Perché ho scelto come titolo del mio libro ‘Ama il tuo smartphone come te stesso’ (senza neanche voler essere ironico)
Molte persone, alla vista del titolo “Ama il tuo smartphone come te stesso”, reagiscono con un sorriso o addirittura una risata, magari sottolineandone il taglio ironico. In realtà il titolo non è ironico. Quando dico « ama il tuo smartphone come te stesso », intendo dire proprio quello, e la foto di copertina serve a sottolinearlo. Intendo esortare a non considerare con un approccio “dualista” qualcosa di così importante per le nostre vite come lo smartphone.
Lo smartphone ci accompagna sempre e ovunque, tanto che le sue dimensioni sono studiate per poter stare dentro una tasca. Ma è non tanto la sua vicinanza fisica a renderlo una parte ormai inseparabile di noi stessi. E non è neanche l’enorme quantità di tempo che ci passiamo insieme.
Sono nella nostra mente e nelle nostre famiglie
Il fatto è che i media digitali partecipano pienamente ai nostri processi cognitivi, collaborando con il cervello in molte situazioni chiave. Prendiamo ad esempio la memoria. Sapendo che in qualsiasi momento abbiamo a disposizione non solo la rubrica di tutti i nostri contatti, ma anche Google e Wikipedia, non ci proviamo neanche a fare lo sforzo di memorizzare qualcosa. La nostra memoria sta là dentro, nella nuvola di internet. Oggi neanche i cantanti si ricordano più a memoria le loro canzoni. E questo processo è in corso da secoli, perché la memoria degli antichi era molto superiore di quella dei nostri nonni, perché non avevano a disposizione neanche il supporto della scrittura. Altrimenti non sarebbero arrivati a noi libri come la Bibbia o l’Odissea, tramandati a lungo solo per via orale.
Consideriamo i rapporti famigliari. Ogni famiglia ha il suo gruppo Whatsapp per le comunicazioni interne. Centinaia di milioni di famiglie che conformano il modo di relazionarsi sulla base di questa tecnologia di cui Facebook Inc. è proprietaria. E il rapporto tra genitori e figli? Grazie al cellulare, il contatto tra madre e figlio non si interrompe mai, dall’infanzia all’età adulta, a qualsiasi ora del giorno e a qualsiasi distanza fisica. Come può questo non influire sulla psicologia dell’età evolutiva e dunque sulla personalità?
Potrei fare esempi a palate, e badate che sto cercando di parlarne nel modo più neutrale possibile, cioè senza dire se ciò di cui parlo sia un bene o un male.
Perché dobbiamo amarli
Il fatto è che “loro” ormai sono tra noi. Come in un film di fantascienza che si rispetti. E non ce ne libereremo mai. Ma non dobbiamo liberarcene. Dotarsi di oggetti esterni per accrescere le proprie capacità è da sempre il vantaggio dell’uomo sul resto dei viventi terrestri. L’ominide che in “2001 Odissea nello spazio” brandiva l’osso di un animale morto per usarlo come arma, è il nostro meritorio progenitore. E così sarà finché esisteremo, credo.
Dunque, se gli smartphone sono parte di noi, non dobbiamo condannarli, né demonizzarli, né rifiutarli. Condannandoli, condanneremmo noi stessi. Rifiutandoli, rifiuteremmo noi stessi. È amarli non significa esserne succubi. Nessun rapporto di vero amore è così. Neanche idolatrarli coincide con amarli; al contrario. Se idolatro l’iPhone X, potete stare sicuri che quando arriverà l’XI, il X lo vorrò buttare nel gabinetto (dopo aver fatto il backup di tutto).
Quello che propongo è un rapporto equilibrato. A me il Buddha è sempre piaciuto, perché era molto saggio, e lui era per la “via di mezzo”: né troppo, né troppo poco. Il ragionevole. Per percorrere la via di mezzo, serve una comprensione profonda della realtà, tocca essere consapevoli in ogni circostanza di cosa sta succedendo, specialmente di cosa succede nella nostra mente, che è la chiave di tutto.
Oggi dentro la nostra mente c’è Google e c’è Wikipedia, ci sono Apple e Facebook, gli smartphone, i tablet e i computer. Prendiamoci cura di loro. Ne hanno bisogno.
Leggi l’introduzione del libro: ti farà venire voglia di comprarlo
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