Il sangha liquido: così Internet sta cambiando la meditazione

Big Mind Zen Center, Sunday Morning Zazen Sept 2 2007

Internet sta cambiando tutto, anche l’organizzazione dei “sangha“, le comunità di pratica d’ispirazione buddhista, sempre più diffuse in tutti i Paesi dell’Occidente, dando forma a nuovi modi i praticare lo yoga, la meditazione e la mindfulness tra gli occidentali.

Negli antichi testi buddhisti si fa riferimento ai sangha quali comunità dei monaci, che praticavano la meditazione, non possedevano altro che una abito e una ciotola e si mantenevano facendo la questa presso i villaggi vicini. Ancora oggi, in Oriente, la dimensione del sangha – così come la stessa pratica di meditazione – tende a rimanere una peculiarità dei monaci, più che dei laici.

Se facciamo invece riferimento alle comunità di pratica attive in Occidente – diffusesi a partire dai primi anni ’60 negli Stati Uniti – possiamo osservare un fenomeno in continua evoluzione.

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Assetto variabile

Un primo aspetto distintivo è la dinamicità nella composizione dei gruppi. I membri di una certa comunità di pratica variano di continuo e rapidamente nel corso del tempo. Le persone si affacciano in un gruppo per provare cos’è la meditazione, stanno per un certo periodo e poi spariscono. Altre si fanno vedere ogni tanto. Se tornate in uno stesso gruppo dopo 2 o 3 anni, molto facilmente noterete che la maggior parte dei membri sono cambiati. Tale fenomeno non si manifesta in eguale misura per tutti i gruppi, perché dipende dal tipo di appartenenza richiesta: più si pretende dai membri fedeltà alle regole del gruppo e/o adesione ai principi ai quali si ispira, più è difficile per i membri stessi assentarsi, frequentare saltuariamente, sfilarsi in un modo o nell’altro. Al contrario, più si lasciano le persone libere di aderire o meno nei tempi e nelle modalità che preferiscono, meno fedeltà ci si potrà aspettare da queste ultime.

Tra i due opposti, mi sembra che oggi la tendenza prevalente sia proprio la seconda (non considerando affiliazioni molto strette come la Soka Gakkai). I vari insegnanti e movimenti tendono facilmente ad adottare un approccio laico, aperto, non esclusivo, che lascia le persone libere di aderire come e quando vogliono. C’è ad esempio un gruppo di Milano che invita le persone nuove a comportarsi come se dovessero prendere un tram di quelli che seguono un percorso circolare, salendo a bordo e scendendo in qualsiasi momento. Specie nell’ambito della meditazione Vipassana, si ritiene sempre di più che la scelta di intraprendere un percorso di pratica debba necessariamente scaturire quale desiderio spontaneo di cambiamento da parte della persona. Nel mondo Zen la situazione è più varia, ma se si considera il movimento che fa capo al maestro vietnamita Thich Nhat Hanh, si può constatare come il non fare proselitismo sia una delle regole più rigorosamente seguite.

Tali approcci portano i gruppi di pratica (sangha) ad assumere una composizione “liquida”, ovvero duttile, variabile nel tempo, sia come numerosità dei membri che come composizione. Ciò non sorprende, perché tali gruppi operano pienamente inseriti nella società contemporanea, per sua natura più che mai liquida, come ha teorizzato Zygmunt Baumann, uno dei più grandi sociologi viventi.

Interscambiabilità

Un’altra caratteristica che rende i sangha liquidi è la loro interscambiabilità. Proprio perché il Buddhismo in Occidente viene praticato prevalentemente al di fuori dei monasteri, i confini che separano tra loro le varie scuole sono sempre più labili. Così le persone si sentono libere di vagare da un maestro all’altro e da un centro di pratica all’altro, leggere prima il libro di un guru, poi di uno diverso, vedere un discorso su YouTube e poi farsi guidare dai video “consigliati”. Come farfalle che svolazzano sulla vegetazione alla ricerca del fiore di volta in volta più attraente.

Il massimo della “liquidità” viene raggiunto all’interno di Facebook, dove i nomi dei vari maestri si affacciano del flusso dei continui aggiornamenti in forme sempre più ridotte, quasi evanescenti: tipicamente una breve citazione, una frase, possibilmente accompagnata da un’immagine, da consumare nell’arco di pochi secondi, per poi passare allo stimolo successivo.

Gli stessi maestri non ostacolano il fenomeno dell’interscambiabilità. Tutti raccomandano di seguire con continuità un percorso coerente, ma non mancano di citarsi a vicenda. Nell’Olimpo degli insegnanti più apprezzati si possono osservare nel tempo sempre più convergenze e sempre meno accentuazioni degli elementi differenzianti. Il Dalai Lama, Thich Nhat Hanh, Pema Chodron, Jack Kornfield: i più seguiti insegnanti di pratiche buddhiste mantengono ciascuno le proprie peculiarità, ma ci tengono molto a non presentarsi quali detentori esclusivi di qualche verità. Questo incoraggia i loro seguaci a sentirsi più liberi di scegliere.

Alla base di questo atteggiamento c’è in realtà il desiderio di mantenersi fedeli allo spirito originario del Buddhismo. Il Buddha stesso infatti incitava i propri seguaci a non prendere per oro colato quello che diceva e anzi di seguire i propri insegnamenti solo dopo averne verificato di persona la validità. La lezione del Buddha era rivoluzionaria al suo tempo, caratterizzato da dottrine religiose ben definite. Oggi è destrutturante. In una società dove non si crede più a niente, dove tutto è sempre più difficile da capire, dove mantenere a lungo l’attenzione è una sfida quasi impossibile, dove la precarietà è la regola, chi vuole aggrapparsi a qualcosa di sicuro sceglie la strada della semplificazione. È il caso dei vari fondamentalismi, oggi molto seguiti in tutte le religioni. Se si incoraggia invece l’autonomia delle scelte diventa sempre più difficile tenere le persone in gruppi ben separati tra loro.

La modernità è liquida. Chi non ha alcuna intenzione di combattere battaglie di resistenza deve pagare il prezzo dell’incertezza, della provvisorietà, della vaghezza dei confini. Qui il Buddhismo – nel quale l’accettazione dell’impermanenza è proprio uno dei cardini – trova un terreno fertile, ma non può che assumere una forma frammentata.

Insegnamenti centrati sull’utente

I cambiamenti subiti dal Buddhismo nel corso della sua propagazione in Occidente sono stati guidati da un ribaltamento di prospettiva nell’approccio agli insegnamenti. Nel corso della sua evoluzione storica nei vari Paesi asiatici sono stati i vari maestri – con le relative scuole, insediamenti monastici e lignaggi – a guidare la diffusione del Dharma (l’insieme degli insegnamenti del Buddha). In America e in Europa, al contrario, il Buddhismo si è finora diffuso più a partire dalle esigenze dei praticanti stessi. Non a caso è maggiormente presente nelle realtà urbane, più bisognose di rispondere alle sfide dello stress.

La figura umana seduta in meditazione è ormai uno dei pittogrammi utilizzati dalle palestre di tutte le grandi città occidentali per pubblicizzare i propri servizi, quale pratica finalizzata a un maggiore benessere. Nell’inevitabile semplificazione di tale comunicazione, yoga e meditazione si sovrappongono, ma è anche vero che la meditazione è una pratica che rientra nell’ambito dello yoga stesso. Molti praticanti delle numerose scuole che fanno riferimento al Buddhismo arrivano alla pratica proprio dopo aver frequentato un corso di yoga.

Il ribaltamento di prospettiva a favore si una “offerta” spirituale basata sulle esigenze dei potenziali “utenti”, anziché sulle scuole e i lignaggi, riflette una tendenza oggi predominante sul mercato: quella di progettare i prodotti e i servizi proprio a partire dalle esigenze degli utenti, dai loro bisogni più profondi. Il successo di Apple, l’azienda che oggi vale di più al mondo, deriva proprio dalla sua capacità di fare leva sulla user experience – l’esperienza d’uso del prodotto da parte dell’utente – anziché concentrarsi a priori sulle caratteristiche del prodotto stesso.

In tale contesto, il singolo praticante tende a mettersi facilmente al centro di questo mercato della domanda e dell’offerta di benessere spirituale, scegliendo ciò che ritiene più adatto a soddisfare i propri bisogni. Nella valutazione delle diverse pratiche domina il criterio dell’efficacia: la meditazione fa bene? Quanto e come ci si sente diversi? È chiaro che quanto più le antiche pratiche orientali vengono apprezzate per le loro proprietà terapeutiche, tano più esse tendono a diventare oggetto di commercio.

Il successo mondiale di un movimento come la Mindfulness va visto anche sotto questa luce. Spogliare le pratiche buddhiste da ogni riferimento al buddhismo ne ha aiutato notevolmente la diffusione, ma anche le possibilità di commercializzazione.

Virtualizzazione

Infine internet stessa costituisce l’elemento di maggiore destabilizzazione. Si vanno oggi affermando comportamenti e stili di vita sempre più dipendenti dalle tecnologie digitali. Nello spazio digitale si consuma non solo la grande maggioranza del tempo a disposizione, ma anche l’investimento personale in relazioni sociali e affettive, l’acquisizione di conoscenza, il soddisfacimento dei propri bisogni e desideri in molti ambiti diversi.

Una delle caratteristiche che sembrano costanti in internet – nonostante la sfuggente mutevolezza che la contraddistingue – è la sua capacità di incoraggiare forme inedite di aggregazione sociale, slegate dall’appartenenza territoriale. Col tempo si è passati dai newsgroup ai forum, dalle mailing list alle comunità virtuali, dagli ambienti di gioco online ai gruppi Facebook e Whatsapp, ai quali seguiranno probabilmente ulteriori e innumerevoli forme. La caratteristica comune a tutte queste applicazioni tecnologiche è quella di consentire agli individui di aggregarsi sulla base di fattori puramente mentali, come gli interessi comuni, le passioni, le idee politiche, le inclinazioni, i gusti, gli stati d’animo. Ciascuno può trovare, sulla base di tali criteri, una o più forme di socialità di proprio gradimento, da consumare unicamente per tramite di un dispositivo digitale.

La pratica della meditazione non fa eccezione, rispetto a questa tendenza alla virtualizzazione. Le persone trovano online altri individui con cui aggregarsi, sulla base di interessi che già di per sé sono continuamente soggetti al cambiamento. Inoltre ciò avviene pur sempre nel frenetico contesto dell’interazione non-stop che caratterizza lo spazio digitale: in mezzo a innumerevoli altri stimoli e richiami visivi e sonori, con una richiesta continua di feedback, con un via vai continuo di soggetti diversi e dall’identità ignota, in una costante e spesso irrisolta dialettica con le condizioni al contorno della vita reale.

Questo oggi appare si fatto inevitabile. Ed è quanto di più lontano si possa immaginare dalla severa disciplina della consapevolezza, immersa nel silenzio, di un monastero, non solo buddhista, ma di qualsiasi altra corrente spirituale.

Una sana via di mezzo

Com’è possibile ricondurre alla coerenza una divaricazione così ampia? Io credo che la risposta possa essere trovata negli stessi insegnamenti del Buddha. Al suo corrispondente personaggio storico, Siddharta, viene attribuita la deliberata volontà di sperimentare entrambi i due estremi di una vita agiata nel protetto contesto familiare e di un’ascesi spinta al limite delle possibilità di resistenza fisica. La sua intuizione fu di individuare una pragmatica “via di mezzo“, intesa non tanto come rifiuto degli opposti, quanto come costante capacità di discernere nelle situazioni reali, per compiere di volta in volta le scelta più salutari. Una capacità di discernimento che può scaturire solo dalla pratica, quale incessante esercizio di osservazione della realtà così com’è, senza filtri interpretativi, senza preferenze o giudizi o tanto meno preconcetti.

Zen in the city. L’arte di fermarsi in un mondo che corre

Zen in the city. L'arte di fermarsi in un mondo che corre
"Questo libro è stato il mio primo contatto con lo zen. Per me che sono appena approdata in questo mondo è stato una rivelazione, perché parla di pratiche quotidiane che non necessitano di particolari conoscenze, ma che aiutano a vivere la vita in modo più sereno. è un libro alla portata di tutti, esordienti e esperti. è bello potercisi affidare in davvero molti momenti della giornata, perché nel libro si riesce a trovare la giusta…
Paolo Subioli

Ho scritto questo libro per condividere ciò che ho imparato nell’ambito della mia pratica quotidiana, grazie agli insegnamenti dei maestri, ma anche e soprattutto dell’esperienza diretta.

[L’immagine è un fotomontaggio da una foto del Big Mind Zen Center, Stati Uniti, e da una di -Reji, India]

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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3 risposte

  1. sil ha detto:

    Analisi acuta e puntuale.
    Un modo sempre pro-positivo e costruttivo di ponderare gli aspetti delle situazioni 🙂

  2. Irene Miano ha detto:

    come faccio a iscrivermi al gruppo di meditazione su web? Come faccio a creare gruppi di meditazione su web?
    Grazie Paolo

    • paolosub ha detto:

      Per iscriverti agli incontri segui la pagina Zen in the City su Facebook. Quando c’è un incontro lì viene notificato. Per organizzare incontri è in corso di preparazione una guida prarica

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