Una delle componenti della conversazione consapevole è la pratica che possiamo chiamare dell’“immersione”, dall’inglese “dipping”. Si tratta di fare i conti con le nostre distrazioni interiori, che ci ostacolano nell’ascolto di quanto l’altra persona sta dicendo. Queste distrazioni sono le sensazioni che proviamo in quel frangente o pensieri di vario tipo che insorgono, magari proprio in reazione alle parole che stiamo ascoltando.
La pratica consiste nel riconoscere queste distrazioni, senza giudicarle, e lasciarle andare. Se non se ne vanno, osservarle, per vedere quanto influiscono sul nostro modo di ascoltare. Pure chi parla può praticare l’ascolto delle sensazioni che scaturiscono dalle parole pronunciate, anche in questo caso riconoscendole, ma senza giudicarle.
Potrebbe sembrare difficile prestare completa attenzione a qualcuno che sta parlando e al contempo “immergersi” nelle proprie sensazioni. Ma questo in realtà è possibile, grazie a una proprietà della mente che è evidente ad esempio nella vista. Quando osserviamo un oggetto, lo inquadriamo al centro del nostro campo visivo, e riusciamo nel frattempo a percepire ciò che si trova ai suoi estremi, grazie alla “visione periferica”. È una proprietà molto importante, in termini di capacità di sopravvivenza, che abbiamo sviluppato nel corso dell’evoluzione. Ne sono particolarmente dotati i giocolieri, grazie all’esercizio. La sua mancanza (visione a tunnel) viene classificata tra le patologie: è come se guardassimo sempre attraverso un cannocchiale. Allo stesso modo, mentre portiamo l’attenzione della mente su qualcosa, possiamo continuare a mantenerla secondariamente su qualcos’altro. Se non fosse così, un genitore con bambini piccoli al seguito non potrebbe neanche fare la spesa al supermercato! Quando si pratica lo yoga, si sperimenta direttamente qualcosa del genere: mentre eseguiamo una āsana, ci concentriamo su alcune parti del corpo in particolare, riuscendo però a mantenere il controllo anche sulle altre.