Allo specchio o alla finestra: 2 modi di meditare
Ci sono due modi di meditare molto diversi tra loro: mettersi davanti allo specchio o affacciarsi alla finestra. Si tratta di pratiche simili nell’apparenza, ma decisamente divergenti nella direzione e dunque negli esiti. E non si tratta tanto di scuole di pensiero, come ad esempio le differenza tra zen e vipassana o tra mindfulness e meditazione buddhista. Sono due atteggiamenti opposti, che possono convivere anche all’interno della stessa scuola, perché alla fine ciascuno di noi, quando pratica, si ritrova da solo/a con se stesso/a.
Meditare davanti allo specchio
L’immagine di meditare davanti allo specchio è una metafora. Non parlo di sedersi davanti allo specchio come chi fa le prove per un balletto o prima di tenere un discorso. La metafora rappresenta un atteggiamento nel quale ci si riferisce unicamente a se stessi.
Mi siedo, mi concentro sul respiro e le sensazioni. Osservo tutto come mi hanno insegnato i maestri, ma ciò che mi interessa è unicamente il mio modo personale di reagire agli avvenimenti del mondo. Vedo la tristezza in me, vedo la rabbia in me, vedo la gioia in me. Ne esploro la natura e imparo a conoscermi meglio. Questo mi insegnerà ad essere più abile nel gestire le mie emozioni, a non reagire meccanicamente agli avvenimenti, a saper governare la mente e il corpo in maniera consapevole. È ciò che potrei imparare a un tipico corso di Mindfulness, al quale mi sono iscritto con lo scopo di ottenere maggiore benessere.
La meditazione davanti allo specchio mi fa osservare me stesso con cura e attenzione, mi aiuta a non essere in balia degli eventi e mi rende più capace di gestire le relazioni e le circostanze della vita quotidiana. Ma non mi dà la salvezza.
Meditare affacciati alla finestra
Meditare alla finestra è invece un’immagine che indica un altro atteggiamento: quello di chi non si preoccupa unicamente di se stesso/a, ma si siede a praticare con l’intento di osservare il proprio corpo, la propria mente e le proprie emozioni per indagare qualcosa di molto più ampio. Per passare dal particolare all’universale.
La pratica regolare di meditazione – sia che si tratti della vipassana, dello zen o di altre scuole – ci consente di osservare la realtà così come la percepiamo attraverso la coscienza. Tutto ciò che riusciamo a percepire passa attraverso il nostro corpo, la nostra mente e le nostre emozioni. Ma ciò che ci interessa veramente è arrivare alla verità ultima delle cose. Ciò che possiamo osservare nel corso della vita è veramente una porzione insignificante della realtà. Per di più lo facciamo con gli occhiali deformanti delle abitudini, dei pregiudizio, delle aspettative e delle convinzioni. Con la pratica di meditazione impariamo a osservare la realtà diversamente, più direttamente e più in profondità. Possiamo così arrivare a intuirne caratteristiche che potremmo definire assolute, cioè valide per tutti e in tutti i tempi. Ad esempio, la natura impermanente e vuota di tutti i fenomeni, come ci ha insegnato il Buddha. Nel Buddhismo e in altre filosofie e religioni orientali esiste la distinzione tra verità assoluta e convenzionale, che esprime per l’appunto questa possibilità di accedere a una comprensione più profonda della realtà tramite la pratica spirituale.
Alla verità assoluta, alla comprensione profonda dei fenomeni si arriva con una mente aperta al non conosciuto, disposta a viaggiare verso l’ignoto, con la curiosità di chi ama affacciarsi alla finestra.
Inoltre, chi ha esperienza di meditazione in gruppo sa che la qualità della pratica in quel caso è molto diversa da quella che si effettua individualmente, nel privato della propria casa. Quando si medita fianco a fianco con altri, ciascuno a contatto con il proprio corpo ma comunque insieme, c’è un’energia diversa, che si trasmette da persona a persona. È quell’energia che ci consente di osservare i fenomeni con occhi non individuali ma collettivi. Di cercare una verità che possa salvare tutti.
Quello che facciamo è dunque usare noi stessi per comprendere qualcosa di molto più vasto. Questo significa mettersi alla finestra a osservare ciò che c’è, aperti al mondo e non chiusi in noi stessi.
P.S. – Questo articolo è liberamente tratto da insegnamenti che ho ricevuto da Alberto Cortese.
Per approfondire:
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