martha postlethwaite, clearing

Martha Postlethwaite in questa poesia rappresenta con estrema chiarezza e profondità il disagio di chi si sente impotente di fronte alla sofferenza del mondo, esortando a rivolgere lo sguardo alle proprie risorse interiori.

Radura

Non cercare di metterti al servizio
di tutto il mondo
o di fare qualcosa di grandioso. Piuttosto, crea
una radura
nella fitta foresta
della tua vita
e aspetta lì
pazientemente
finché la canzone
che solo tu puoi cantare
cada nelle tue mani raccolte a coppa
e tu la riconosca e l’accolga.
Solo allora saprai
come darti
al mondo
così degno di essere salvato.

Clearing

Do not try to serve
the whole world
or do anything grandiose. Instead, create
a clearing
in the dense forest
of your life
and wait there
patiently,
until the song
that is yours alone to sing
falls into your open cupped hands
and you recognize and greet it.
Only then will you know
how to give yourself
to the world
so worthy of rescue.

Tratto da: Martha Postlethwaite, “Addiction and Recovery: A Spiritual Pilgrimage“, Fortress Press, 2019.
Traduzione di Paolo Subioli.

Chi è Martha Postlethwaite

Martha Postlethwaite ha trascorso la sua vita professionale ascoltando e condividendo storie in numerosi contesti, anche come cappellano metodista. Pastore della United Methodist Church, ha ricevuto una formazione in consulenza psicologica e direzione spirituale. Dopo 22 anni di insegnamento in teologia, Martha ha trovato la sua vera casa come pastore principale della Recovery Church, nel Minnesota, “una comunità cristiana e di riconciliazione aperta a diversi concetti di spiritualità”.

[La foto è di Nejc Košir]

Vuoi ricevere gli aggiornamenti da Zen in the City?

Inserisci il tuo indirizzo per ricevere aggiornamenti (non più di 1 a settimana):

(ricordati dopo di cliccare sull’email di conferma)

Dal commento pubblicato da Paolo Subioli su Yoga Journal:

La poesia di Martha Postlethwaite risponde a un dilemma classico della spiritualità: dobbiamo prima cambiare il mondo o noi stessi? Tutti i percorsi spirituali, per definizione, prescrivono la priorità sul lavoro interiore, a parte i molti casi in cui la religione si è intrecciata con la politica. Ma se leggiamo una poesia – tanto più se “mistica” – è meglio che lasciamo perdere i grandi sistemi e ci concentriamo so ciò che quei versi possono significare per noi.

Il filosofo Alan Watts diceva che il lavoro interiore non ha mai fine, ma man mano che procede conferisce alla mente quella tranquillità che le serve per attingere alla realtà. Comprendere se stessi è il prerequisito per una trasformazione nelle nostre relazioni immediate e nel mondo in cui viviamo. Del resto, come possiamo pretendere di cambiare addirittura il mondo se non riusciamo a far cessare la sofferenza né in noi stessi, né nella nostra ristretta cerchia di relazioni?

Ma dopo tutto, il mondo va davvero cambiato? Funziona allo stesso modo da milioni di anni e voler mettere mano a certi meccanismi ha un che di narcisistico, un certo sapore di superbia. Il mondo è sì degno di essere salvato, dice la poetessa, ma quello che dobbiamo capire è come “darci” ad esso, accettando le regole del gioco.

Dalla rubrica “Poesie mistiche” di Yoga Journal.

You need to login or register to bookmark/favorite this content.