Guida completa alla sonnolenza durante la meditazione

A chi non è mai capitato di dover lottare contro la sonnolenza, nel corso della meditazione? Quella del torpore e della sonnolenza è una questione che potremmo veramente definire storica, specialmente nell’ambito dello zen. La cerimonia del tè, una delle più note arti tradizionali zen, deriva proprio dall’usanza di bere il tè nei monasteri, per rimanere svegli nel corso della meditazione. Quello utilizzato nelle cerimonia del tè è il matcha, tè verde polverizzato, che viene mescolato all’acqua calda con l’apposito frullino di bambù, col fine di ottenere una bevanda notevolmente eccitante.
La tradizione ha tramandato che lo stesso Bodhidharma (483-540), considerato il fondatore del buddhismo chan cinese, poi diventato lo zen, tendeva ad appisolarsi durante la meditazione. Essendo molto intransigente, un giorno si tagliò le palpebre. Quando le gettò per terra, queste si trasformarono in una pianta del tè. Così Bodhidharma scoprì che, per stare sveglio, bastava semplicemente bere tè! Da lì scaturì, sempre secondo la tradizione, l’usanza della cerimonia del tè.
I 5 impedimenti
Nel Satipatthana Sutta, uno dei testi più importanti del Buddhismo, si parla di 5 impedimenti, cioè dei 5 principali fattori che ostacolano la concentrazione, impedendo alla mente di sviluppare la saggezza. I 5 impedimenti sono:
- il desiderio;
- la malevolenza o avversione;
- la pigrizia e il torpore;
- l’irrequietezza e preoccupazione;
- il dubbio.
Dunque la sonnolenza o torpore è un vero e proprio ostacolo che ci si para di fronte quando vogliamo osservare i fenomeni con una mente contemplativa. Ma c’è una buona notizia, perché il Buddha stesso ci suggerisce di usare la sonnolenza come oggetto di meditazione:
Quando in lui sono presenti la sonnolenza e il torpore, è consapevole: “In me sono presenti la sonnolenza e il torpore”. Quando la sonnolenza e il torpore non sono presenti, è consapevole: “In me non sono presenti la sonnolenza e il torpore”. Quando la sonnolenza e il torpore incominciano a sorgere, egli ne è consapevole. Quando la sonnolenza e il torpore già sorti vengono abbandonati, egli ne è consapevole. Quando la sonnolenza e il torpore già abbandonati non sorgeranno nuovamente in futuro, egli ne è consapevole.
Il Buddha, che di meditazione era molto esperto, ci ha lasciato istruzioni piuttosto chiare. Dobbiamo prima capire come sorge la sonnolenza, e se ci riusciamo anche quali sono le condizioni che la favoriscono. Poi dobbiamo comprendere come sviluppare quell’energia e quell’interesse che ci possono consentire di “abbandonare” la sonnolenza e il torpore, una volta che sono sorti.
Io credo che un punto molto importante sia quello di capire che ci sono condizioni che realmente favoriscono la concentrazione, così come condizioni che la ostacolano. Poniamo che, dopo una lunga giornata lavorativa e dopo aver cenato, intorno alle 22, desideri meditare per un’ora. Io sono di quelli che in quelle condizioni cadono facilmente in preda alla sonnolenza. Ma se alla stessa ora guardassi un bel film thriller, probabilmente rimarrei concentrato per la maggior parte del tempo. Un giorno forse, quando la mia mente sarà più allenata e più saggia, riuscirò a mantenere lo stesso livello d’interesse rivolgendomi alla mia stessa mente o alle vicende mozzafiato narrate da un bravo regista. Per ora mi basta capire che la sonnolenza non nasce da nulla, ma sorge quando ci sono determinate condizioni.
Affrontare la sonnolenza secondo Joseph Goldstein
Joseph Goldstein, uno dei più noti maestri contemporanei di meditazione vipassana, e anche uno di quelli che entra più nel merito della pratica, propone otto strategie diverse per affrontare la sonnolenza.
- Esercitare la presenza mentale. Il primo suggerimento è quello di osservare cosa succede, quando sorge la sonnolenza, racimolando quel poco di presenza mentale che in quel momento riusciamo a esercitare. L’importante è non preoccuparsi, non cercare di opporsi. Lasciandosi andare all’esperienza in corso, con un atteggiamento di fiducia, possiamo sperimentare come la sonnolenza può non costituire un problema. In tal modo non c’è il desiderio – questo è il punto – che le cose vadano diversamente e la presenza mentale è libera di vedere quello che c’è veramente. Devo dire che ho provato a seguire questo consiglio e funziona.
- Sviluppare la chiarezza mentale. A volte la presenza mentale non ce la fa, a contrastare la sonnolenza. Allora il Buddha stesso suggerisce di sviluppare la chiarezza della cognizione. Si tratta, in pratica, di dare alla mente qualche stimolo in più. Ad esempio, concentrarsi su più oggetti mentali, magari la posizione del corpo oltre al respiro. Un altro metodo può essere quello di concentrarsi su due momenti diversi dell’attenzione: l’applicazione iniziale (vicara) verso l’oggetto e poi l’applicazione sostenuta (vitakka). Vicara e vitakka sono due concetti che avevamo già visto. Oppure ci si può concentrare sulla mente radiosa, cioè la mente che è in grado di conoscere. Se si presenta la sonnolenza, anziché rivolgere l’attenzione alla sonnolenza stessa, la rivolgiamo alla nostra capacità di vederla, come guardare uno specchio che sta riflettendo la nebbia, anziché guardare la nebbia.
- Aprire gli occhi. Se stiamo meditando a occhi chiusi, una cosa molto facile da fare è aprirli. Può non bastare neanche quello, allora Goldstein propone di spalancarli, di sgranarli come farebbe il personaggio di un cartone animato, a ripetizione (Goldstein è pur sempre americano!). Dopo un po’ la sonnolenza potrebbe stufarsi di continuare a importunarci.
- Cambiare posizione. Questa è una soluzione che potrebbe sembrare estrema, ma funziona sempre. Se presi dal torpore, ci alziamo in piedi o cominciamo addirittura a camminare, possiamo riprendere la consapevolezza, senza inutile attaccamento all’idea che dovevamo per forza meditare nel modo “classico”.
- Importunarsi. Goldstein propone anche trucchetti tipo tirarsi i lobi delle orecchie o spruzzarsi acqua sul viso. Io a volte mi mordicchio il labbro. Tutto fa brodo.
- Esercitare la saggia riflessione. Un’alternativa è quella di approfittare per riflettere saggiamente su un tema in grado di alimentare il nostro ardore. Ad esempio sulla preziosità della nascita umana e la precarietà della vita, cioè fare una specie di training in preparazione alla morte.
- Buone amicizie e conversazioni costruttive. Questo consiglio è specifico per il contesto di un ritiro. Si tratta di ispirarsi ad altri praticanti che si sembra possano costituire buoni esempi. Oppure intrattenere brevi conversazioni fruttuose su temi inerenti il Dharma o anche fare una breve lettura ispirante.
- Riposare. La soluzione “finale” potrebbe essere quella di farcelo, questo benedetto pisolino. Magari sdraiarsi e poi alzarsi appena si sta entrando nel sonno vero e proprio. Oppure mettersi in condizione di assopirsi solo brevemente. Per approfondire questi temi dal punto di vista di Goldstein, consiglio caldamente la lettura del suo libro “Mindfulness”, che con la Mindfulness come la si intende oggi non c’entra nulla..
Il Dalai Lama, nel suo “I sei stadi della meditazione”, dice che c’è una stretta relazione di causa-effetto tra apatia e torpore. La confusione fa appesantire la mente e il cuore. L’apatia è una forma di depressione, pertanto per affrontarla serve qualcosa in grado di alleggerire la mente. Il maestro tibetano suggerisce di suscitare pensieri gioiosi, come pensare alle meravigliose qualità di un Buddha, o alla rarità della preziosa vita umana e le opportunità che offre.
La cura del bastone
Un modo di sicura efficacia per affrontare la sonnolenza, di cui spesso erano preda i monaci zen, era quello di assestare loro una bastonata d’ammonimento. Ecco come descrive questa pratica Alan Watts, in “La via dello zen”:
Mentre i monaci stanno così seduti, due assistenti camminano lentamente avanti e indietro fra le panche, ciascuno recando un keisaku o bastone di “ammonimento”, rotondo a un capo e appiattito dall’altro (simbolo della spada di prajna del Bodhisattva Manjusri). Non appena essi vedono un monaco appisolato o seduto in posizione scorretta, si fermano davanti a lui, si inchinano cerimoniosamente, e lo percuotono sulle spalle. Si afferma che questa non è una “punizione” ma un “massaggio rinvigorente” per eliminare la rigidezza dei muscoli delle spalle e richiamare la mente a uno stato di vigilanza. Tuttavia, i monaci con i quali ho discusso questa pratica pare abbiano verso di essa lo stesso forzato umorismo che in genere si associa con la disciplina corporale dei convitti per ragazzi. Inoltre, la regola sodo afferma: “Al tempo del servizio mattutino, chi sonnecchia dev’essere trattato severamente con il keisaku“.
Bankei, uno dei più importanti maestri zen, vissuto nel XVII secolo, abolì questa regola nella sua comunità, sulla base del principio che un uomo non è meno Buddha quando dorme di quando sta sveglio. Ecco, da Bankei possiamo quanto meno imparare a non sentirci in colpa se cadiamo in preda alla sonnolenza e al torpore durante la meditazione.
Il bastone elettronico
Un metodo efficace, ma alla portata di tutti, che ho sperimentato è quello di surrogare il monaco dotato di bastone con un semplice congegno elettronico. L’app “Insight Timer”, molto diffusa tra i meditanti di tutto il mondo, include un timer programmabile in modo molto versatile. Ad esempio, si può impostare una certa durata totale della meditazione, con suono della campana iniziale e finale, inserendo anche suoni intermedi a intervalli predefiniti.
Il mio consiglio è di salvare dei preset predefiniti con intervalli, da usare in quei casi in cui ci aspettiamo una sonnolenza particolarmente aggressiva. Un preset di 30 minuti, per esempio, può essere intervallato da suoni di campana ogni 10 minuti o addirittura 5, facendo le veci del monaco solerte pronto a “massaggiarci” col suo keisaku.
Vedere la coscienza che svanisce e poi risorge
Un esperimento molto interessante che si può fare quando la sonnolenza ha il sopravvento è quello di osservare cosa succede alla coscienza. La coscienza è la facoltà di conoscere. Nel buddhismo la coscienza (vijñõna) è inclusa tra i cinque aggregati (skandha) cioè i cinque elementi che compongono la nostra persona. Gli altri quattro sono il corpo, le sensazioni, le percezioni e le formazioni mentali.
La coscienza, come qualsiasi altro fenomeno, è impermanente, condizionata e impersonale. In pratica, essa si manifesta solo quando sono presenti tutte le condizioni che la determinano. Inoltre non esiste un soggetto che la determina, un “io”. Le condizioni che determinano la coscienza sono:
- la presenza di una base sensoriale (occhio, orecchio, naso, lingua e mente);
- la presenza di un oggetto sensoriale (forme, suoni, odori, sapori, sensazioni tattili e oggetti mentali);
- l’attenzione.
La coscienza sorge se sono presenti tutte e tre le condizioni suddette. Un uccello canta nel giardino. Affinché ne sia consapevole è necessario che ci sia l’uccello, che il suono giunga al mio apparato uditivo, che in quel momento io presti attenzione al fenomeno. Se anche solo uno dei tre elementi viene a mancare, la coscienza non c’è. In questo caso si tratterebbe di coscienza uditiva.
Quando dormiamo la coscienza è assente, del tutto o in parte. Dunque se in meditazione prestiamo attenzione ai fenomeni che si presentano, la sonnolenza fa venire meno tale attenzione e dunque anche la coscienza. Questo possiamo sperimentarlo con estrema facilità, anche nel percorso inverso, dalla sonnolenza all’attenzione. Fare esperienza del sorgere e dello svanire della coscienza è molto interessante. Quando mi succede, sono in qualche modo grato alla sonnolenza.
Mettere in campo la compassione
Infine vorrei condividere con voi il punto di vista di Sharon Salzberg, altra grande maestra di vipassana, cofondatrice con Joseph Goldstein dell’Insight Meditation Center. Lei dice che quando la sonnolenza emerge, la nostra reazione è di combatterla, odiarla o esserne sopraffatti. “Ma qui possiamo provare a trarne un motivo d’interesse. Quali sono le sensazioni fisiche della sonnolenza? Come influisce sul nostro umore? C’è una componente di noia? Disinteresse? Ansia? Diamo un’occhiata”.
“Non si tratta di combattere lo stato in cui ci troviamo”, dice Salzberg, “ma di porre attenzione in modo più profondo. Prendere nota per capire cosa sta succedendo. C’è rabbia, c’è sonnolenza. Non è la mia rabbia, la mia sonnolenza. Anziché condannarmi o vergognarmi di quello che provo, uso l’interesse e l’investigazione per portarmi più vicina all’esperienza e rimanere ancora libera. Magari uso questa libertà per alzarmi in piedi e non addormentarmi”.
Il problema è il nostro modo di reagire alle cose, che di solito oscilla tra i due opposti di abbandonarci passivamente o di ribellarci e rifiutare l’esperienza. Arriviamo al punto di condannare noi stessi per quello che proviamo. “Si tratta di non cadere in uno dei due estremi”, lei dice. “Conosciamo quello spazio nel mezzo che è la consapevolezza. È chiaro, connesso, spazioso, interessato. Cosa sta succedendo adesso? Usiamo le annotazioni mentali per portare qui la consapevolezza, senza provare a immaginare cosa accadrà domani”.
In meditazione, molto spesso ci accorgiamo che basta osservare un certo fenomeno, e mentre lo stiamo osservando, esso è già cambiato. Questo ci permette di stare con agio nella via di mezzo tra lasciarci sopraffare e rifiutare l’esperienza.
Consigli pratici per la sonnolenza
A volte basta semplicemente essere un po’ pragmatici e adottare qualche accorgimento pratico, come seguire i consigli di Andy Puddicombe, fondatore di Headspace, una delle più famose app per la meditazione. Tra i vari suggerimenti, ne segnalo cinque che mi sembrano particolarmente utili:
- evitare di meditare sul letto, che la mente tende ad associare al sonno;
- preferire le prime ore del mattino per meditare, quando la mente è più fresca;
- aprire un po’ la finestra, se non fa troppo freddo, perché un po’ di ossigeno aggiuntivo mantiene la mente più sveglia;
- evitare di appesantirci col cibo prima della meditazione;
- curare la postura, in modo che la testa tenda a portare verso l’alto tutta la colonna vertebrale.
Personalmente aggiungerei di prendere qualche precauzione per dormire sonni tranquilli, di notte, e ritrovarsi così al mattino con una mente fresca e risposata. Ecco quali sono a mio parere gli aspetti su cui è più facile intervenire:
- evitare di appesantirsi troppo durante il pasto serale;
- evitare gli alcolici, specialmente di sera, o farne un uso moderato;
- evitare di lavorare al computer la sera e non potendolo evitare, adottare quanto meno la modalità notturna per lo schermo (vira verso colori più caldi, si può attivare tramite le impostazioni di sistema);
- limitare in generale l’uso degli schermi, dalla TV al telefono;
- evitare discussioni coinvolgenti di sera;
- evitare l’attività fisica intensa di sera;
- nelle ore finali della giornata, cercare di non generare pensieri riguardanti il futuro, specie relativi ad aspetto per i quali nutriamo una forma di preoccupazione;
- bere una tisana rilassante dopo cena.
Ecco, di consigli per affrontare il problema del torpore e della sonnolenza durante la meditazione mi pare di averne elencati abbastanza. Alla fine, penso che l’importante sia accettare la realtà per quello che è.
Per approfondire:
Ajahn Sumedho – Cosa sono i cinque impedimenti e come lasciarli andare
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Grazie Paolo per questa nuova e lettura, e per l’invito sempre liberane alla compassione! condividerò il testo sabato prossimo con le altre persone del Sangha!