Mindfulness in azienda, modelli a confronto

Mindfulness in azienda

La mindfulness in azienda – con le sue esperienze di meditazione all’interno degli uffici – è un argomento quanto mai attuale, perché si fa via via più pressante l’esigenza di trovare degli antidoti a un lavoro sempre meno amico dell’uomo e sempre più alienante, pervasivo, stressante, ansiogeno.

Un articolo di Massimo Tomassini, pubblicato sulla “Rivista Italiana di Counseling”, consente di chiarire alcuni aspetti importanti e in particolare di come le esperienze in questo campo si muovano lungo un asse che va dalla “strumentalizzazione” alle opportunità di “liberazione“, seppure con molte sfumature. E lo fa mettendo a confronto due approcci: uno più “dall’alto”, il corso di meditazione attivato all’interno di Google; l’altro che parte più “dal basso”, raccontato dalla famosa insegnante di meditazione vipassana Sharon Salzberg.

Search Inside Yourself

Della meditazione a Google abbiamo parlato più volte in questo sito (e l’argomento è approfondito nel libro Zen in the City). Il programma, intitolato Search Indise Yourself (“cerca dentro te stesso”) si caratterizza per essere promosso direttamente dai vertici aziendali, col fine di aiutare “piccoli gruppi di dipendenti, considerati ovviamente non come clienti da guarire ma come individui con doti personali e professionali da far progredire attraverso la comprensione e gestione delle proprie dinamiche cognitive, emozionali e relazionali”. Il programma parte dal potocollo MBSR (Mindfulness Based Stress Redction), messo a punto da Jon Kabat-Zinn per aiutare a ridurre la sofferenza tramite la consapevolezza degli stati mentali che influiscono su di essa. Tale approccio viene integrato con elementi di addestramenti all’intelligenza emotiva sulla base degli insegnamenti di Daniel Goleman.

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Search Inside Yourself è fortemente ancorato alla cultura aziendale e agli obiettivi di Google, tanto che il sottotitolo del corso è “accrescere la produttività, la creatività, la felicità“. Come si fa a coniugare un approccio così finalizzato con pratiche come la meditazione di origine buddhista, che per sua natura non si propone alcun fine? A tal proposito c’è chi ha parlato di “McMindfulness” per sottolineare il carattere deviato di questa tendenza.

Le critiche riguardano in generale il travisamento del concetto di mindfulness perpetrato dalle interpretazioni produttivistiche, laddove queste mettono lo sviluppo dell’attenzione e la riduzione dello stress al posto di mete fondamentali come la trasformazione della mente e l’eliminazione di stati mentali come l’avidità, l’avversione e la delusione.  Dal punto di vista di un buddhismo allo stesso tempo rigoroso e “impegnato” da cui provengono questi caveat la organizational mindfulness rappresenta lo snaturamento e la banalizzazione di principi e concetti fondamentali che dovrebbero essere invece applicati a sforzi di liberazione non solo individuali ma anche collettivi e non strumentalizzati da corporation che hanno già fin troppo potere nel mondo.

Una consapevolezza a tutto tondo

Un approccio più attento alla persona nella sua interezza – e anche più libero da fini produttivistici – è quello proposto da Sharon Salzberg nel suo libro “Happiness at Work“, nel quale l’autrice propone un approccio a tutto tondo della mindfulness al lavoro, sulla base della propria esperienza di insegnante in vari contesti. Ma anche qui, secondo Massimo Tomassini, aleggia una sorta di pregiudizio funzionalistico, che riduce la mindfulness a ricetta sempre valida e capace di supportare esigenze che sono “umane”, ma che in fin dei conti vertono in primo luogo sull’efficacia e sulle abilità personali.

Non può sfuggire che proporre la mindfulness – anche con le migliori intenzioni – come strumento , anche se rivolto al benessere individuale più che alla performance, significa in ogni caso tradirne il senso più profondo. [..] La mindfulness di per sé rappresenta una funzione della coscienza che può essere realmente coltivata solo a partire da un’intenzione che in qualche misura – almeno tendenzialmente – riesca a superare ogni intento finalistico. […] La questione fondamentale, da questo punto di vista, riguarda la possibilità di “ricordarsi” che viviamo realmente solo nel momento presente e che stando in questo momento possiamo riuscire a sintonizzarci – anche se sempre parzialmente e imperfettamente – con una dimensione di verità e libertà.

Dunque le pratiche di mindfulness sarebbero intrinsecamente non-finalizzabili, dal momento che invitano a stare con ciò che c’è, di qualunque cosa si tratti, senza alcun giudizio.

Il lavoro come palestra

Cosa propone allora il nostro autore? Di attivare programmi di natura essenzialmente “riflessivache vertano su questioni del tipo “com’è la mia vita di lavoro”, “cosa sento”, “come mi vedo agire”, etc – per poi lasciare libero il partecipante di scegliere se continuare con attività di meditazione regolari oppure semplicemente fare bagaglio di quanto appreso nel corso dell’attività formativa. Quest’ultima dovrebbe avere una forte connotazione “esperienziale” e partire dall’esperienza lavorativa, per interessare gli atteggiamenti della persona nei confronti della vita nel suo insieme.

Questo tipo di formazione non potrebbe dunque essere commissionato dalle direzioni aziendali, ma va rivolto a “piccoli gruppi di persone che riescano a intendere l’utilità di un percorso in questo campo e abbiano quantomeno intuito l’importanza della mindfulness nell’ambito di una maturazione personale più complessiva”, intendendo la vita professionale come “una straordinaria palestra per il riconoscimento delle modalità di funzionamento del sé in rapporto agli oggetti di attenzione, alle emozioni individuali e alle relazioni personali”.

L’ipotesi è affascinante anche se per il momento è abbastanza difficile capire in quali contesti possano concretamente scaturire iniziative del genere, specie in un Paese come il nostro, dove la realtà economica è caratterizzata dalla prevalenza di aziende medio-piccole o piccolissime, spesso a gestione famigliare, nelle quali c’è poca propensione – anche da parte degli stessi dipendenti – a intraprendere iniziative non direttamente finalizzate al business. Ma l’esperienza ci insegna che il futuro è quasi sempre diverso da come ce l’eravamo immaginato.

Per approfondire:

mindfulness

lavoro

La meditazione in azienda si accorda col profitto

MBSR

Zen in the city. L’arte di fermarsi in un mondo che corre

Zen in the city. L'arte di fermarsi in un mondo che corre
"Questo libro è stato il mio primo contatto con lo zen. Per me che sono appena approdata in questo mondo è stato una rivelazione, perché parla di pratiche quotidiane che non necessitano di particolari conoscenze, ma che aiutano a vivere la vita in modo più sereno. è un libro alla portata di tutti, esordienti e esperti. è bello potercisi affidare in davvero molti momenti della giornata, perché nel libro si riesce a trovare la giusta…
Paolo Subioli

Ho scritto questo libro per condividere ciò che ho imparato nell’ambito della mia pratica quotidiana, grazie agli insegnamenti dei maestri, ma anche e soprattutto dell’esperienza diretta.

[La foto è di UW Health, Usa]

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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