La meditazione buddhista può essere razzista

È possibile definire “razzista” la meditazione buddhista? In teoria no, perché uno degli insegnamenti di base del buddhismo è proprio l’unità di tutti gli esseri, umani e non, e persino la loro stretta interrelazione con tutto ciò che fa parte dell’universo. Ma il Buddha stesso insegnava a non dare mai niente per scontato. Un bell’articolo di Annalucia Accardo sulla realtà dei praticanti afroamericani negli Usa, pubblicato sulla rivista “Sati”, ci aiuta a riflettere su questo tema, non privo di aspetti controversi. La scarsa presenza di afroamericani negli ambienti buddhisti americani può darci delle indicazioni utili sui sottili meccanismi del razzismo.
In “Waking up to Racism” bell hooks suggerisce che è proprio la scarsa presenza di afroamericani negli ambienti buddhisti a dover far riflettere, se si vuole studiare il razzismo a tutto campo e andare a osservare anche quello più celato: “Quando gli afroamericani sono riluttanti a inserirsi in ambienti buddhisti prevalentemente bianchi non è per paura di un’esclusione apertamente razzista, ma normalmente è una risposta a manifestazioni più sottili di supremazia bianca. […] Spesso i bianchi sono accomunati dal presupposto che il semplice fatto di seguire un cammino spirituale significhi aver lasciato andare il razzismo: venendo da movimenti i progressisti si identificano orgogliosamente con gli oppressi. Sono così attaccati alla loro immagine di sé come non razzisti che rifiutano di vedere il proprio stesso razzismo o il modo in cui anche le comunità buddhiste possano riflettere gerarchie razziali”. A partire dalla scarsa presenza di afroamericani negli ambienti buddhisti si può arrivare a capire in profondità in che modo funzioni il razzismo e quanto diffusamente “la supremazia bianca modelli le interazioni personali”.
Uno di questi meccanismi di funzionamento fa leva sulla “non consapevolezza di essere privilegiati“. Qui si fa riferimento ai “bianchi borghesi” che tipicamente frequentano le sale da meditazione negli Usa. Ma la dinamica non è molto diversa dall’esperienza che ne facciamo in Italia e in Europa., essendo la pratica buddhista maggiormente diffusa negli ambienti di più alto livello socio-culturale.
Per chiarire è anche importante introdurre una riflessione sui privilegi. Quando si è privilegiati, per esempio in quanto appartenenti alla classe dominante, spesso non se ne ha consapevolezza. Wakoh Shannon Hickey, professoressa di studi religiosi alla Alfred University di New York, afferma: “A volte confondiamo privilegio con razzismo, neghiamo il dato di fatto del privilegio e crediamo di non avere pensieri razzisti. Oppure possiamo renderci conto del privilegio e credere che già sappiamo tutto quello che c’è da sapere”. Le riflessioni di Hickey prendono spunto dalla sua esperienza personale: in quanto bianca borghese condivide i privilegi dei bianchi, per esempio quello di non essere fermata di notte dalla polizia, mentre in quanto omosessuale, come altre persone che appartengono a minoranze, e vittima di pregiudizi a causa dei quali è stata minacciata e discriminata. Hickey sottolinea dunque la necessità di distinguere tra essere privilegiati e essere razzisti: la maggioranza dei praticanti bianchi non sono razzisti, ma la non consapevolezza di essere privilegiati può condurre involontariamente a comportamenti che possono sfociare in un razzismo velato, non immediatamente evidente, ma capace comunque di provocare malessere negli afroamericani e in altre minoranze.
Analizzando il problema, Annalucia Accardo riesce a far emergere un altro aspetto: l’occultamento delle differenze, che deriva da un atteggiamento tipico nel buddhismo, quello di enfatizzare aspetti positivi – in questo caso l’unità, l’essere una cosa sola – senza affrontare i problemi, specialmente quelli sociali.
C’è chi sostiene che creando spazi separati per la meditazione si incoraggiano gli afroamericani a dipendere da un’identità. Ma gli afroamericani sono costretti a vivere ogni giorno dentro i confini di quella identità. [. . .] L’idea che siamo una cosa sola è vera in teoria, ma nella quotidianità esistono distinzioni e differenze di razza, colore, religione, nazionalità, genere e orientamento sessuale. Questa è la verità. Viviamo ogni giorno attraverso e dentro queste differenze. L’idea che si possa trascendere e vivere nella realtà della non distinzione senza capire e affrontare questi problemi della differenza significa scavalcare spiritualmente la nostra umanità.
Ma è anche interessante osservare questo fenomeno, così tipicamente americano, e il modo in cui viene affrontato dai vari gruppi buddhisti, in un Paese nel quale la presenza di un presidente “nero” tende a farci dimenticare che i problemi di razzismo non sono affatto superati.
Oggi gli afroamericani, i latini, gli asiatico-americani, attraverso insegnanti, organizzazioni e ritiri dedicati a loro, stanno cercando di trovare i loro spazi all’interno dei sangha prevalentemente formati da europeo-americani. I bianchi nei centri buddhisti stanno lavorando per capire il razzismo che è nelle loro vite e nelle loro comunità. In questo modo si sta cercando di dare una nuova forma al buddhismo americano.
La questione più interessante per noi, in ogni caso, sarebbe capire se una sorta di “razzismo sottile” sia implicitamente presente nella pratica buddhista in quanto tale Negli incontri di meditazione o nei ritiri, infatti, capita molto di rado di incontrare persone con un basso livello di istruzione, così come gente delle nazionalità tipiche dell’immigrazione. A volte capita persino che i momenti di trasmissione degli insegnamenti o di condivisione si trasformino in dotte dissertazioni sui vari autori.
Tutti possono partecipare agli incontri dei vari gruppi buddhisti, in teoria. Nella realtà, sembrerebbero riservati a un certo tipo di pubblico.
[Ringraziamenti: ad Annalucia Accardo, per aver scritto l’articolo “Il Dharma invisibile. Una riflessione su buddhismo e cultura afroamericana”; all’A.me.co., per averlo pubblicato sulla rivista “Sati”]
Vuoi ricevere gli aggiornamenti da Zen in the City?
Inserisci il tuo indirizzo per ricevere aggiornamenti (non più di 1 a settimana):
You need to login or register to bookmark/favorite this content.
tipico degli intellettuali di psicanalizzarsi per darsi colpe su tutto. Un amico africano mi disse un giorno che se l’Africa avesse potuto fare dell’Europa una colonia lui si sarebbe comportato da colonialista. La grandezza del buddismo è che sà aspettare. anche interi
kalpa. Dietro le armi e le banche la croce e la mezzaluna avanzano,
catechizzando in fretta perchè sanno di vendere sogni .
Grazie,
Mainato
l’argomento mi affascina perché a volte l’ho affrontato con amicizie cattoliche, sentendomi evidenziare la “semplicità” della religione cristiana rispetto alla buddhista. La qual cosa non è vera per niente perché ancora oggi c’è difficoltà a comprendere il mistero trinitario cristiano tanto per fare un esempio. Comunque che il buddhismo non possa essere popolare è una distorsione della realtà, perché viaggiando in aree orientali buddhiste si incontrano popolazioni intere che praticano il buddhismo senza aver sostegni culturali universitari. Inoltre il buddhismo presenta differenti livelli, dall’altamente filosofico ( Nagarjuna per esempio ) a quello semplice basato sull’uso sottolineato dal Maestro dei “mezzi abili ” , quindi adattabili a ogni livello culturale, per il raggiungimento dell’illuminazione. Però, se solo forzatamente, provassimo a ragionare in termini di classi, ci accorgeremmo che il razzismo è sempre strisciante in ogni area, quindi anche tra bianchi e bianchi, ma a fare la netta differenza è tra chi possiede le risorse, escludendo gli altri, e chi non le possiede. Cosi in America ricche fasce di neri ricchi fanno più o meno quello che fanno i bianchi nei confronti dei non possidenti di ricchezza : escludono gli altri al beneficio e all’utilizzo dei benefici. Che poi si circondino esclusivamente di personale nero cambia poco perché alla fine il problema e di partecipazione alla ricchezza. Il problema razzista pertanto secondo me non legato al denaro esiste come archetipo, certamente, ma a manifestarsi ormai è sul terreno della spartizione delle risorse. Resterebbe da chiedersi come mai in occidente assuma i connotati di un’attività spirituale elitaria, perché di fatto è così, ma va tenuto conto che non essendoci un campo educativo scolastico atto a renderlo familiare negli anni formativi e non essendo una religione a carattere nazionale in nessun paese europeo, la scelta di aderirvi non può che maturare attraverso letture e studi per lo più personali. In quel caso sarà chiaro il necessario sostegno di una base minima culturale, ma va detto che basterà un minimo livello perché la pratica dei Sangha, se svolta bene, evita la disquisizione teorica e si attiene al Dharma dove di fatto non è richiesta. Questo il mio contributo.
Questo articolo mi fa riflettere e mi sembra abbastanza centrato sul carattere ” elitario” che in occidente caratterizza la pratica buddista. Vivo in una città con una alta percentuale di immigrati di etnia Tamil, che hanno un loro sangha e mantengono viva la pratica. Ma noi “occidentali” non abbiamo nessun contatto con loro e ci riuniamo solo tra di noi. Inoltre, escluso il sangha che ora frequento, in passato ho frequentato altre comunità, molto compatte come estrazione sociale, ( alta-media borghesia) che mostravano spesso sottili aspetti di rifiuto nei confronti dei nuovi arrivati o di quelli che esprimevano una differente opinione. Si potrebbe dire che erano snob ma la distanza dal razzismo era minima …insomma forse la mala bestia ha molte facce
Molti confondono il buddhismo con cose hippy e simili, ma la realtà è molto diversa.
Il buddhismo non si esprime moralisticamente su certe questioni, quello è tipico del cristianesimo, e inoltre il buddhismo non è universalista, quello è il cristianesimo o al massimo un’interpretazione commerciale e new age del buddhismo, che però ha ben poco a che vedere con il buddhismo originale.
L’unità buddhista non significa che il mondo si deve unire politicamente, e che ogni differenza ( compresa quella etnica o razziale ) deve essere abolita, ma semmai si basa sulla valorizzazione e difesa delle differenze, comprese quelle etniche o razziali, che esistono naturalmente.
Sul fatto che gli afroamericani siano pochi nel buddhismo, credo che c’entri poco con il razzismo, ma più semplicemente si vede che non gli interessa, contando il fatto anche che solitamente gli afroamericani e gli africani in generale si rifanno a una tradizione spirituale difficilmente compatibile con quella orientale, ed è naturale quindi che non ne siano attratti, se poi vogliono essere ben venga, ma se no non costruiamo castelli d’aria.
Con tutto il rispetto, sinceramente bisognerebbe smettere di vedere il buddhismo come una specie di cristianesimo o di comunismo “spirituale” o peggio ancora una specie di religione hippy basata sulla recitazione di qualche mantra e poi peace and love…
Il buddhismo, a parte ovviamente l’essere incompatibile con il comunismo, Tibet insegna, in quanto ideologia occidentale basata sul dualismo, non è né pacifista, né schierato politicamente e né propone un mondo peace and love, per quello ci sono tante organizzazioni, c’è la new age, c’è Scientology e le sette neohippy o qualche partito politico.
Sopratutto il buddhismo non promuove il politicamente coretto o scoretto, e a proposito il Dalai Lama si è detto contrario all’immigrazione clandestina come buon senso suggerisce, ma ovviamente per gli occidentali che sono contaminati da tutte queste ideologie che non fanno altro che rafforzare l’Ego di chi le promuove, ciò sarebbe un peccato estremo http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/salvini-far-guerra-all-euro-fare-po-leghismo-ci-pensa-78978.htm… Devo dire che inoltre il razzismo spesso esiste nella mente di chi ne parla, e parlare sempre non fa altro che alimentarlo, oltre che far perdere tempo per le cose veramente importanti .
Poi, sul fatto che venga praticato da borghesi, razzisti, nazisti, streghe, pagani o operai poco importa, e chi siamo noi per giudicare visto che ognuno ha le proprie idee e deve essere rispettato per quello che è , e ripeto buddhismo è un conto, Chiesa Cattolica e partito comunista un’altro.
Non facciamo confusione.
Leggendo questo articolo ho potuto considerare che non ne avevo mai fatto esperienza. Se provassimo a sostituire i termini identificativi su cui si basano le considerazioni esposte in questi scritti, ci troveremo di fronte alla semplice e banale ragion d’essere di ogni persona: non credo si parli di “Buddhismo”, “Comunismo” e tanti altri “ismi”, ma della comunità umana. Il mondo nella sua totalità si comporta in questo ed in altri modi.
Fin tanto che aderiamo con il mastice della solitudine alle identità, senza osservarle e diluirle nella consapevolezza di chi si è saremo ciechi e sordi, perdendo così la capacità di discernimento.