempo il suo rigore, fino a corrompersi profondamente. Lo spirito originale della tradizione thailandese della foresta fu però recuperato nel XIX secolo da Ajahn Man, dal suo maestro, Ajahn Sao e dal suo allievo Ajahn Chah. Questi monaci prediligevano lo stile di vita del vagabondaggio ascetico e della pratica meditativa nella natura, scegliendo posti come foreste, grotte e crematori. Da Ajahn Chah è scaturita una specifica tradizione, o lignaggio, che comprende circa 200 monasteri in tutto il mondo. Il primo in occidente è stato fondato nel 1979 da Ajahn Sumedho a Cittaviveka, in Inghilterra.

Una caratteristica interessante dei monaci della tradizione thailandese della foresta è quella di vivere in capanne all’interno della foresta stessa. Anche a Santacittarama i monaci, specialmente i più giovani, vivono in capanne sparse nel bosco. Ho visitato una di queste abitazioni, che sono piccole e molto spartane, dotate di una stufetta a legna per scaldarsi in inverno. Vicino a ogni capanna c’è una specie di breve pista rettilinea per praticare la meditazione camminata. Le seguenti foto illustrano lo scenario che ho descritto.

Quella di meditare nel fitto della boscaglia è una pratica molto incoraggiata, a Santacittarama, anche a beneficio dei visitatori. Ovunque sono state collocate delle piccole piattaforme di legno che fungono da sedili. Personalmente ne ho usufruito spesso, nella mia settimana di permanenza, come ho anche testimoniato nel video sulla meditazione nel bosco.

Qui potete sentire – e magari usare come meditazione – il suono del torrente nel bosco a Santacittarama:

La giornata tipo a Santacittarama

A Santacittarama la giornata tipo è molto lontana dagli standard di una vita “normale”. Si comincia alle 5, con la recitazione dei canti del mattino e un’ora circa di meditazione. Dalle 6.30 si fanno lavori di pulizia fino alla colazione delle 7. Dalle 8 in poi si lavora ancora, per la manutenzione del sito e la preparazione del pranzo, che avviene alle 11. Dopo di che non si mangia più fino al giorno dopo. Il pomeriggio è dedicato alla pratica individuale, fino alle 19.30, orario della seconda sessione di recitazione di canti più meditazione.

Non è obbligatorio seguire tale programma, ma chi va a passare del tempo a Santacittarama lo conosce in anticipo e tendenzialmente lo segue. Io l’ho seguito. A dire il vero, mi ero portato delle barrette ai cereali da mangiare in caso di emergenza, ma non le ho toccate. Anzi, ho scoperto che saltare la cena è più che possibile. È solo una questione di abitudine. A volte scambiamo le nostre abitudini mentali per delle necessità reali. Saperlo è utile, sperimentarlo in prima persona lo è molto di più!

Avere un pomeriggio intero a disposizione per praticare, ma facendolo in piena libertà, è un esercizio stupendo. Consente di praticare osservando al tempo stesso la propria motivazione e le proprie modalità di reazione quando si ha “carta bianca” per gestire il proprio tempo. I luoghi per meditare non mancano, a Santacittarama. Oltre alle tante postazioni nel bosco che ho citato, ci sono panchine collocate strategicamente nel bellissimo parco, e perfino due piccole grotte e un cimitero abbandonato. Proprio nello stile della tradizione thailandese della foresta!

Tra silenzio e socializzazione

Una cosa che mi sembra importante dire, per chi desideri affrontare un periodo a Santacittarama, è che l’autogestione del tempo è di per sé una piccola sfida, interessante e insidiosa al tempo stesso.

Quando si partecipa a un ritiro di meditazione, di solito su seguono un programma quotidiano e delle regole ben precise. Ci si muove dentro binari ben delineati, seppur variabili da una tradizione all’altra. Si va dai severi ritiri Vipassana, in cui non si pronuncia una sillaba per una settimana, né si legge nulla, ai più socializzanti incontri nella tradizione di Thich Nhat Hanh, dove la “condivisione” tra i partecipanti è piuttosto incoraggiata.

Approfitto per segnalare che su Zen in the City c’è il Calendario dei ritiri di meditazione in Italia, che consente di trovare il ritiro su misura per le proprie esigenze.

A Santacittarama si è liberi di scegliere. Come ho detto, anche questo è un esercizio. Volendo, si può praticare il silenzio per tutto il tempo, ma si può anche fare l’opposto. Quando si mangia, ad esempio, si è liberi di stare dove si vuole. C’è chi sceglie un tavolo per scambiare qualche parola con i commensali, chi si colloca deliberatamente in posizione isolata. Nei giorni in cui sono stato a Santacittarama, una persona era venuta col camper e dormiva per conto proprio. Nei giorni in cui si prevedeva ci fosse più possibilità di socializzazione, non si faceva vedere, ma non era affatto una persona poco socievole! Probabilmente una persona saggia.

La Puja e gli aspetti devozionali

Come ho detto, a Santacittarama ci sono due momenti di canti seguiti da meditazione, la mattina e la sera, che si svolgono nel tempio. Già una particolarità, rispetto ad altre tradizioni, è di avere un tempio anziché una sala di meditazione. Questo perché nella tradizione thailandese della foresta esiste una certa dose di aspetti devozionali, che sono del tutto sconosciuti a chi, ad esempio, pratica lo zen.

La riunione mattutina e serale nel tempio viene chiamata Puja, un termine in lingua pali che significa per l’appunto devozione, rendere onore, fare oggetto di culto. Tale tradizione affonda le sue radici ai primissimi tempi del buddhismo, quando si cominciò ad affermare la pratica di ricordare le qualità del Buddha, di cui si sentiva particolarmente la mancanza, essendo scomparso da poco.

Nella breve registrazione che segue, fatta a Santacittarama, potete sentire un esempio di canto recitato durante la Puja.

 

I versi in lingua pali, ripetuti 3 volte, dicono:

Namo Tassa Bhagavato Arahato
Samma Sambuddhassa

Che significa: “Rendo omaggio al Beato, al Perfetto, al Pienamente Illuminato”. È una formula che precede i Tre Rifugi (prendo rifugio nel Buddha, nel Dhamma e nel Sangha) e i Cinque Precetti (mi impegno ad astenermi dal togliere la vita, dal prendere ciò che non mi appartiene, da una condotta sessuale inappropriata, dal discorso scorretto, dall’assumere sostanze inebrianti).

Ecco, questo aspetto di Santacittarama potrebbe non piacere. Mentre si recitano i canti devozionali – nei quali l’uso della lingua pali potrebbe perfino ricordare il latino nella chiesa cattolica – si ricorre abbondantemente anche alle prostrazioni, in una profusione di statue del Buddha e oggetti di culto. Inoltre c’è una netta separazione tra laici e monaci. E anche tra questi ultimi le gerarchie sono piuttosto marcate.

Chi apprezza le forme più laicizzate della pratica, come quelle del buddhismo secolare, ma anche della stessa mindfulness, può trovarsi un po’ a disagio in un contesto del genere. È anche il mio caso. Ma devo dire che, adottando uno sguardo ampio, gli aspetti devozionali possono essere contestualizzati e pienamente compresi. La tradizione thailandese della foresta appartiene al Buddhismo asiatico, dove questi aspetti normalmente sono molto più enfatizzati.

Del resto, si può fare un ragionamento molto semplice. La tradizione thailandese della foresta ci permette di godere di insegnamenti meravigliosi, come quelli di Ajahn Chah, di Ajahn Sumedho e di tanti altri insegnanti che hanno seguito questo “lignaggio”. Sono peraltro insegnamenti molto aperti e se vogliamo “moderni”. Se non ci fossero gli aspetti devozionali, probabilmente non ci sarebbero neanche i libri e i discorsi di Ajahn Sumedho. Meglio dunque così, per me. Cari monaci di Santacittarama, continuate secondo le vostre regole e non rinunciate ad accogliere noi visitatori e ospiti con la gentilezza, la disponibilità e  l’apertura mentale che avete sempre dimostrato.

Per concludere vorrei ringraziare Mario Thanavaro, il fondatore di Santacittarama. Nel 1990 – quando era monaco con il nome di Ajahn Thanavaro – stabilì la sede del monastero a Sezze (Roma), che nel 1997 fu trasferita dove si trova ora, a Poggio Nativo. Dobbiamo essere grati soprattutto a lui se esiste un posto come Santacittarama.

Tramite questo video è possibile conoscere in breve la storia di Santacittarama:

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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