Ritrovare la contemplazione al tempo dei social
Come possiamo ritrovare la dimensione della contemplazione al tempo del web e dei social? Charlie Chaplin può insegnarci qualcosa in tal senso e lo scopriamo con il seguente estratto dal mio libro “Ama il tuo smartphone come te stesso”, in libreria dal 16 novembre.
La catena di montaggio messa in scena in Tempi moderni – il film diretto e interpretato da Charlie Chaplin – è figlia di una teoria manageriale di inizio XX secolo, il taylorismo, che proponeva di analizzare in maniera scientifica i flussi di lavoro per migliorare l’efficienza economica della fabbrica e la produttività dei lavoratori. Attraverso metodi come la standardizzazione, la suddivisione del lavoro in unità elementari, la misurazione dei risultati e gli incentivi, i principi del taylorismo resero le fabbriche molto più produttive.
Circa un secolo dopo è arrivato Google, i cui ingegneri hanno applicato i principi del taylorismo al nostro lavoro mentale, per consentirci di elaborare molte più informazioni a parità di tempo. Ha funzionato, ma ciò ha avuto come conseguenza di limitare la nostra possibilità di ponderare e riflettere sulle varie alternative, nel corso delle nostre ricerche. Il modello di Google ci spinge a muoverci più velocemente tra un’informazione e l’altra e dunque a essere più superficiali. Ciò è coerente col modello di business della multinazionale americana, basato sulla raccolta di informazioni sugli utenti e la conseguente proposta di pubblicità mirate. Più velocemente ci muoviamo da un link all’altro, più Google ci guadagna.
Ma del resto il web non è fatto per la contemplazione e l’approfondimento. Internet è una tecnologia nata per connettere tra loro computer di tipo diverso attraverso la rete telefonica. È cresciuta pian piano offrendo vari tipi di servizi, come l’email o l’accesso alle reciproche banche dati delle università. Poi l’esplosione vera e propria verso un consumo di massa si è avuta a partire dal 1993, anno in cui il CERN ha reso pubblico il World Wide Web, invenzione di uno dei suoi ricercatori, Tim Berners-Lee. Caratteristica principale della rete web è che i nodi che la compongono sono tra loro collegati tramite i cosiddetti link (collegamenti ipertestuali), formando un enorme ipertesto. I suoi servizi, inoltre, possono essere resi disponibili dagli stessi utenti. Tramite questo link si può ammirare la home page del primo sito web della storia, messo online il 6 agosto 1991 da Tim Berners-Lee.
La presenza di link ipertestuali all’interno del testo pone il lettore in un atteggiamento del tutto nuovo, rispetto al passato. Chi si trova di fronte una pagina del web è invogliato non tanto a leggerne per intero il contenuto, quanto a cliccare su uno dei link per passare a un altro contenuto. Il lettore da contemplativo diventa attivo. La sua mente contemplativa difficilmente riesce a emergere, perché la mente operativa viene alimentata di continuo.
Anche nelle più moderne pagine web i contenuti non vengono mai proposti da soli. La tipica pagina di un articolo di news presenta al lettore il testo dell’articolo al centro, contornato di una gran quantità di inviti all’azione: banner pubblicitari, pulsanti per condividere sui social media, link agli articoli più popolari, link alle altre sezioni del sito, eccetera. Nelle pagine ottimizzate per i piccoli schermi degli smartphone i criteri seguiti sono i medesimi, ma con un design studiato per incentivare all’azione chi sta già facendo qualcos’altro, come ad esempio camminare.
Mente contemplativa e mente operativa
Internet ci spinge dunque implicitamente a essere molto operativi e poco contemplativi. Questo continuo darsi da fare rende inevitabilmente più superficiale l’approccio ai contenuti con i quali veniamo in contatto, a qualsiasi tipo di contenuto. L’utente online tipicamente dedica poco o pochissimo tempo a ogni contenuto che gli/le viene proposto. Chi pubblica contenuti online sa che il lettore difficilmente dedicherà più di un paio di minuti a ciascuna pagina e si regolerà di conseguenza per confezionare un testo di lunghezza appropriata. Analogamente, un video di durata superiore ai due minuti ha probabilità molto scarse di essere visto fino in fondo. Su internet l’utente ha molta voce in capitolo (anche se non lo sa) e disinteressarsene equivale a una condanna all’invisibilità. Assecondare le abitudini, i desideri e le pulsioni degli utenti consente di avere più accessi e maggiori entrate pubblicitarie, la maggiore e più sicura fonte di finanziamento per gli editori online.
La gran parte dei servizi online oggi più popolari si basa sulla fruizione veloce dei contenuti. […]
È inevitabile che questa compressione dei tempi di fruizione – a vantaggio di un consumo quantitativamente maggiore – renda più superficiale il nostro rapporto con qualsiasi tipo di contenuto. Su Facebook, anche nelle pagine dedicate a discipline come la filosofia, dilaga la condivisione di immagini contenenti una frase o una citazione. Ecco di seguito un esempio.
Veder comparire questa pillola filosofica sullo streaming di contenuti Facebook è gradito come ricevere una cartolina dalla Grecia antica, scritta da Aristotele in persona. Uno dei filosofi più influenti di sempre ci fa un grande regalo in questo caso: ci risparmiala lettura delle trecento pagine della “Politica”, un’impresa alla quale oggi neanche più gli studenti di filosofia hanno voglia di cimentarsi.
I contenuti ridotti in pillole elementari in effetti somigliano parecchio alla frammentazione del lavoro in unità elementari del taylorismo. L’operaio Charlot vedeva scorrere davanti a sé, sul nastro trasportatore della catena di montaggio, pezzi con due soli bulloni da stringere. Oggi sulla pagina principale del nostro Facebook vediamo scorrere lo streaming di tante pillole di contenuti, da consumare il più velocemente possibile. La nostra mente contemplativa è completamente inibita, a vantaggio della mente operativa. Riuscirà quest’ultima a trarne gli spunti per una vita saggia e soddisfacente?
Da: Paolo Subioli, “Ama il tuo smartphone come te stesso. Essere più felici al tempo dei social grazie alla Digital Mindfulness“, Red edizioni, 2017.
Per approfondire:
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Zen in the city. L’arte di fermarsi in un mondo che corre

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