La mia maestra zen è una gatta
“Se incontri il gatto in giardino onoralo come tuo maestro“, insegnava nel XIII secolo Eihei Dōgen, fondatore della scuola Soto Zen. Non è un paradosso, né un’enigmatico koan, ma un suggerimento ancora valido a otto secoli di distanza. Me l’ha insegnato la mia maestra, Marmottina (1995-2012). Ecco dunque cosa possiamo imparare da un gatto.
Il gatto, come tutti gli animali non umani, ha la fortuna di poter vivere la propria vita e approcciare la realtà che lo circonda senza fare ricorso a idee e concetti. Non interpreta la realtà, la vive.
Dunque non si pone domande del tipo “chi sono io?”, “sono migliore o peggiore degli altri?”, “quanto a lungo potrò vivere?”, “dove andrò a finire dopo la morte?”, “perché c’è il male nel mondo?”, “esiste Dio?”, “cos’è giusto e cos’è sbagliato?”
Questo lo porta a comportarsi in modo molto “razionale”, per quanto assai diverso dal nostro. Se ha fame cerca del cibo, ma mangia solo se ha fame. E lo fa molto concentrato e consapevole, senza cercare, nel frattempo, di guardare la TV, leggere o fare conversazione. Se ha sete, beve. Quando ha sonno, dorme. Se non ha niente da fare in particolare (la maggior parte del tempo, per un gatto di casa) non fa niente, senza cercare “passatempi”.
Un gatto, in condizioni normali, è sempre molto quieto. Non avrebbe motivo di agitarsi. E del resto, è nella natura dei felini riposars ogni volta che è possibile, per essere pronti ad agire, quando è il momento.
Marmottina l’ho vista invecchiare, nei 17 anni che abbiamo vissuto insieme. Ma non si è mai lamentata del tempo che passava, né del pelo meno lucido, né dell’udito che s’indeboliva. Non mi pare che abbia mai considerato l’età un problema. Né le malattie. Quando è arrivata la fine, per lei, l’ha capito e non ha fatto nulla per opporsi.
Nella sua convivenza con noi umani, non ha mai mostrato di sentirsi inferiore, né superiore. E nemmeno uguale! Lei faceva la gatta, noi gli umani. Felicemente.
Aveva molto bisogno di coccole e non si vergognava a chiederle, così come non le sembrava disdicevole implorare avanzi di cibo ai piedi della tavola.
Se si lamentava, era sempre per un motivo serio e fondato: mancanza di acqua, di cibo, di compagnia.
Forse la sua saggezza derivava dalla costante attività di meditazione, ovvero uno stato mentale privo di pensieri, ma attento e consapevole.
Insomma, ho imparato più da Marmottina che da tanti testi o maestri spirituali. E il bello è che non ho mai voluto essere come lei. Perché era una gatta, ed io un essere umano.
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Caro Paolo, grazie quanto hai scritto. E’ vero, i gatti insegnano. Anche nel modo in cui osservano e ti osservano; o nel modo in cui semplicemente “stanno”: fermi, solidi ma mai (o quasi mai) tesi. E nel vivere (e condividere) anche io la vecchiaia della mia gatta (Mirtilla, oggi 15enne), mando un pensiero a te e un saluto da qui alla bella Marmottina. Manuela
-caro Paolo, quanto scrivi di noi gatti è commovente: Bene che non ti sei soffermato sui nostri arcinemici cani (i veri cani) che, quando ci trovano allo scoperto ci danno addosso come cani,
brutti figli di cani! Oggi colei che si ritiene la mia padrona ha
interrotto il mio non-fare meditativo con una ranocchia di pezza
legata ad un filo. Sono stato al gioco (devo pur guadagnarmi la trista scatoletta) e lei giù a ridere, che la sentiva tutto il
condominio. Quella..che poi la notte mi fa montare sul suo
letto (quand’è libero, se no mi ricaccia nella cuccia in cucina)
perchè si sente sola….
Cerco di illuminarla sul suo sè apparente e di ricercare la sua
natura ultima, ma lei fugge a fare jogging dopo una preparazione allo specchio di un’ora…Tutto a norma dunque, anche il gatto
col campanellino, ormai mi ci sono abitutato.
Mainato
Grazie del commento, Mainato. Il punto di vista di un gatto non poteva mancare!