kabir poesie

Tra le poesie di Kabir, “Difficoltà” è una di quelle che con più chiarezza esprime il paradosso del percorso spirituale: l’impossibilità per una mente guidate dall’io di liberare se stessa.

Ti prego, amico, dimmi che devo fare con questo mondo
Che continuo ad estrarre da me stesso!

Ho rinunziato alle vesti lussuose e mi sono comprato un saio
Ma un giorno mi sono accorto che il tessuto era di buona fattura.

Così ho comprato un saccaccio di iuta, ma ancora
Lo indosso con ricercatezza sulla spalla sinistra.

Ho smesso di essere un elefante sensuale
E ora scopro d’essere pieno di rabbia.

Alla fine mi sono liberato dalla rabbia, ma ora m’accorgo
Di essere avido da mane a sera.

Ho lavorato duro per dissolvere l’avidità
Ed ora sono orgoglioso di me stesso.

Quando la mente vuole spezzare il suo legame col mondo
È ancora attaccata ad una cosa.

Dice Kabir: Ascolta, amico,
In pochissimi trovano il sentiero!

Testo tratto da: Christina Feldman, “Compassione. Ascoltare le grida del mondo“, La Parola, 2007.

Kabir è un poeta molto amato nel mondo della Mindfulness e da chi pratica la meditazione, perché i temi che tratta sembrano in perfetta sintonia con tali contesti, che derivano principalmente dal Buddhismo. Ma Kabir era tutto meno che Buddhista e questo non fa che confermare l’universalità di certe intuizioni basate sull’introspezione spirituale. A noi occidentali, in particolare, piacciono gli ammonimenti su un approccio troppo “mentale”. Quest’ultimo scaturisce inevitabilmente dal contesto culturale che ci ha fatto diventare adulti. Per liberarcene, tentiamo invano di ricorrere alla razionalità. Kabir ci aiuta quanto meno a non farci illusioni: la strada è difficile!

Paolo Subioli

Kabīr e le poesie mistiche, al di là di ogni religione

Kabīr o Kabir (1440 circa – 1518 circa) è stato un mistico e poeta indiano. È tra i mistici medievali più celebri dell’India, anche solo per il fatto di essere egualmente venerato sia dagli hindū che dai musulmani. La sua famiglia – appartenente all’umile casta dei tessitori – era quasi certamente musulmana, ma aperta anche all’influenza dei Nātha, una tradizione yogica diffusa in tutta l’India settentrionale. Ma l’effettivo credo religioso di Kabīr resta un mistero, poiché in alcune sue opere afferma di essere hindū, in altre un musulmano e in altre ancora né l’uno né l’altro.

La leggenda narra che – dopo il perenne peregrinare durato tutta la vita, giunto forse all’età centenaria – scelse di morire a Maghar, piccolo e povero villaggio nei pressi di Gorakhpur, nell’India nordorientale. Secondo le credenze locali chi moriva a Vārāṇasī (che era la sua città natale) guadagnava una certa rinascita favorevole nei paradisi divini; viceversa, morire a Maghar, significava un altrettanto certa rinascita nella forma di un asino. E lì scelse di finire i suoi giorni Kabīr, rifiutando la facile rinascita nel mondo divino. Quando il santo stava per morire, due fazioni opposte di hindū e di musulmani convergevano armate verso Maghar per rivendicarne le spoglie: i primi per cremarle, i secondi per tumularle. Così Kabīr decise di ritirarsi in una tenda da dove scomparve. Gli hindū e i musulmani lì convenuti trovarono solo un mazzo di fiori, che fu egualmente diviso tra le fazioni: i musulmani tumularono la loro parte e sui resti eressero un monumento islamico.  La stessa cosa fecero gli hindū, che invece li bruciarono e dispersero nel fiume Gange, costruendo sopra il luogo della cremazione un samādhi, una tomba commemorativa della loro religione.

Kabīr rifiutava qualsivoglia religione “rivelata”, negando decisamente autorità religiosa sia al Corano che ai Veda. Questo lo rende molto vicino a molto maestri spirituali contemporanei  – si pensi specie a Krishnamurti, ma anche a Osho o Eckhart Tolle – e probabilmente spiega la sua popolarità anche nei nostri giorni.

La riscoperta in tempi moderni di Kabīr si deve a un altro grande poeta indiano, Rabindranath Tagore (1861-1941). Ma è da attribuire a un altro grande poeta, Ezra Pound (1885-1972), il risveglio di attenzione che la poesia del grande poeta mistico indiano ha ottenuto in Occidente a partire dai primi anni del Novecento, e cioè quando proprio Pound tradusse e pubblicò tredici sue poesie.

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Il flauto dell’infinito

Kabir, Il flauto dell'infinito
Se fu il grande Tagore a riscoprire la perenne validità degli insegnamenti di Kabir, si deve a un altro grande poeta, Ezra Pound, il risveglio di attenzione che la poesia del grande poeta mistico indiano ha ottenuto in Occidente a partire dai primi anni del Novecento, e cioè quando proprio Pound tradusse e pubblicò tredici sue poesie.
[L’immagine è tratta dalla pagina Facebook Kabir Das Doha, dedicata al poeta indiano]

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