Mondiali di calcio, come non rovinarsi un momento memorabile con il proprio telefono

con il telefono smartphone allo stadio a vedere la partita di calcio

Nei Mondiali di calcio molte partite vengono risolte ai rigori. Questo “stillicidio di emozioni”, come è stato definito dai commentatori sportivi, costituisce uno dei momenti più memorabili per gli amanti del calcio. Per un centimetro in più o in meno, vengono decise le sorti di un titolo mondiale. Un singolo rigore può fare la “storia”, come si usa dire nel nostro tempo, così pieno di prosperità ma povero di emozioni forti.

Eppure tutti abbiamo potuto notare come tra gli spettatori presenti allo stadio sia molto comune la prassi di riprendere il rigore col proprio telefono, per portarsi a casa un filmato “memorabile”. Rimango allibito. Ma come, sei allo stadio a vedere in diretta la tua nazionale che gioca ai Mondiali, probabilmente a migliaia di chilometri da casa tua, spendendo pure un sacco di soldi. Quando arriva l’incredibile momento del rigore tu, invece di viverlo, di preoccupi di riprenderlo?

Voler filtrare l’emozione attraverso uno schermo che registra tutto è una delle malattie del nostro tempo. È un gesto sui cui risvolti negativi non riflettiamo mai abbastanza. Nel mio libro “Zen in the City” invitavo a sperimentare la “pratica della cartolina”, che consiste nel simulare la situazione che si aveva al tempo delle cartoline: prima vedo le cose, ne vivo pienamente le emozioni che ne derivano, poi a freddo identifico  ciò che mi ha colpito di più e di quella cosa seleziono un’immagine da condividere con le persone care. È l’opposto della condivisione immediata, della smania di fotografare o riprendere anziché godere di quella cosa.

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Non a tutti capita di assistere a una partita dei mondiali, ma lo stesso atteggiamento dello spettatore che riprende il rigore ce l’abbiamo tante volte. Ai concerti, ad esempio, dove migliaia di braccia alzate rimandano a un tempo futuro nel quale quella musica potrà essere vista su YouTube, in tante copie tutte di pessima qualità. Ma questo succede ogni volta che c’è un’occasione memorabile, che sia il matrimonio di amici, i primi passi dei nostri bambini, i saggi di fine anno, le performances di ogni tipo, i tramonti, le cose belle che accadono. Vogliamo portarci a casa quei momenti, come se fosse possibile possederli al di fuori della nostra memoria.

Tutto questo ha un prezzo.

Cognitive Offloading, ovvero il disimpegno dell’attenzione

Siamo di fronte a un fenomeno che gli scienziati hanno definito Cognitive Offloading, che letteralmente potrebbe essere tradotto “scaricamento cognitivo”. In pratica, ogni volta che sappiamo che una certa informazione potremmo poi ritrovarla online, non facciamo il minimo sforzo per memorizzarla. Questo accade, oltre che per i numero di telefono, per i nomi e i concetti, ma anche per le immagini.

Ad esempio, mi trovo di fronte a qualcosa di nuovo, come un bellissimo quadro in un museo. Se lo fotografo, automaticamente la mia mente non andrà ad analizzarle i dettagli, e di tali dettagli non se ne ricorderò affatto. La situazione è ben diversa se mi fermo per un po’ a contemplare l’opera, rinunciando a portarmene a casa un’immagine. È solo in questo secondo caso che l’artista, attraverso la materia di quell’opera, potrà veramente trasmettermi qualcosa, quel qualcosa che è difficilmente esprimibile a parole. Una comunicazione inter-umana che avviene attraverso le arti visive, la musica, la letteratura, il cinema, e che è fonte di emozioni uniche. Sono  state fatte di recente ricerche scientifiche che hanno messo a confronto le due diverse situazione il risultato è chiaro: se la mia preoccupazione è fotografare o riprendere, mi perdo tutta quell’altra parte.

Ecco, io credo che la nostra mente stia cambiando radicalmente, per via del digitale. È il tema del mio “Ama il tuo smartphone come te stesso“. Qualcosa perdiamo e qualcosa guadagniamo. Non sarebbe la prima volta. C’è chi dice che alla fine ci guadagniamo, come la tecno-entusiasta Laura Fasano, nota anche come TecnoLaura. Speriamo che abbia ragione,

Ma stiamo anche attenti a quello che perdiamo. Il rapporto diretto con le cose e con gli avvenimenti, nel quale tutto il nostro corpo è coinvolto, con i suoi cinque sensi e con la sua capacità di provare emozioni, è un bene prezioso e direi irrinunciabile.

Il Buddha 2.500 anni fa, nel famoso discorso del fiore, invitava i suoi seguaci a osservare un fiore, osservarlo e basta, per quello che era. Senza se e senza ma, diremmo oggi. E lo preferiva anche rispetto all’ascoltare un suo discorso di insegnamenti. Perché osservare veramente un fiore, essere lì al cento per cento con tutto se stessi, è più bello e più importante che ascoltare il più meraviglioso dei discorsi. Figuriamoci che differenza c’è col vedere la foto del fiore arrivata in allegato a un messaggio Whatsapp.

La meditazione è una sorta di antidoto a questa tendenza. Praticando la meditazione facciamo proprio l’opposto di chi in un momento memorabile delega la propria attenzione allo smartphone. Ci fermiamo a osservare ogni minimo dettaglio di qualcosa di molto ordinario: il corpo seduto, il respiro, il fluire dei suoni e dei pensieri. E grazie agli insegnamenti dello zen, seguiamo con estrema attenzione anche molte azioni ordinarie della vita, come farsi la doccia, lavare i piatti, camminare per strada, fare la pipì, viaggiare in metropolitana.

Perché vivere in questo mondo pieno di tecnologia è stupendo, ma è importante sapere che ci sono modi per un pagarlo a caro prezzo.

Per approfondire:

calcio

smartphone

contatto diretto con la realtà

fiore

emozioni

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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