meditazione della doccia

Farsi la doccia è un’azione ricca di significati e di implicazioni di varia natura. Qualcosa di molto moderno, per lo meno nella forma privata e intima cui oggi siamo abituati. Lo stesso orario della doccia ha un suo significato di natura sociale: di mattina la fa tipicamente chi lavora in ufficio, mentre di sera, al ritorno, chi svolge un lavoro manuale. Farsi la doccia è il modo veloce di lavarsi prediletto da chi vuole rendersi presentabile socialmente, ma senza perdere troppo tempo. Ma ha anche una sua valenza ecologica, per lo meno rispetto al bagno nella vasca, perché richiede circa la metà dell’acqua.

La doccia è inoltre un altro dei momenti preziosi in cui possiamo riunificare mente e corpo. Se non pensiamo troppo ad altro, ovviamente. È l’occasione in cui possiamo fare un body scan, cioè la scansione completa del corpo, anche se, in questo caso, al posto della mente usiamo le mani. Ed è pure una circostanza in cui, al cento per cento, ci prendiamo cura di noi stessi. Un momento sacro, perciò.

Già mettendo piede dentro la cabina, se facciamo un attimo mente locale, possiamo considerare che cosa significa, potersi fare una doccia calda. A parte il fatto che una parte consistente dell’umanità non può permetterselo – e quindi è tutt’oggi un privilegio – quel semplice gesto di alzare la leva del miscelatore, per fare uscire l’acqua alla temperatura desiderata, ha richiesto migliaia di anni di ricerca tecnologica perché oggi fosse possibile. Dobbiamo dunque essere grati ai nostri antenati, per questa opportunità che ci hanno dato: tutti giorni possiamo fare comodamente qualcosa che già solo nella generazione dei nostri nonni era una rarità. Può essere l’occasione per recitar mentalmente una gatha come questa:

Quest’acqua tiepida che scorre lungo il mio corpo me la mandano i miei antenati.
Chi mi ha preceduto è qui con me, sotto l’acqua, a godersi questa doccia meravigliosa.

Inoltre, per rendere possibile questa doccia in particolare, c’è stato bisogno del lavoro, dell’impegno e della cura di moltissime persone: chi ha progettato la cabina doccia, chi l’ha realizzata, chi l’ha venduta, chi l’ha montata qui, e così le rubinetterie, le piastrelle, il sapone, lo shampoo. Chi ha reso possibile e ha concretamente realizzato l’acquedotto pubblico, chi ne cura la manutenzione, la società che gestisce la distribuzione dell’acqua, e così via. Tutte queste persone hanno fatto qualcosa per noi e possiamo essere loro grati. Il Dalai Lama, che ha fatto della gentilezza la propria “religione”, ci insegna come esista una forma di gentilezza involontaria, che interessa tutti gli esseri “senzienti”, non meno degna di gratitudine, rispetto alla gentilezza proattiva.

Quando vogliamo la pioggia e si mette a piovere, proviamo gratitudine, anche se il temporale non è motivato dall’intento di aiutarci. Quando vogliamo un bosco per fare una passeggiata, siamo contenti che quel bosco esista e lo apprezziamo, anche se gli alberi non hanno di per sé alcuna motivazione di aiutarci. Analogamente, gli esseri senzienti forniscono beni necessari alla tua sussistenza: aiutano te in particolare, pur senza conoscerti in particolare. In questa vita molte cose di cui godiamo – begli edifici, strade e così via – sono state prodotte da altri. Come puoi constatare, dunque, nel corso di questa esistenza migliaia di persone che forse non incontrerai mai si dimostrano gentili nei tuoi confronti.

Estendendo ancora, possiamo aggiungere, a questa catena di lavoro umano che ha reso possibile la nostra doccia, altri fattori che sono stati essenziali: il cibo che ha dato da mangiare all’operaio che ha fabbricato il tubo, gli elementi ci cui era composto quel cibo, come ad esempio il grano, il sole che ha fatto crescere il grano, l’acqua, il suolo, gli organismi presenti nel suolo, eccetera.  È uno degli insegnamenti tipici del maestro zen Thich Nhat Hanh. La realtà, dunque, se la guardiamo in profondità, è che facendo la doccia possiamo entrare in contatto con l’intero universo!

Andando avanti, possiamo considerare un altro aspetto, mentre ci godiamo il getto d’acqua. Torniamo un attimo al corpo, che, toccando, possiamo osservare nel suo evolversi quotidiano, quale manifestazione evidente dell’impermanenza, una delle leggi fondamentali dell’universo. Se, attraverso il nostro corpo, impariamo ad accettare l’impermanenza, potremo vivere una vita molto più leggera, perché libera da quell’angoscia di fondo che deriva dall’assenza di fondamento e di stabilità che caratterizza proprio la nostra esistenza. Tutto si trasforma continuamente, e se non ci fosse l’invecchiamento, non ci sarebbero neanche le nascite e la gioia che ci danno i bambini, coi loro sorrisi.

Infine, possiamo vedere come nel nostro corpo, frutto principalmente del DNA che abbiamo ereditato dai nostri genitori, siano tuttora presenti tutti coloro che ci hanno preceduto e di cui rimane proprio questo codice genetico, di cui siamo i portatori.

Questo corpo è il corpo di mio padre, il corpo di mia madre:
in me sono presenti tutti i miei antenati.
Chi mi ha preceduto è qui con me, sotto l’acqua, a godersi questa doccia meravigliosa.

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Categorie di questo esercizio: Gratitudine | Pratiche per la vita quotidiana |
Autore: Paolo Subioli |
Immagine di copertina: Marina Kotlyar, the shower, 2013