Il web che uccide va lasciato fare

 

powtac, Hacker in the darknessSi è parlato molto negli ultimi tempi di “web che uccide” e di cyberbullismo, partendo dal caso della povera ragazza che ha preferito togliersi la vita, piuttosto che affrontare la gogna pubblica, dopo essere diventata una porno star suo malgrado. Aveva ingenuamente inviato a dei conoscenti filmati che la riprendevano nel corso di relazioni intime, e presto quei video hard si sono diffusi come contenuti “virali” nei social network e nei siti porno.

Pericoli inediti sembrano affacciarsi nelle vite delle persone più fragili, veicolati dalle tecnologie digitali. Ma è proprio così? Una nuova paura si aggiunge alle tante paure già così soverchianti nel mondo contemporaneo ed emerge una domanda di maggior sicurezza, che si traduce per lo più in nuove forme di chiusura e di isolamento.

Una comprensione profonda dei problemi è invece l’unica strada percorribile, di fronte alle ricadute tragiche di attività svolte online.

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Schemi radicati nel passato

Pur vivendo in un contesto tecnologicamente molto avanzato, la nostra società è dominata da schemi di comportamento profondamente radicati nel passato, che se si manifestano in forme in apparenza nuove. La donna sottoposta al ludibrio pubblico perché colpevole di oscenità è un modello presente sin dall’antichità, nelle società dominate dai maschi. Così come i ragazzi presi in giro perché omosessuali, o i disabili vittime di prepotenze, per considerare le tipiche vittime del cyberbullismo. La colpa storica degli omosessuali è sempre stata quella di interrompere la linea di trasmissione ereditaria delle proprietà, mentre i disabili nelle società antiche (comprese quelle greca e romana) venivano considerati punizioni degli dei e conseguentemente trattati.

Oggi senza rendercene conto ereditiamo quelle concezioni, che ci spingono all’intolleranza verso qualsiasi atteggiamento che mette in discussione un’organizzazione rigidamente patriarcale della società.

Dunque non è tanto il web che uccide, quanto il maschilismo disumano che cova sotto le apparenze di modernità, mescolato a un uso improprio dei media digitali. E il punto è proprio questo: imparare a usare consapevolmente i media digitali – cioè i dispositivi come i computer e gli smartphone, le applicazioni, i servizi online – per non farne il volano degli istinti più distruttivi.

Per un uso consapevole della condivisione

Può anche succedere che persone poco equilibrate pubblichino online materiali inappropriati, ma verrebbero ignorati se dopo la loro pubblicazioni non si innescasse una catena senza fine di condivisioni, spinte in parte dalla morbosità, ma soprattutto dalla superficialità.

Dobbiamo imparare a usare consapevolmente lo strumento della condivisione. La possibilità di condividere contenuti tramite i social network ci dà un potere enorme. È l’equivalente moderno del pettegolezzo, di molto potenziato.

Storicamente il pettegolezzo è stata una forma di comunicazione dal basso che ha svolto un importante ruolo sociale. Lo scambio di informazioni tra persone comuni ha sempre avuto funzioni insostituibili, come ad esempio:

  • mantenere legami all’interno di gruppi umani che si espandevano;
  • esercitare un controllo su comportamenti considerati dannosi;
  • dare alle donne la possibilità di esercitare un potere dal quale venivano di norma escluse.

Il pettegolezzo ha sempre avuto anche molti risvolti negativi. Molte reputazioni sono state distrutte da voci non veritiere passate di bocca in bocca, ovunque e in qualsiasi momento della storia.

Oggi con la condivisione abbiamo la possibilità di rendere più proficuo il passaggio di informazioni da persona a persona. I dispositivi digitali ci consentono infatti di riflettere, prima di effettuare il passaggio, filtrando così in base a ciò che riteniamo più opportuno. Il nostro click può essere parte di una catena che porta al suicidio di una ragazza oppure veicolo di informazioni utili a beneficio degli altri. La scelta è nostra e va ponderata bene.

5 consigli per una condivisione consapevole

Quando ti trovi di fronte un contenuto che reputi interessante, prima di condividerlo, contribuendo a rafforzarne la visibilità (i contenuti più condivisi sono “premiati” dai social network), considera i seguenti aspetti:

  1. il contenuto è attendibile? A volte si trovano persino citazioni attribuite a personaggi che non hanno mai pronunciato quelle frasi, ma siccome piacciono, tutti le condividono volentieri. Fai invece una piccola ricerca, usando Google e Wikipedia, per capire se quello che hai di fronte è un “fake” (falso) o è autentico.
  2. La fonte è attendibile? Prova a risalire al sito o alla persona da cui scaturisce il contenuto. Ti sembra attendibile? In genere lo sono la università, gli enti pubblici e le grandi testate giornalistiche. Per gli altri va valutato caso per caso.
  3. La condivisione di questo materiale può danneggiare qualcuno? Nel caso dei video hard della ragazza non dovrebbero esserci dubbi, ma quasi sempre è facile rispondere a questa domanda.
  4. La condivisione di questo materiale che tipo di clima contribuisce a creare? Di odio e rivalsa? Si vuole mettere qualcuno alla gogna? Alimenta la sfiducia e la disillusione? Se la risposta a queste domande è sì, è meglio rimandare, quanto meno.
  5. Condividere questo materiale può al contrario essere utile, perché contribuisce a diffondere e far conoscere qualcosa di bello, oppure a valorizzare azioni positive, o semplicemente diffonde informazioni utili? Anche in questo caso la risposta è facile.

Il potere che ci dà il web è grande. Siamo noi le sue braccia operative. Il web da solo non può uccidere nessuno. Lasciamolo così com’è, consentiamo che segua le sue regole di funzionamento, perché le cose belle e utili che ci consente di fare sono la sua vera natura.

[La foto è di powtac]

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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2 risposte

  1. Betulla7 ha detto:

    Un guru del web “buddhista” (mah!) dà per scontato che internet sia luogo neutro, ove
    pascolano pecorelle o anche qualche lupo mannaro travestito da pecorella, basta munirsi
    dei suoi “5 avvertimenti” per evitare tranelli.
    Nella vita la forma non è separata dal contenuto,anzi contenuto è forma e forma è contenuto. Andando ad indagare la forma del web e la sua energia intrinseca (“energia di forma”), ci si può rendere conto di quanto ad ogni pressione di tasto scaturiscano
    i demoni dei razzi vettori dei satelliti, delle operaie schiavizzate a produrre schede
    elettroniche, delle enormi discariche di materiale elettronico che assediano le periferie,
    del carburante necessario perchè tutto ciò venga prodotto e poi “smaltito” , ed ancora
    i demoni delle facoltà e della ricerca piegate a sempre più indagare e progettare per assecondare il mito della velocità. La natura dell’ energia di forma della cibernetica
    è tale che anche le figure del Buddha o di Thai ne vengono banalizzate nel loro apparirci come per magia e senza fatica sullo stesso schermo ove prima era
    apparso un film horror che ha scosso dei bimbi ignari..
    Essere apparentemente fuori tempo, lottare contro mulini a vento, apparire maniaci
    scaduti, ebbene restare nel solco di Thai prima che malattia e
    farmaci lo ghermissero, affermare che il “re è nudo!” non è mai troppo tardi.
    Grazie e saluti cari da
    Mainato

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