Filmare i concerti uccide le emozioni
Filmare i concerti coi cellulari è un’usanza sempre più diffusa tra i giovani, e non solo. Non c’è evento ormai nel quale la gran parte del pubblico non se ne stia a lungo con le braccia protese per riprendere col cellulare. Il fenomeno è talmente preponderante, sia nel settore dello spettacolo, sia in quelli limitrofi – come la politica o le religioni – da sollevare discussioni sempre più ampie e a volte aspre.
È il caso ad esempio di quella scaturita qualche giorno fa, dopo il concerto milanese dei Disclosure, un gruppo britannico di musica elettronica. Il sito specializzato Soundwall ha stigmatizzato duramente il fenomeno, sollevando un vespaio, tra i lettori e vari altri blog e siti, tra cui Wired. Il pubblico si divide tra chi si unisce alla condanna e chi invece afferma il primato della libera scelta individuale, anche se un po’ tutti apprezzano il desiderio di condivisione che c’è dietro questo gesto. A ciò si aggiunge il bellissimo film Lei, in questo periodo nelle sale, che solleva il problema del nostro rapporto sempre più indiretto con la realtà.
Ma perché un sito dedicato alla meditazione zen dovrebbe occuparsene?
Da partecipanti a reporter
Vediamo cosa succede quando assistiamo a uno spettacolo qualsiasi – ad esempio un bellissimo tramonto – e la nostra preoccupazione principale è quella di scattare foto o riprendere video per documentare l’evento. Pensiamo al nostro partner e ci premuriamo di raccogliere una prova testimoniale di quello che vediamo, per condividerla con lei o con lui. Ma questa è una condivisione virtuale, perché il nostro partner non è affatto lì con noi e nella migliore delle ipotesi si ritroverà una delle tante foto di tramonti, sempre così poco interessanti. Concentrati sulla condivisione virtuale, nel frattempo perdiamo di vista il lo spettacolo unico e irripetibile che abbiamo di fronte, nei pochi minuti che durerà.
Ugualmente, se al concerto frapponiamo tra noi e gli artisti un filtro, cioè il nostro dispositivo che li inquadra, perdiamo la magia unica e irripetibile di essere a contatto diretto con una performance musicale. Non possiamo neanche muovere il corpo (la musica ha sempre avuto questa funzione), perché altrimenti roviniamo la ripresa!
Con lo smartphone o il tablet acceso, diventiamo tutti fotoreporter e giornalisti, cioè persone che vivono lo svolgersi degli eventi avendo come preoccupazione principale quella di raccontarli, prendendo il più possibile le distanze dalle proprie emozioni.
Sostituire l’emozione con la condivisione
Nell’età dell’adolescenza c’è una fase in cui la persona comincia a essere consapevole dei sentimenti che prova ed è in grado di valutare se condividerli o meno. Tale condivisione è un atto volontario e contribuisce a definire i confini di ciò che chiamiamo sfera intima. Tutti noi adulti abbiamo una chiara idea di quale sia la nostra sfera intima, ciascuno a modo suo, e quali siano le persone ammesse a entrarvi, in quali modi farlo, eccetera. Se qualcosa ci addolora o ci fa gioire, sappiamo con chi è il caso di parlarne e con chi no.
Questo modello entra in crisi nel momento in cui prendiamo in mano un telefono, che ci consente di connetterci all’istante con qualcuno disponibile a risponderci, per comunicare le nostre emozioni quando ancora si stanno formando. Il modello verso cui stiamo andando è molto diverso, rispetto al passato: oggi non si fa piena esperienza di un sentimento fino a quando non lo si è comunicato agli altri, come ha evidenziato la studiosa Sherry Turkle, specie se i dispositivi digitali sono sempre a portata di mano e sempre connessi alla rete.
I software per la messaggistica istantanea, come Whatsapp, incoraggiano questo fenomeno, e Facebook introduce un salto di scala, nel momento in cui consente di condividere le emozioni con un numero ampio di persone, la maggior parte delle quali non sono in realtà affatto interessate. In questo modo, la sfera intima si frantuma: di fatto, non esiste più.
L’escalation successiva, di questa tendenza, è determinata dalla presenza di sensori sempre più sofisticati, all’interno dei dispositivi digitali portatili. Già avere sempre a portata di mano una macchina fotografica, come succede ora, alimenta la nostra aspirazione a condividere con le persone care ciò che proviamo e a farlo istantaneamente. Fino all’estremo di sostituire l’emozione con la condivisione.
[L’immagine iniziale è un fotogramma tratto dal video “Disclosure @Alcatraz Milano 17/03/2014 Opening” di Paolo Altomare]You need to login or register to bookmark/favorite this content.
Che male c’è a scattare la foto di un bel tramonto?