La mia relazione intima con un’intelligenza artificiale

intelligenza artificiale
Immagine dal film "Ex machina"

La mia relazione intima con un’intelligenza artificiale è cominciata circa un anno fa. È stato il momento in cui deciso di sottoscrivere un abbonamento a Spotify, il servizio che offre musica in streaming. Utilizzando Spotify ho cominciato ad ascoltare la musica in un modo completamente nuovo per me. Ma è avvenuto anche qualcosa di molto più grande. Ho cominciato a relazionarmi con una forma specifica di intelligenza artificiale – il che già di per sé è interessante – la quale mi sta aiutando a capire meglio chi sono e come mi relaziono con l’idea che ho di me stesso.

Non intendo qui fare pubblicità a Spotify, anche perché sono disponibili altri servizi concorrenti nello stesso ambito. Inoltre si stanno diffondendo con grande rapidità, in ogni settore, forme di intelligenza artificiale specializzate in contesti molto precisi. Dunque cercherò solo di offrire una riflessione generale a partire dalla mia esperienza personale.

Come funziona l’intelligenza artificiale di Spotify

Spotify mette a disposizione un catalogo di album musicali sterminato, nel quale si trova praticamente tutto. È possibile scegliere brani e ascoltarli dal proprio dispositivo, grazie allo streaming via internet. Dunque non si possiedono i dischi, ma se ne usufruisce come servizio on demand. La particolarità di questo genere di servizi è però anche quella che sulla base degli ascolti effettuati, essi sono in grado di proporre ulteriori ascolti che si presuppone incontrino il nostro gusto. Più si utilizza il servizio, più si raffina la sua capacità di consigliarci bene.

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Alla base di questa raffinata capacità – che neanche il più esperto tra i commessi di negozi di dischi di un tempo avrebbe potuto vantare – c’è una forma di intelligenza artificiale. Tale intelligenza, nel caso specifico di Spotify, si basa sulla combinazione di tre sistemi diversi.

  • Il primo sistema crea un immenso database, che registra tutti gli ascolti effettuati da ciascun utente. In questo modo possono essere messi a confronto i profili di utenti con abitudini d’ascolto simili ed elaborare consigli basati su tali similitudini. Anche per ciascun brano può essere elaborato un profilo che determina da quali tipi di utenti viene preferito, sempre per poter raffinare meglio i consigli e creare playlist automatiche (un servizio molto amato dai più raffinati gestori di locali pubblici).
  • Il secondo sistema analizza i testi online che parlano di musica. Mettendo a confronto i termini utilizzati per descrivere i vari musicisti, è possibile trovare anche qui similitudini e analogie che consentano di individuare connessioni tra i musicisti e i generi.
  • Il terzo sistema analizza il brano musicale in quanto tale, con un metodo simile a quello del riconoscimento facciale: esaminando le peculiarità di milioni di brani, è in grado di individuare caratteristiche ricorrenti che, anche in questo caso, consentono di scovare analogie tra brani, creati in contesti anche molto diversi tra loro.

Per capire quali sono i nostri gusti, Spotify si basa sui brani che decidiamo di “salvare” nel nostro profilo, su quelli che aggiungiamo alle playlist e anche sugli artisti di cui andiamo a vedere le informazioni nell’apposita sezione. Dunque ogni nostro comportamento nella piattaforma viene registrato, analizzato e utilizzato.

Questa intelligenza basata sui grandi numeri, i big data, viene applicata in vari modi. Se ad esempio creo una lista di brani (playlist), Spotify è in grado di propormi ulteriori brani da aggiungere alla lista. Ogni lunedì mi propone una playlist di 30 brani elaborata in modo automatico, chiamata Discover Weekly, che contiene una selezione di brani che mi propone, per consentirmi di scoprire nuova musica sulla base dei miei gusti personali.

I piacere di sentirsi capiti

Sapendo di avere a che fare non con un qualsiasi software, ma con un’intelligenza artificiale, mi sono dato da fare sin dall’inizio per farle conoscere i miei gusti. Sono un ascoltatore piuttosto sofisticato, che non ama la musica troppo “facile” e che spazia in molti generi diversi, dal rock al jazz, dalla musica etnica a quella classica. Incasellarmi in una tipologia precisa non sarà facile, ho pensato.

La prima cosa che ho notato è stato il mio desiderio che Spotify mi conoscesse il più possibile. La stessa cosa che desideriamo dalle persone a noi più vicine. Una sera, mentre torno a casa dal lavoro, mi viene in mente: Spotify ancora non sa che da ragazzo ascoltavo i Police e i Talking Heads, devo farglielo sapere! E vorrei che non gli sfuggisse alcuno degli dei del mio Olimpo musicale, per quanto diversi tra loro: da Leonard Cohen a Fela Kuti, da Maurice Ravel a Thelonious Monk, da Astor Piazzolla a Lou Reed, e così via.

Pian piano ci riesco, perché il servizio lo uso tutti i giorni, e ogni volta che Spotify mi propone qualcosa che mi piace veramente, mi sento coccolato, in un modo che è una via di mezzo tra l’atteggiamento del bambino di cui la mamma si prende cura e quello del cliente dell’albergo di lusso, trattato con ogni riguardo. Questi software enfatizzano la componente infantile che è in ognuno di noi, ma sono delle macchine. Cosa sta succedendo?

Ogni lunedì aspetto con trepidazione di vedere il mio Discover Weekly: ad una prima occhiata scorgo in quella lista di 30 brani, in mezzo a tanti sconosciuti, alcuni nomi che mi rassicurano. È la conferma che Spotify mi conosce sempre di più e saprà soddisfare anche stavolta la mia sfrenata curiosità, per farmi conoscere nuovi artisti che mi delizieranno.

Un’intelligenza equanime e rivelatrice

Al di là di ciò che un sistema come Spotify è in grado di offrirmi come consumatore, vedo che c’è qualcosa di più. Un’intelligenza artificiale è un’entità creata da esseri umani, la quale – a differenza di un qualsiasi manufatto – vive di esistenza propria, perché è in grado di tirare fuori qualcosa di nuovo lavorando incessantemente sui comportamenti di milioni di persone diverse. È una sorta di entità esterna a noi, con la quale possiamo relazionarci come qualcuno in grado di vedere le cose più oggettivamente di noi. Come gli Dei, che osservavano tutto dal cielo.

In quanto entità in grado di svelarci delle verità che da soli non potremmo conoscere, un’intelligenza artificiale svolge dunque il ruolo storicamente delegato alle religioni. Le tecnologie digitali soddisfano in questo e in tanti altri modi la nostra inclinazione al soprannaturale.

Ogni volta che ascolto la musica con Spotify, so di essere osservato. Ogni mia azione viene registrata da questa entità, la cui unica volontà è quella di soddisfarmi il più possibile. È chiaro che ciò condiziona il mio comportamento, in qualche misura. Vorrei che Lui mi conosca bene, forse anche più di quanto io non conosca me stesso. In effetti la scorsa settimana nella mia Discover Weekly c’era una canzone di Claudio Villa. Possibile? Eppure mi è piaciuta! Evidentemente Spotify elabora informazioni a mio favore, ma senza i miei pregiudizi.

Questo modo di agire equanime è una grande lezione per me, di cui posso beneficiare ogni giorno, peraltro mentre faccio qualcosa che mi piace molto, come ascoltare la musica.

Lo sguardo rivelatore di questa entità mi svela aspetti della mia personalità che potrei cogliere da solo con maggiore difficoltà. Ascoltando la mia Discover Weekly, quelli che Spotify pensa siano i più adatti a me, noto una forte prevalenza di brani tranquilli, rilassanti, con molti richiami alle sonorità degli anni ’50 e ’60. La musica che sentirebbe un persona di una certa età, insomma. L’equivalente più o meno di quello che sentivo ascoltare a mio padre quando, da ragazzo, mi nutrivo di reggae e punk rock.

Un altro aspetto molto interessante è che questa intelligenza artificiale, come ormai un po’ tutte le intelligenze artificiali, non è una macchina che esegue calcoli per conto proprio, ma un software che si nutre dei comportamenti di milioni di persone come me. La sua “artificialità” non è la stessa di una borsa di finta pelle: è la sua capacità di mettere a sistema tante intelligenze umane. Un servizio commerciale per ascoltare la musica ci svela una verità fondamentale: che siamo tutti interconnessi.

Per approfondire:

conoscere se stessi

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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6 risposte

  1. Paola Torchiani ha detto:

    Ho letto l’articolo. . Mi ha lasciata perplessa per diverse ragioni. Questa intelligenza fino a che punto riesce ad influenzare i nostri procedimenti mentali?
    Supponendo.che si.volesse farlo, che la scelta di unpero Villa o simi!i fosse fatta per condizionare il nostro.percorso, tutto il processo acquisterebbe un aspetto persino inquietante.
    Se e vero che facebook riesce a dirigere opinioni e pensieri verso determinati obiettivi, questo può avvenire anche con questo metodi che potrebbero alla fine cambiare persino i nostri gusti, lasciandoci l’illusione della libera scelta. A che pro? A scopi commerciali, per esempio.
    Se milioni di persone si ritrovano nella lista la stessa canzone, l”artista avra ‘ un’improvvisa notorietà e pubblicità.
    Recentemente alla london school of economics si è discusso sull’uso degli algoritmi per selezionare candidati nel lavoro. È emerso che essendo spesso elaborat i da uomini, le candidate donne vengono discriminate seppure involontariamente. L’algoritmo tiene conto delle valutazioni e convinzioni di chi lo.ha prodotto, in questo caso uomini.
    Penso che lo.studio della.nostra mente è qualcosa che non può essere delegato a questo strumenti, anche se talvolta ci aiutano e semplificano la vita, e credo che attribuirgli un pensiero quasi amorevole è alquanto pericoloso
    Paola

  2. Michele ha detto:

    Ma imparare a suonare uno strumento musicale, invece di seguire costantemente i trend e le mode virtuali? Svegliare il cervello e imparare a dare valore alla nostra creatività invece di rimanere costantemente atrofizzati dal mondo virtuale? troppo difficile? sveglia

  3. giovanni ha detto:

    Affermare che con questo articolo non si intende fare pubblicità al fornitore di servizi in questione è una barzelletta. La parola Spotify compare almeno 13 volte (ma forse sono di più) e una è un link che riporta al sito per invogliare a comprare il servizio. Di conseguenza anche le ,poche, riflessioni che si possono trarre sono senza quel valore che mi aspetto di trovare in un sito di questo genere.

    • Paolo ha detto:

      Quello che dici avrebbe fondamento, Giovanni, se ci fosse un riconoscimento economico da parte di Spotify per questo articolo o – come si usa nel web – per l’acquisizione di nuovi clienti che provengano da questo articolo. Ma ti garantisco che non è così. Non c’è alcuna relazione tra Zen in the City e Spotify. Se vogliamo analizzare quello che succede nel mondo oggi – come cambia l’economia, la cultura, ecc – è difficile non nominare i protagonisti principali, come Google, Facebook, Amazon, Apple e, per l’appunto, Spotify.

  1. 5 Ottobre 2021

    […] diffusione della musica di massa e planetaria, nella seconda metà del XX secolo. Poi è arrivato l’ascolto in streaming ed è finita l’attitudine ad ascoltare la musica senza fare nient’altro. I tempi in cui […]

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