Meditazione di benevolenza per i terroristi
La meditazione di benevolenza, o di “metta“, è una pratica di tradizione molto antica, che consiste nel generare pensieri di benevolenza prima di tutto verso se stessi, poi verso le altre persone (comprese quelle con cui non si hanno buoni rapporti), fino a comprendere tutti gli esseri dell’universo. È nota anche come meditazione d’amore o meditazione di gentilezza amorevole.
Propongo di adottare la meditazione di benevolenza per generare gentilezza amorevole a beneficio dei sempre più numerosi giovani che imboccano la strada distruttiva del terrorismo. Come si può concepire il piano di annientare tante vite insieme, compresa molto spesso la propria? È un pensiero che nasce inevitabilmente da una situazione di sofferenza interiore, al di là delle analisi politiche o sociologiche. Se questi ragazzi non soffrissero profondamente, non verrebbe loro in mente di uccidere così brutalmente tante persone.
Ecco dunque un possibile testo da pronunciare mentalmente e in modo ripetuto:
Che tutti coloro che hanno organizzato, ideato o sostenuto attentati terroristici, così come tutti coloro che stanno preparando per il futuro atti terroristici o di violenza contro persone indifese, possano vivere liberi dalla sofferenza.
Che tutti coloro che hanno organizzato, ideato o sostenuto attentati terroristici, così come tutti coloro che stanno preparando per il futuro atti terroristici o di violenza contro persone indifese, possano vedere sempre più chiaramente e sradicare sempre più profondamente le cause della sofferenza: l’attaccamento, l’avversione, la non visione, dentro e fuori di sé.
Che tutti coloro che hanno organizzato, ideato o sostenuto attentati terroristici, così come tutti coloro che stanno preparando per il futuro atti terroristici o di violenza contro persone indifese, possano essere liberi da tutta la sofferenza non necessaria.
Per “sofferenza non necessaria” è da intendere tutta quella sofferenza che non scaturisce da cause inevitabili, come ad esempio le malattie o la scomparsa di persone care. A volte è una sofferenza inflittaci dagli altri, a volte dai nostri stessi pensieri.
Per la nostra cultura, la metta somiglia molto a una preghiera, ma con la differenza fondamentale che non si rivolge a un’entità esterna (un dio, un santo). Si fonda anzi sul presupposto che non esista una separazione autentica tra chi pronuncia l’intenzione e la persona (o l’essere vivente) a cui essa è rivolta. Dunque chi adotta questa pratica lo fa perché la ritiene doppiamente efficace:
- nei confronti di se stessi, aiuta a sviluppare un’attitudine alla gentilezza amorevole verso il prossimo e dunque riduce le cause di sofferenza dovute all’avversione;
- nei confronti degli altri è comunque efficace, anche se indirettamente, proprio a causa dei numerosi elementi che ci collegano l’un l’atro in questa società, anche se fisicamente distanti.
Augurarsi che il proprio nemico non soffra significa adottare un punto di vista innovativo, nei confronti di problemi come il terrorismo. Diamo infatti per scontato che gli atti terroristici siano da condannare e poi ci dividiamo sulle strategie politiche da adottare. Ma non possiamo dimenticare che questi atti estremi scaturiscono da un modo comunque distorto di interpretare la realtà, che non può che derivare da una situazione di sofferenza, individuale e collettiva.
Ringrazio Alberto Cortese, ispiratore di questa pratica.
Per approfondire:
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Molto bello! ottimo suggerimento
Frequentare questi pensieri ci abitua a sentirli sempre più profomdamente….la trasformazione arriva da sé. GRAZIE