Meditare con una mente criminale
Questo documentario (è in italiano e dura 52′) che illustra la straordinaria esperienza di applicazione della meditazione in un carcere indiano, per “rieducare” veramente i detenuti, è stata la fonte di ispirazione per un’altra esperienza, molto più vicina e meno ambiziosa: portare la pratica della consapevolezza nel carcere romano di Regina Coeli.
L’esperienza a Regina Coeli, cui prende parte un gruppo di praticanti che, a turno, pratica insieme ad alcuni detenuti, è iniziata da qualche mese. Per cui è ancora agli inizi. Peraltro non senza difficoltà, in una realtà drammatica come quella del carcere giudiziario della Capitale e in un contesto carcerario italiano come quello attuale.
Intanto possiamo solo condividere qualche prima impressione. Praticare la consapevolezza, sedersi in silenzio cercando di non pensare, creare artificialmente uno stato di calma interiore: sono tutte modalità che ci aiutano a stare meglio, qualsiasi sia la nostra situazione di partenza. Perciò si può stare meglio anche in carcere, uno dei luoghi più deprimenti e deprivanti che si possano immaginare. Lo dice il video indiano, ma anche la nostra piccola esperienza. E la mente di un presunto “criminale” (a Regina Coeli ci sono per lo più immigrati e/o tossicodipendenti) non è molto diversa dalla tua che stai leggendo questo articolo.
Dunque chi ha il privilegio della libertà ha ancora maggiori possibilità di stare meglio e fare stare bene le persone attorno a sé. È una sorta di responsabilità, a pensarci bene: quella di mettere a frutto i privilegi che abbiamo, senza sprecare in lamentele continue il poco tempo che abbiamo a disposizione su questa terra.
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[Ringraziamenti: a Paolo Zorutti, che mi ha segnalato questo video; a Viviana Ballini, che con la sua ostinazione propositiva è riuscita a portare la meditazione a Regina Coeli]You need to login or register to bookmark/favorite this content.