Meditazione su un quadro di Matisse

Henri Matisse, La stanza rossaHenri Matisse (1869-1954) è il pittore che più di ogni altro può farci capire cos’è la meditazione. Il metodo utilizzato dall’artista francese per dipingere è infatti molto simile a ciò che avviene nella mente quando si medita. Come si può osservare nel quadro qui riprodotto, “La stanza rossa”, l’artista non ha voluto stabilire una gerarchia tra figure e sfondo, assegnando a ogni elemento lo stesso valore decorativo, a tinte piatte, senza alcuno stratagemma per rappresentare la profondità e senza distinguere tra figure in primo piano e sfondo.

Tale metodo si discosta notevolmente dalla tradizione artistica occidentale, tutta incentrata sulla rappresentazione della realtà, specie a partire dal Rinascimento in poi. Fino all’età moderna l’arte è sempre stata racconto e/o rappresentazione, con accento sull’uno o sull’altro aspetto in base al periodo storico. Matisse compie il suo passaggio straordinario studiando l’arte di culture diverse: quella africana, mediorientale, giapponese, cinese, concentrandosi in particolare sugli aspetti decorativi delle arti applicate.

Nel momento in cui la figura umana diventa elemento decorativo, al pari della carta da parati, ma anche della sedia, dell’albero o della bottiglia, cessa di avere importanza sotto il profilo concettuale e assume valore solo per le forme e i colori che è in grado di comunicare al nostro occhio. Ma ecco cosa dice Matisse stesso (citazione tratta da Georges Duthuit, “Le feu des signes”, 1962):

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Se ho potuto riunire nel mio quadro quello che sta all’esterno, ad esempio il mare, e l’interno, è perché l’atmosfera dei paesaggio e quella della mia camera sono una sola… Non mi tocca accostare l’interno e l’esterno, tutte e due sono riuniti nella mia sensazione. Posso accomunare la poltrona accanto a me nello studio e la nuvola in cielo, il fremito della palma ai bordi dell’acqua, senza nessuno sforzo per differenziare i luoghi, senza dissociare i diversi elementi del mio motivo che sono un tutto unico nel mio spirito.

Matisse, nel suo scrupoloso lavoro di ricerca artistica, scopre dunque che, con l’osservazione, alla mente arrivano solo sensazioni, tutte con eguale dignità. Sono radiazioni elettromagnetiche della luce trasmesse al nostro occhio, e che la coscienza percepisce di volta in volta, in un flusso continuo. È questo nudo rapporto con la realtà, che avevamo quanto eravamo bambini ai primi mesi di vita e che ci esercitiamo a sperimentare con la meditazione. Le differenze, le gerarchie, i significati, vengono solo dopo e sono frutto della mente operativa, che vuole afferrare o respingere in base alle preferenze. Ma l’arte può consentire, come la meditazione, la libertà di vedere le cose per quello che sono e basta.

Ci vogliono curiosità e apertura, come ci ricorda lo stesso Matisse:

Quando parliamo di natura è sbagliato dimenticare che anche noi ne facciamo parte. Dovremmo osservare noi stessi con la stessa curiosità e apertura con la quale sudiamo un albero, il cielo o un pensiero, perché anche noi siamo collegati all’intero universo.

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Nota: la mostra a Roma “Matisse. Arabescue” chiuderà domenica prossima 21 giugno.

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[/column] [Nell’immagne: Henri Matisse, La stanza rossa, 1908, olio su tela, 180,5×221 cm, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo]

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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