Raggiungere il Nirvana è più facile di quello che si crede. Ecco alcune ricette

Raggiungere il Nirvana, cioè lo stato in cui cessano tutte le forme di sofferenza, è un obiettivo alla portata di tutti. Uno dei modi per farlo, ad esempio, è quello di espirare, anche solo per una volta. E non è un paradosso, perché l’espirazione è l’atto per eccellenza del lasciare andare, del mollare la presa, del non voler più trattenere: ovvero di ciò che è necessario per ottenere la liberazione. Se imparassimo davvero a lasciare andare, potremmo vivere felici e appagati in questo mondo. Si parla di raggiungere il Nirvana perché questo mondo in cui viviamo ci mette molto a disagio, dal momento che cambia di continuo, è privo di luoghi sicuri nei quali rifugiarsi e di certezze sulle quali fare affidamento.
Di fronte a ciò che non ci piace erigiamo barriere o cerchiamo vie di fuga, di solito peggiorando la situazione, e quando invece c’è qualcosa che ci piace ce ne attacchiamo forsennatamente, vedendocela poi sfuggire di mano. Siamo continuamente in lotta contro ciò che percepiamo al di fuori di noi – le altre persone, gli eventi, la società, la situazione nella quale ci troviamo – asserragliati nel fortino del nostro io, dell’immagine di noi stessi che ci siamo costruiti.
La conseguenza è che tutto ciò che ci capita, o ci potrebbe capitare, lo classifichiamo in buono o cattivo, giusto o sbagliato. Perdere il lavoro o guadagnare meno soldi è cattivo, invecchiare è cattivo, ammalarsi è attivo, morire è cattivo. Persino sbagliato e ingiusto. E questo ci provoca di continuo ansia, paura, rabbia. Un ciclo senza fine di sofferenza.
Raggiungere il Nirvana è il contrario di tutto ciò. È liberarsi dalle idee e le opinioni di cosa sia giusto o sbagliato, come abbiamo visto con Thich Nhat Hanh. Ma è anche non aggrapparsi a nulla, lasciare andare, mettere a tacere la mente discriminante e essere aperti alla vita che fluisce. Questo lo facciamo inconsapevolmente più volte al minuto, ogni volta che espiriamo, come ci fa notare Alan Watts.
Se nirvana è “espirazione”, essa è l’atto di chi ha capito l’inutilità di cercare di trattenere il respiro o la vita (prajna) indefinitamente, poiché trattenere il respiro significa perderlo. Allora, nirvana è l’equivalente di moksha, sollievo o liberazione. Da un lato, essa appare come disperazione — il riconoscimento che la vita, in fondo, elude i nostri sforzi di dominio, che tutti gli sforzi umani altro non sono che una mano evanescente afferrata alle nuvole. Dall’altro, questa disperazione prorompe in gioia e potere creativo, in base al principio che perdere la vita significa trovarla — trovare la libertà d’azione emancipata dall’auto-frustrazione e dall’ansietà insite nel tentativo di salvare e controllare l’io.
(da: Alan W. Watts, La via dello zen, Feltrinelli, 1960)
Allora forse basterebbe una sola inspirazione con questa consapevolezza ed ecco che possiamo raggiungere il Nirvana! Quest’ultimo, peraltro, non può essere qualcosa che si possa raggiungere in modo definitivo, perché non c’è nulla a questo mondo che dopo averlo ottenuto, prima o po non lo perdiamo.
Che cosa significa raggiungere il Nirvana
Nel Buddhismo, il Nirvana è lo stato in cui si ottiene la liberazione dal dolore (dukkha). Tale stato può essere considerato come condizione finale, ad esempio al termine dell’esistenza o come culmine di un cammino spirituale, oppure come raggiungimento temporaneo. Questa differenza è sostanziale e la si può riscontrare perfino nella scarna rassegna offerta più avanti in questo articolo. Storicamente, la dottrina del Nirvana ha acquisito significati diversi a seconda della scuola buddhista, del periodo storico e del luogo di divulgazione.
Vediamo in estrema sintesi cosa dicono gli autori più presenti in Zen in the City a proposito di raggiungere il Nirvana.
- Per Ajahn Sumedho il Nirvana è la condizione in cui non ci si aggrappa a nessun fenomeno che abbia un principio e una fine. Quando lasciamo andare questo insidioso e abituale attaccamento a ciò che nasce e muore, cominciamo a realizzare l’Immortale.
- Per Shunryu Suzuki, si progredisce un po’ per volta, nel cammino spirituale, ma non bisogna aspettarsi nulla. “Non c’è alcun Nirvana al di fuori della nostra pratica, distinto da essa”.
- Thich Nhat Hanh dice che il Nirvana è la liberazione da ogni forma di sofferenza e la sofferenza viene sempre dalle percezioni erronee che abbiamo della realtà. Per raggiungere il Nirvana, dobbiamo perciò liberarci di idee e opinioni – perfino delle parole – e praticare il più possibile forme di contatto diretto con la realtà.
- Per Charlotte Joko Beck, dopo aver capito che non c’è nulla da cercare, possiamo sperimentare la perfezione, cioè il Nirvana, nelle situazioni più problematiche della vita, liberi da avversione e giudizio, ma anche da qualsiasi aspettativa.
- Per Stephen Batchelor, il Nirvana non è uno stato finale o un’esperienza dell’incondizionato, né la completa e definitiva libertà dai veleni dell’avidità, dell’odio e della confusione. Esso va piuttosto inteso come un’esperienza – temporanea o prolungata – di cessazione della reattività. Ogni volta che ci riusciamo, i tre veleni non dominano le nostre menti e siamo in grado di sperimentare un senso di libertà, quiete e stabilità. Piuttosto che vedere il Nirvana come l’obiettivo della pratica, propone di metterlo al centro della propria pratica.
Pratiche per raggiungere il Nirvana con l’espirazione
Ed ecco alcune pratiche e spunti utili per imparare a usare l’espirazione consapevole quale via maestra per lasciare andare.
- Praticare la meditazione guidata dell’onda, nella quale l’espirazione rilassa ogni centimetro del corpo.
- Saper apprezzare le differenze tra inspirazione ed espirazione nei loro effetti sul corpo.
- Praticare la meditazione guidata sulla consapevolezza del respiro, tratta dal Sutra Anapanasati.
- Capire dalle parole di Jon Kabat-Zinn la relazione che c’è tra morte e meditazione.
- Provare l’esercizio della respirazione di pancia per affrontare rabbia e paura.
- Sperimentare shavasana, la posizione yoga del cadavere.
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