Dio esiste: è una app
Dio esiste? Sono sempre in meno a porsi questa domanda, nelle attuali società secolarizzate, caratterizzate da un disinteresse crescente nei confronti delle religione, specie tra le generazioni più giovani. Che ne è dunque di quel rapporto con un’entità superiore, identificata con la figura del padre, che ha aiutato generazioni e generazioni a porsi dei limiti, nel tentativo di tenere a freno gli istinti più animaleschi? Oggi sono i media digitali a esercitare su di noi quello sguardo dall’esterno al quale fare appello quando pensiamo di non farcela con le nostre forze, e ci sono app come Google Fit e Salute di Apple che assolvono almeno in parte alla figura sempre meno presente del dio Padre.
Quando Dio è Padre
Il filosofo e psicanalista Erich Fromm, negli anni ’50, tramite un best-seller come “L’arte di amare“, mise in luce le differenti connotazioni di quel sentimento che chiamiamo amore, il quale assume un carattere assai diverso nel caso della madre e del padre. L’amore della madre è incondizionato: ella ci ama qualsiasi cosa facciamo, senza pretendere nulla da noi. Il padre invece “fa delle richieste, stabilisce principi e leggi, e il suo amore per il figlio dipende dall’obbedienza di quest’ultimo alle sue richieste”. Egli dunque ama di più il figlio che gli è più obbediente.
La religione nel corso dei secoli ha subito un’evoluzione da una fase matriarcale, testimoniata in molte civiltà diverse, a una patriarcale, tipica delle grandi religioni monoteiste del Mediterraneo: ebraismo, islam e cristianesimo. Peculiare di queste ultime è il rapporto che si instaura tra il credente, Dio e le leggi che Dio stesso gli ha imposto. Non potendo mai sfuggire al Suo sguardo, la singola persona cerca di fare di tutto per compiacerlo in ogni azione della vita, pubblica o privata.
Quando ci dobbiamo accontentare di una app
Oggi le app stanno cominciando ad assumere un ruolo simile. Prendiamo l’esempio di Google Fit, la app che aiuta a gestire la propria attività fisica quotidiana. Proponendo un obiettivo di default di un’ora al giorno di attività fisica, registra automaticamente i movimenti della persona (camminata, corsa, bici) e li somma, consentendo al suo utente di essere costantemente aggiornato rispetto al possibile raggiungimento dell’obiettivo. Avere in tasca un congegno simile incoraggia l’attività fisica, l’ho sperimentato personalmente. Perché? Con un angolo della nostra mente sappiamo sempre che la app è lì a osservarci e scaturisce spontaneamente il desiderio di soddisfarla, magari allungando di proposito la strada da percorrere o approfittando di ogni occasione per fare un po’ di moto e guadagnarsi l’approvazione della app.
Non vi pare che il meccanismo sia simile a quello descritto da Fromm? Oltretutto dietro una app del genere c’è Google, la multinazionale più potente del mondo, che sa ogni cosa di noi e che interroghiamo di continuo come un oracolo. E a conti fatti ne sa ben più di un oracolo! Google diventerà una divinità? Un campo di applicazione tipico di questa categoria di app sono inoltre i dispositivi indossabili. Tra i tanti esempi c’è la app Runtastic, inglobata nello “smart watch” Gear 2 di Samsung. Quando tutti questi oggetti intelligenti ci circonderanno, presenti forse anche all’interno del nostro corpo, e comunicheranno tra di loro, ci chiederanno di rispettare le loro regole?
Ma insomma, Dio esiste o no?
Mi sembra doveroso rispondere a questa domanda, per rispetto di chi potrebbe trovare offensivo questo articolo. In realtà non sono degno di farlo, perché le migliori menti, nei secoli, si sono già cimentate ad argomentare in un senso o nell’altro. Ma posso spiegare perché non ritengo blasfemia accostare Dio alle app.
Nella filosofia orientale, si parla di conoscenza convenzionale per identificare quello che noi chiamiamo “sapere“: diamo un nome alle cose, le descriviamo e ne parliamo; ma tutto ciò non è altro che una convenzione sociale, come avviene per il linguaggio. Quando io dico “aspettiamo che arrivi mercoledì” non mi riferisco a qualcosa che esiste veramente, perché non c’è nessun mercoledì che dovrà arrivare da un posto diverso da qui. Eppure non ho detto una cosa sbagliata. È un tipico caso di designazione convenzionale, come direbbe il monaco zen Thich Nhat Hanh, ovvero il mutuo accordo di chiamare una cosa con un certo nome. In un certo senso, tutto rientra in questa categoria, Dio compreso.
Il tempo della metafisica forse è finito. Di sicuro vale la pena che ci interroghiamo sul nostro rapporto con queste nuove entità digitali. Prima che si costruiscano templi per adorarle.
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[La foto è ricavata da un fotomontaggio di una foto di 皮叔, e una di stekelbes]You need to login or register to bookmark/favorite this content.
Macchè Dio, è solo un Grande Fratello elettronico, su. I Padri bene o male ti guidano (ma come vogliono loro, ecco perché non amo il monoteismo classico) mentre gli occhiuti controllori vogliono solo starti addosso.
Una bellissima e acuta riflessione. In effetti, noi siamo i primi uomini a poter testimoniare che Google, inteso cone ‘Grande fratello’ , sia una creazione umana, ma non è escluso che fra 1000 anni, considerando l’indefessa volontà di manipolazione dell’uomo sull’uomo, si possa arrivare a suggerire che ‘la coscienza digitale’ abbia una matrix divina.