Come addestrarsi al Coraggio del Guerriero Spirituale

Quella del Guerriero Spirituale è una figura che io trovo estremamente efficace per rappresentare un modo di coltivare il Coraggio che è tipico di un sentiero di pratica. C’è molto bisogno di Coraggio, di questi tempi, e vorrei cercare di spiegare questa figura e le sue caratteristiche proprio per proporre un modello di riferimento che può essere utile a tutti noi.
Chi è il Guerriero Spirituale
Il termine Guerriero Spirituale è usato nel Buddhismo Tibetano per indicare colui o colei che combatte il nemico per eccellenza: l’ignoranza (avidya). Non si tratta di ignoranza in senso intellettuale, ma del non saper riconoscere l’inconsistenza di un sé separato dagli altri e dal resto della realtà (a proposito: sul concetto di ignoranza nel Buddhismo consiglio di leggere questo brano). Il Guerriero spirituale è legato all’ideale del Bodhisattva, presente sia nel Buddhismo Tibetano sia nello Zen, cioè di una persona che segue la via del Dharma non solo per salvare se stesso, ma anche e soprattutto gli altri.
Ma cosa significa salvarsi? Non certo raggiungere l’apice pacifico e incondizionato del Nirvana, per dimorare nella pace dei sensi. Una tale visione degli insegnamenti di Gotama, detto il Buddha, è decisamente fuorviante. La vita è piena di difficoltà e chi “entra nella corrente”, cioè decide di intraprendere un cammino spirituale basato sulla pratica, si scorna con tutte queste difficoltà. A partire alle proprie resistenze. Chi cerca la felicità trova la sofferenza, dice Thich Nhat Hanh, e senza scendere a patti con la sofferenza, non vedremo mai la felicità.
La figura del Guerriero è ben rappresentata da Don Juan, uno sciamano indo che è stato guida spirituale e importante punto di riferimento dello scrittore Carlos Castaneda:
Un guerriero non può lamentarsi o rimpiangere nulla. La sua vita è una sfida senza fine e le sfide non possono essere buone o cattive. Le sfide sono semplicemente sfide. La differenza fondamentale tra un uomo comune e un guerriero è che un guerriero prende tutto come una sfida, mentre un uomo comune considera tutto come una benedizione o una maledizione.
Per Don Juan le difficoltà sono il terreno di pratica del Guerriero Spirituale e ciò coincide perfettamente con la visione offerta da Chogyam Trungpa:
Essere guerriero qui non si riferisce al fare la guerra agli altri. L’aggressività è la fonte dei nostri problemi, non la soluzione. Qui la parola “guerriero” è presa dal tibetano “pawo”, che letteralmente significa “uno che è coraggioso”. … “Ed ora ecco il mio segreto, un segreto molto semplice: è solo con il cuore che si può vedere bene, l’essenziale è invisibile agli occhi.
Lo stesso Trungpa, in un popolare libro che parla di questo argomento, fa notare come la figura del Guerriero abbia una certa connotazione positiva – di figura coraggiosa e saggia – in culture diverse: dal Samurai giapponese al Cavaliere europeo al Guerriero dei nativi americani. Ma ora vorrei che ci facessimo accompagnare in questa scoperta del Guerriero Spirituale da Pema Chödrön, allieva di Chogyam Trungpa e insegnante che io tengo in grande considerazione, come si può capire dai molti suoi brani qui pubblicati.
Uscire dalla zona di comfort
Tra i praticanti è piuttosto normale aspirare alla compassione, qualcosa di cui peraltro in tempi difficili abbiamo particolarmente bisogno. Ma anche nella compassione c’è la lotta. Il problema, secondo Pema Chödrön, è che la compassione minaccia l’ego. “Potremmo pensarla come qualcosa di caldo e rilassante”, dice “ma in realtà è molto cruda. Quando abbiamo deciso di sostenere altri esseri, quando arriviamo al punto di stare nei loro panni, quando aspiriamo a non chiuderci mai con nessuno, ci troviamo rapidamente nello scomodo territorio della ‘vita non alle mie condizioni‘. L’impegno tradizionalmente noto come voto del bodhisattva, o voto del guerriero, ci sfida a immergerci in queste acque non accoglienti e nuotare oltre la nostra zona di comfort. Ci impegniamo a muoverci consapevolmente nel dolore del mondo per alleviarlo. In sostanza, è un voto di prendersi cura l’uno dell’altro, anche se a volte significa non apprezzare come ci si sente”.
C’è una poesia, “Il Nonno di Zampa d’Uccello“, che esprime bene questo tipo di figura. Un ragazzo viaggia in auto con suo nonno, sotto la pioggia, ma il nonno si ferma continuamente per mettere in salvo i molti rospi che sguazzano lungo la strada. Alle proteste del ragazzo, che dice loro due hanno luoghi dove andare, il nonno risponde che anche i rospi hanno luoghi dove andare. Per prendersi cura di quelle creature indifese, è uscito dalla propria zona di comfort. È un Guerriero.
Essere Guerrieri non è una passeggiata. Pema dice che dobbiamo fare leva sulla fiducia nella nostra innata capacità di andare oltre i pregiudizi e le opinioni fisse e aprire i nostri cuori a tutti: quelli che ci piacciono, quelli che non ci piacciono, quelli che non notiamo nemmeno, quelli che forse non incontreremo mai. Il mondo è pieno di rospi, vicino a noi e anche molto lontano. Il rospo è una metafora efficace, perché è un animale indifeso, ma di aspetto non piacevole. Anche quelli che vorremmo aiutare potrebbero essere sgradevoli e duri con noi.
Invece di reagire in modo aggressivo quando siamo provocati, perpetuando all’infinito il ciclo del dolore, confidiamo di poter interagire con gli altri da un luogo di curiosità e cura e in questo modo contattare la loro innata moralità e saggezza.
Curiosità e cura: ecco due qualità del Guerriero Spirituale, il quale non ha affatto il successo garantito nel suo impegno, quello di prendersi cura degli altri. Tale impegno non riguarda l’essere perfetti. “Si tratta di continuare a dare input virtuosi al nostro inconscio, continuare a seminare i semi che predispongono il nostro cuore ad espandersi senza limiti, che ci predispongono al risveglio.” Da punto di vista concreto, nella pratica questo si traduce nel creare spazi vuoti sempre più ampi all’interno del nostro ininterrotto e autoreferenziale dialogo interiore. Il nostro continuo fare riferimento a noi stessi già negli stessi pensieri.
Mostrandoci la figura del Guerriero Spirituale, Pema Chödrön mette il suo tipico valore aggiunto, l’enfasi sulla dimensione precaria dell’esistenza con la quale dobbiamo inevitabilmente fare i conti:
Al centro di questo impegno c’è l’allenamento a non temere il disagio fondamentale, quando si manifesta in noi. La nostra sfida è allenarci a sorridere all’infondatezza, a sorridere alla paura.
Anche nelle situazioni più difficili, facciamo del nostro meglio per sorridere alla paura, per sorridere alla nostra giusta indignazione, alla nostra codardia, al nostro evitare la vulnerabilità.
I 3 modi per entrare nel sentiero del Guerriero Spirituale
Per concludere, e delineare meglio questa figura così bella, vorrei accennare alle tre diverse modalità tra le quali possiamo scegliere, secondo le nostre inclinazioni personali, per entrare nel sentiero del Guerriero Spirituale. Tre modi per dare concretezza al “voto del Bodhisattva”, ma in un’accezione completamente laica, indipendente da qualsiasi tradizione spirituale.
- Entrare nel sentiero come un Sovrano. Il Re o la Regina non devono rendere conto a nessuno se non a se stessi. Allo stesso modo, il Guerriero Spirituale lavora prima su se stesso, affinché gli altri possano beneficiare della forza che ha acquisito. Qui mi sembra inevitabile citare il discorso dell’acrobata (Sedaka Sutta), nel quale il Buddha racconta di un acrobata che si esibiva facendo salire un suo assistente in cima a una canna di bambù da lui sorretta, in equilibrio. L’acrobata esorta l’assistente a prendersi cura l’uno dell’altro, per poter eseguire al meglio il numero. Ma l’assistente replica che il modo migliore per prendersi cura l’uno dell’altro e di prendersi cura prima di tutto di se stesso. Morale: colui che si prende cura di se stesso si prende cura degli altri.
- Entrare come un Traghettatore. Il traghettatore accompagna gli altri nel viaggio che devono compiere. Per poter essere dei traghettatori, dobbiamo imparare a metterci nei panni degli altri, a sentire il loro dolore come il nostro dolore. Dobbiamo sentire questa risonanza con gli altri, il nostro essere simili, in fin dei conti. Guardare gli altri con compassione e guardare dentro se stessi sono due movimenti complementari. “La compassione ha a che fare col modo in cui ricevete non solo gli altri, ma anche la vostra mente e il vostro cuore”, dice Christina Feldman, “implica la disponibilità ad abbracciare, in modo amorevole ed accettante, tutti quei momenti di resistenza e di giudizio discriminante”. Giudizio verso se stessi e versi gli altri, naturalmente.
- Entrare nel sentiero come un Pastore. Quella del pastore è una figura famigliare a noi cresciuti in una cultura cristiana. Gesù diceva di se stesso: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11). Anche il Nonno di Zampa d’Uccello, che pensa prima ai rospi che a se stesso, è un buon pastore, così come il capitano della nave, che ha fatto la promessa di mettere in salvo tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio, prima di se stesso. Gregorio Magno (papa del VI secolo e dottore della Chiesa) diceva che quando vogliamo che una persona addolorata smetta di soffrire, dobbiamo “abbandonare la nostra posizione eretta e piegarci verso di lei”, facendo esperienza noi stessi della loro miseria. Perfino le istruzioni di emergenza per i viaggi in aereo raccomandano di indossare prima la propria maschera a ossigeno, per poi aiutare gli altri a mettersi le loro.
Su questo argomento ho tenuto una lezione online recentemente, comprensiva di due meditazioni guidate, che potete seguire, se lo desiderate, sul canale YouTube di Zen in the City.
Zen in the city. L’arte di fermarsi in un mondo che corre

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